Sannio tra Falaghina e Aglianico felix5 min read

La prima parte di quest’articolo la sto scrivendo con una mano sola mentre con l’altra mi cospargo il capo di cenere.

 Questo perché quando Michela Muratori mi lanciò l’idea di assaggiare i vini del Sannio accettai con grande piacere, anche se sotto sotto un dubbio mi tormentava. Tutte le volte infatti  che abbiamo chiesto vini per assaggi o semplici informazioni ai produttori campani di Greco di Tufo, Fiano di Avellino, Taurasi il risultato era stato sconfortante, tanto da farci sbottare pubblicamente con un articolo su Winesurf. 

Per questo avevo paura che alla fine mi arrivassero non solo  pochissimi campioni, ma magari senza schede dei vini, o imballati male e con diverse bottiglie rotte. Insomma incrociavo le dita….

 E Per questo mi sto cospargendo il capo di cenere: perché mai, da quando winesurf è online, ci erano arrivati i vini con tanta precisione e attenzione. Un pallet aperto di fronte alla nostra sede, i cartoni tutti perfetti e addirittura l’elenco e le schede  dei vini spedite preventivamente online!!

 

 Una cosa del genere, ripeto, non ci era mai successa, un servizio così preciso a domicilio non ci era mai stato dispensato  da nessun consorzio vini italiano. Quindi devo dare i meriti e ringraziare il Consorzio vini del Sannio, che ha dimostrato come, quando si vuole e si è organizzati, le cose riescono alla perfezione.

Questo dovrebbe essere anche un messaggio nemmeno troppo velato per i tanti produttori irpini,  che poi magari si lamentano perché del loro prodotto non si parla abbastanza, ma quando gli chiedi dei campioni non ti rispondono neanche.

 

 E veniamo all’assaggio.

 

 Premetto che la conoscenza “winesurfistica” dei vini del Sannio non è certamente approfondita come quella di altre zone d’Italia e due-tre visite in zona e assaggi da alcuni anni  non possono certo darci la patente di “conoscitori”.

 

 Quello però che sapevamo con certezza  è che da una parte la zona è particolarmente vocata per un vitigno bianco molto di moda come la Falanghina e dall’altra per delle versioni più abbordabili nel prezzo e più morbide nei contenuti di Aglianico.

 

 I nostri assaggi (circa una cinquantina di campioni) hanno avuto infatti questi due vitigni come fari conduttori, affiancati da altre uve che, come Greco e Fiano,  hanno i quarti di nobiltà in territori vicini. Coda di Volpe, Barbera del Sannio, Piedirosso e alcuni vini della DOC Solopaca hanno completato il quadro.

 

 Partiamo proprio dai due vitigni irpini per eccellenza  per ammettere che effettivamente là, Greco e Fiano, hanno molte più cose da dire. I non molti campioni dei due vini ci hanno convinto solo in parte: nel Greco solo singoli casi hanno mostrato la freschezza  e la particolare tannicità del vitigno, mentre il Fiano si è mostrato piuttosto fiacco sia dal punto di vista aromatico che gustativo.

 

 Sul fronte invece della Falanghina, anche se solo una ha raggiunto le 3.5 stelle  in generale ci è sembrato proprio un bel vino “da winesurf”, di quelli che si bevono e si apprezzano più a tavola che in degustazione. La sua freschezza e il corpo equilibrato ci hanno dato subito la sensazione di essere di fronte ad un “vitigno amico”, di quelli di cui ti puoi fidare (ma non devi chiedergli la luna) anno dopo anno.

 

Importante ci è sembrato  anche il fatto che tutti i vini degustati fossero di perfetta esecuzione enologica, pur nel rispetto delle diversità aziendali. A proposito di diversità: per fortuna non ci sembra che “la febbre del legno” abbia toccato la Falanghina, portando i produttori a proporre versioni in teoria più strutturate, cicciute e passate in legno, che mancano però di quella graziosa freschezza che il vitigno non può non esprimere.

 

 L’Aglianico del Taburno non ha certo come caratteristica principe la stessa “graziosa freschezza", ma non ci  ha comunque deluso, tutt’altro. 

 

Qualcuno ha sì provato la strada della grande estrazione e del fuorviante uso del legno, ma nella maggioranza dei casi ci siamo trovati di fronte ad Aglianico dalla giusta austerità, dalla tannicità viva ma non muscolarmente eccessiva, dalle note aromatiche  non certo eclatanti ma ben dosate. Il tutto, se traslato in vini che in enoteca vanno  mediamente dai 10 ai 13 euro,  ci permette di dire che forse Taurasi dovrebbe guardare di più al Sannio come modello se non da seguire almeno da tenere in maggiore considerazione enologica.  Infatti non dovete pensare che questi aglianico non reggano l’invecchiamento: la loro freschezza è immutata sia si parli di 2012-2011-2010-2009 o addirittura  di 2006. Sono rossi che scontano  il fatto di essere poco conosciuti e di avere vicina una denominazione importante come Taurasi.

 

Degli altri vitigni non ci sentiamo di parlare perché i campioni a disposizioni erano  troppo pochi. Niente paura! Magari lo faremo tra qualche giorno, perché da lunedì 2 marzo inizia la più importante manifestazione sul vino campano, quella Campania Stories che è oramai il faro per ogni giornalista enoico che ami questa regione. Noi là saremo e vi faremo sapere.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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