Tre giorni di assaggi presso il rinnovato Hotel Rondò a Bari, con circa 200 campioni, ci hanno permesso anche quest’anno di farci un idea piuttosto chiara della “Puglia in Rosso”. Gli assaggi erano incentrati sui tre vitigni cardine della regione, Primitivo, Negroamaro e Nero di Troia. Eccovi quindi le sensazioni della squadra pugliese di Winesurf, con Enzo Scivetti che qui vi parla di Nero di Troia. Alla base dell’articolo troverete i link per andare a leggere i risultati delle degustazioni. Nei giornate baresi, tra le varie certezze enoiche ne ho avuta anche una gastronomica: il ristorante Le Giare, diretto dal sempre più genialmente folle Massimo Lanini, è oramai un approdo sicuro per chi vuole mangiare piatti che uniscono creatività a sostanza e bere ottimi vini non solo pugliesi, il tutto con prezzi assolutamente calibrati.
Una attenta disamina, per una volta completa con tutte le espressioni del vitigno prodotte nella Puglia da Bari in su, evidenzia una crescita qualitativa tangibile nel panorama delle produzioni da Nero di Troia.
Il vitigno non è di quelli facili, ribelle e nervoso, non si fa gestire tranquillamente. Mettere d’accordo le maturazioni tecnologiche e fenoliche è sempre una impresa che si coniuga solo con produzioni limitanti la quantità in vigna, sperando che il clima in maturazione sia clemente. Tannini dispettosi richiedono le massime attenzioni in vigna ed in cantina. E poi ancora pochi studi, poca ricerca, mentre per capirne tutto il potenziale bisognerebbe seguirne giorno per giorno le produzioni in tutti gli areali.
Questa degustazione mi consente comunque di esprimere considerazioni che vanno oltre gli assaggi effettuati (che sono stati numerosi ed interessanti) segnalando una evidente crescita.
L’interpretazione è ancora piuttosto eterogenea, non esiste una linea comune tra i diversi territori ma solo una differenza stilistica tra azienda ed azienda, specialmente quando si parla di Igt/Igp. La dichiarazione del vitigno in etichetta consente assemblaggi con altre uve, lecite per carità, ma con il risultato di modificarne espressioni e ancoraggi al territorio a prescindere dall’evidente qualità tecnologia.
Grandi e grandissimi vini si alternano a produzioni in alcuni casi più modeste, ma i grandi a volte perdono di riconoscibilità. Discorso diverso per le provenienze dalla DOC Castel del Monte, molto più in continuità tra loro con le produzioni base dalle espressioni elementari, mentre le riserve sono veramente degne di nota per ricchezza, concentrazione ed espressività. Molto significative risultano anche le prestazioni nel tempo, con vini di annate 2007 2006 e 2004 decisamente toniche e confortanti ai fini di una valutazione prospettica per i vini da questo vitigno.