Riccardo Ricci Curbastro10 min read

L’intervista si è svolta durante una visita nella sua azienda franciacortina che vale la pena di essere visitata non solo per i vini ma anche per l’incredibile museo agricolo. Chi mi segue sa che sono difficile a fare complimenti ma il Museo nato dalla passione dei Curbastro sorprende per il numero e la bellezza dei pezzi esposti. Una vera e propria perla che non sfigurerebbe  in grandi musei italiani ed esteri. Alcune foto di quest’articolo ritraggono pezzi particolarmente belli della collezione

W. Presidente Federdoc per tre  (da pochi giorni quattro ) legislature: hai un piacere particolare nel fare riunioni o cosa?
R.C. Piacere particolare no, diciamo che con Federdoc si è cominciato sotto la mia presidenza quel progetto che ha portato all’Erga Omnes. Anche se all’inizio la cosa poteva sembrare piccola, poi si è rivelata per tutta la sua importanza. Così mi è stato chiesto di rimanere per portarla in porto.

W. In poche parole, cosa è Federdoc
Federdoc è la federazione dei consorzi delle DO italiane e quindi è quella che per conto dei consorzi gestisce i rapporti istituzionali italiani ed esteri. Oltri agli uffici italiani abbiamo una sede a Bruxelles, che ho aperto appena Presidente. 

W. Nel mondo del vino, come in tute le cose, ci sono i buoni ed i cattivi. Chi sono i buoni e chi sono i cattivi da cui Federdoc ci difende.
R.C.E’ sempre difficile dire chi sono i buoni ed i cattivi. Posso dire che nel mondo ci sono due filosofie commerciali che si scontrano. Chi crede che la DO sia un elemento caratterizzante del prodotto e chi invece pensa sia sufficiente una varietà riportata in etichetta. “Varietals contro Denominazioni”! Quindi tra i cattivi metterei quelli che in cantina vorrebbero avere una botte di bianco ed una di rosso e scriverci sopra quello che vogliono (a seconda di come tira il mercato)  e tra i buoni quelli che credono che territorio, cultura, clima, terreno facciano la differenza nel fare un vino. Arrivano segnali importanti a vantaggio di quest’ultimi con Napa che ha chiesto ed ottenuto il riconoscimento della Denominazione in Europa , Marlborough con il Sauvignon Blanc e Barossa stanno facendo e la stessa cosa. Questo vuol dire che non basta più fare un buon Sauvignon ma bisogna anche poter riconoscere che viene da un certo luogo.

W. Le due prossime domande sono state già fatte a vari presidenti di consorzi. Facendola a te la pongo sicuramente alla persona più adatta. Il maggior pregio ed il maggior difetto dell’Erga Omnes.
R.C. Il maggior pregio è forse una perfetta conoscenza della denominazione per poterla poi gestire al meglio: un’idea precisa di cosa ci sia in vigna che in cantina. C’è poi un sottoprodotto che si chiama tracciabilità: questa permette di far vedere al consumatore, con un numero sulla bottiglia, che cosa c’è dietro, dalla vigna alla bottiglia, di controlli in una denominazione. Non abbiamo inventato niente di nuovo, abbiamo solo reso la traccia molto più efficace. Terzo risultato la garanzia del consumatore. Lui sa che quello che dice il disciplinare qualcuno lo controlla.

W. Ed il difetto maggiore.
R.C. Come ogni sistema ha un costo, accollatosi dai produttori e questo può essere visto come un difetto. Un altro punto, che qualcuno potrebbe vedere come un difetto, altri no, è che con questi controlli allargati a tutte le 350 e passa denominazioni si evidenzia il fatto che una marea di denominazioni esistono solo sulla carta. Noi oggi sappiamo che 120 sfiorano il 90% della produzione italiana a DO. Quindi vuol dire che su 350 quasi 230 producono ben poco: forse sarebbe il caso o di farle tornare IGT oppure di parlare seriamente con i produttori per dirgli di crederci e di lavorarci seriamente.

W. Quindi tutte le nuove denominazioni che stanno arrivando?
R.C. C’è tanto su cui ragionare e credo che il sistema Erga Omnes farà giustizia, perchè ad un certo punto un produttore si renderà conto che non ce la può fare a gestire tracciabilità e controllo di una denominazione e quindi chiederà di rinunciarci.

W. Domandina da un miliardo di dollari. Dal punto di vista Federdoc a cosa serve l’OIV.
R.C. (Attimo, lungo, di riflessione…). Io sono del parere che qualsiasi posto dove ci si possa trovare a dialogare ed a scambiare opinioni sia utile. Specie in un mondo così grande, dove tutto è collegato ma i contatti veri, il dialogo e gli incontri  sono pochi. E’ chiaro che come tutti i grandi organismi, al momento di dover prendere decisioni può creare degli scontenti. Come sempre quando si deve decidere arrivando a compromessi. Per esempio su alcune decisioni sulle pratiche enologiche gli europei possono essere  perplessi. Tipo sulla osmosi inversa ( che mi preoccupa relativamente) più su cose come la “spinning cone column” che non mi piace nemmeno un pò perchè porta a fare il vino con una sommatoria di componenti. Mi sembrerebbe più di lavorare in una profumeria che in una cantina.

W. Espianti: siete d’accordo?
Abbiamo molto criticato questa impostazione, non per i 400.000 ettari che poi diventeranno 200.000, quanto perchè la misura sarà accompagnata da una liberalizzazione completa del sistema degli impianti. I cosiddetti diritti di impianto possono anche aver fermato lo sviluppo di alcuni territori ma oggi molte grandi zone viticole italiane un equilibrio l’hanno raggiunto. Liberalizzare in questo momento, con l’agricoltura europea in profonda crisi è estremamente pericoloso perchè rischiamo di trovarci  con  zone viticole non piccole sommerse da prodotto che non ha sbocco sul mercato.

W. Arriviamo in Franciacorta: Giochino della torre. Un giorno Dio ti chiama per decidere quale tra queste quattro tipologie tu vuoi sopprimere per salvare il resto della Franciacorta. Le tipologie sono Saten, Brut, Saten Millesimato, Brut Millesimato. Tu quale scegli?
R.C. Brut Millesimato

W. Perche?
R.C. Credo che la Franciacorta possa esprimere grandi complessità e grandi freschezze che già il Brut esalta e quindi non sento il bisogno del millesimato.

W. Domande a raffica. Quale DO italiana vedi oggi trainante per immagine?
R.C. Il Prosecco!

W. Per Organizzazione?
R.C. Chianti Classico!

W. Per territorio?
R.C. Brunello di Montalcino!

W. Per potenzialità
R.C. Certamente Franciacorta, non solo perchè ci abito. Penso in futuro anche alla Puglia: Castel del Monte sta lavorando molto bene.

W. Con le quote latte bloccarono le autostrade. Ora, sempre ritornando All’OCM, quale potrebbe essere la forma di protesta dei produttori di vino e dei consumatori. Lo sciopero della sete?
R.C. Credo che oggi le proteste in piazza siano quasi impossibili, nel senso che non possono avere l’effetto di un tempo. Posso però dirti quello che stiamo facendo:sulla riforma dell’OCM non ci siamo limitati soltanto a protestare con la Commissario ma nei giorni scorsi abbiamo scritto a tutta la Commissione Agricoltura, suscitando un bel vespaio a Bruxelles. Abbiamo anche coinvolto i parlamenti nazionali. Credo quindi ci sia da lavorare molto a livello politico.

W. A proposito. Quale è stato nel tuo periodo di presidenza il politico, italiano o europeo, che hai trovato più vicino ai problemi dei viticoltori?
R.C. Io devo parlare bene dei tre ministri che ho conosciuto, di colorazioni nettamente diversi, De Castro (due volte), Pecoraro Scanio e Alemanno. Tutti e tre, aldilà di impostazioni politiche completamente diverse, sono state persone che hanno analizzato seriamente i problemi e ci hanno dato delle risposte concrete. A livello europeo credo il senatore francese César, relatore sull’OCM vino al Senato Francese.

W. E quello più distante? Non mi dire la Fischer Boel perchè è troppo facile………
R.C. La  Fischer Boel non è distante… legge la realtà con degli occhiali da presbite e magari e miope. Non so…c’è qualcosa che non quadra nella sua lettura dei fatti. Soprattutto di fronte alle obiezioni tecniche che le vengono fatte è molto dura. Fai fatica a farla ragionare sui singoli problemi tecnici.

W. Girando per le cantine italiane è di moda portare i giornalisti più in vigna che in cantina. In Franciacorta c’è quasi l’opposto. Si guarda la vigna ma ci si sofferma in cantina. C’è molta enologia in Franciacorta. Detto questo pensi oggi in Italia ci sia troppa enologia e poca riflessione o poca enologia e tanta riflessione sull’uso dell’enologia?
R.C. Premesso che sono enologo e quindi di parte (però sono anche agronomo…) non considero l’enologia italiana un’enologia invasiva. Oggi è chiaro a tutti che il fulcro è la vigna. Ma l’enologia deve esserci e deve anche essere spiegata. C’è una specie di sindrome da mulino bianco nel consumatore in cui c’è l’idea che l’uva venga scacciata con i piedi. Oggi bisogna spiegare che la nuova enologia evita l’uso della vecchia, come l’uso del freddo permette di non usare sostanze contro l’ossidazione.

W. Etica nell’enologia e nel vino: come la intendi.
R.C. Premetto che io considero l’etica come un passaggio fondamentale nella vita di ognuno di noi. Ogni giorno ci guardiamo allo specchio e dobbiamo fare i conti con noi stessi. Però non credo a chi parla troppo di etica perchè di solito che predica bene finisce per razzolare male. Deve essere un qualcosa di intimamente sentito. Io sono della scuola che dice che un carabiniere serve ogni tanto, possibilmente in mezzo alla strada, in modo che tutti lo vedano e si ricordino che ci sono delle regole da rispettare. Non mi piace il repressore ma ci deve essere una chiara visione di quello che è lecito o no e quindi della conseguenza che vi sia una pena per chi sbaglia. Perchè specie nel mondo del vino chi compie errori o frodi non danneggia solo se stesso e la sua vittima ma anche un patrimonio molto più ampio. Pensa un po’ al caso del Metanolo. L’etica però non si fa con i poliziotti ma con le regole e con il sapere che c’è qualcuno che ti controlla.

W. Partendo dall’elenco, difficilissimo e non proponibile al mondo, delle pratiche e delle sostanze ammesse dall’ OIV e dalla Comunità Europea, non credi sia giusto riportare in etichetta quello che si usa per fare il vino?
R.C. Questo è un problema delicatissimo. Tu sai  che l’industria alimentare se l’è tolto inserendo una serie di sigle. Tu leggi E322 e magari si parla di gomma arabica. Però può essere una strada difficile spiegare cosa è la gomma arabica se non si organizza una seria educazione alimentare partendo dalla scuola. Personalmente la scritta “Contiene solfiti” o la donna col pancione messa in etichetta in Francia (per spiegare che il vino può far male alle donne incinta. n.d.r.)  mi lascia perplesso. Quello che scriviamo deve essere educativo, aiutare la gente a capire, a scegliere e non terroristico. C’è anche, non ultimo il problema dei costi. Il “Contiene Solfiti” dobbiamo scriverlo in ognuna delle lingue dei paesi europei ..siamo 27 … si rischia che la retro etichetta diventi un’enciclopedia.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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