Uno sfogo da vecchio: che ci stiamo a fare?6 min read

Saranno i primi caldi, sarà l’avvicinarsi della sbornia televisiva inevitabile del mondiale di calcio,  ma in questi giorni scartabellando giornali sul vino e girovagando su quelli online, ho provato più volte quella che potrei definire triste insofferenza.

 

Questo a causa di discussioni asfittiche spacciate per veri e propri scoop. Se poi ci mettiamo che esistono sempre più siti internet commerciali spacciati per giornali sul vino e sul cibo (e viceversa) il mio già basso livello di sopportazione  è diventato inesistente e non ho potuto fare altro che mettermi a scrivere, sapendo perfettamente che la prima persona a cui pesterò i piedi sarà il sottoscritto, direttore anch’esso di un giornale online sul vino.

 

Faccio alcuni esempi:  uno degli argomenti clou della settimana è stato il nuovissimo tema “Fino a che punto è sopportabile un difetto (o presunto tale) in un vino?”, nato dall’articolo di un famoso giornalista che di ritorno dagli assaggi di un concorso londinese afferma in pratica che i vini che più raccolgono premi sono quelli corretti, armonici, naturalmente senza “difetti” ( o particolarità).

Questa eccezionale scoperta è stata ripresa più volte e commentata, mentre a me ha fatto solo pensare che 25-30 anni di giornalismo enogastronomico italiano ci hanno riportato pari pari a quello che si diceva quando ancora Berta non filava. Sono anni e anni che nei concorsi enologici internazionali vengono premiati i vini “enologicamente ben fatti” ( e questa non vuole essere una critica ma una constatazione) e sono altrettanti anni che i vini più personalizzati o particolari o definiti naturali (anche questa non è una critica ma una constatazione) o non vanno ai concorsi o se ci vanno vengono scartati quasi a priori. Nella mia piccola esperienza  di concorsi internazionali ho constatato come sia regola generale quella di valutare solo il vino e non la sua reale aderenza-declinazione al terroir o a modi espressivi particolari. Questo avendo davanti qualsiasi tipologia di vino di ogni nazione. Insomma un tema discusso e ridiscusso, ma più che altro esaurito perché non porta se non alla constatazione dell’ovvio.

 

Come porta ben poco lontano quanto scritto da uno dei più grandi produttori di vino italiano (e ripreso ampiamente sul web) dove si constata (ma guarda un po’…) che il vino non è più un alimento, che crescono i consumatori che preferiscono vini biologici e comunque più naturali, mentre per fare il vino si può usare di tutto e di più, che le guide sono troppe, i premi giornalistici poi sono ancora di più, che si fa molta confusione tra vino e superalcolici, e via di questo passo a “fustigare” (così molti hanno presentato la cosa) tutto e tutti, da vero Giove Tonante del mondo del vino italiano.

 

Anche se ognuno è libero di dire e di scrivere quello che vuole non credo che una lettera del genere meritasse tanto spazio e tante discussioni. Sono cose che si sanno, dette e ridette all’infinito. Un accenno finale alla lettera aperta del nuovo presidente di Slow Food all’Assoenologi, che (ma magari sbaglio io e chiedo troppo) mi sarei aspettata più coraggiosa per un associazione di tale importanza.

 

Insomma, se questi temi così “caldi” prendono tanto spazio la spiegazione è una sola. A partire dal sottoscritto abbiamo ben poco di nuovo da dire e da comunicare, qualcosa che non sia rimasticamento di argomenti passati e posizioni pregresse, che non sia un rimestare con più o meno garbo e bravura la solita minestra. Se i temi sono questi  allora ben vengano gli assaggi seriali, le guide, gli elenchi di nuovi vini assaggiati con relativi punteggi: queste almeno sono notizie fresche,  non so quanto attese ma sicuramente nuove. Le molte critiche alle troppe guide (in passato le critiche erano dei mugugni al fatto che ne esistesse una sola) possono anche avere il loro perché, ma in un mondo del vino dove il giornalismo riposa tranquillamente, fa bene il “degustismo” ad andare avanti e proporre il suo lavoro.

 

Forse sbaglio a scrivere queste cose, forse ho preso in considerazione un brevissimo periodo dell’anno mentre andrebbe preso in esame un periodo molto più ampio, ma ho scritto in precedenza “a partire dal sottoscritto” proprio perché  anch’io mi sento adesso senza grandi stimoli, invischiato in un “titic-titoc” di notizie o pseudo tali che non capisco dove potrà portarci. Forse ci porterà  a dover organizzare eventi sul vino per arrivare a fine mese con un minimo di pagnotta, cioè a quella commistione tra produttori e giornalisti che dovrebbe essere la prima cosa da evitare facendo il nostro lavoro. Oppure a trasformare i nostri giornali in contenitori pubblicitari e/o siti promozionali per vendere altri servizi (tipo PR oline e offline, rifacimento siti, etc).

 

Per fortuna nei prossimi giorni inizierà ufficialmente il nostro periodo da “degustisti”, che ci porterà a giro per l’Italia, a contatto diretto non solo con le nuove annate ma con quelli che il vino lo fanno e quindi creano le vere “notizie” del nostro settore.

 

Lasciando da parte la botta di tristezza senile, qualcuno potrebbe giustamente chiedere se oltre alle critiche ho in mente una qualche soluzione al problema. Non ne vedo molte all’orizzonte se non un allargamento dell’orizzonte stesso, riuscendo a trattare temi ed a coinvolgere lettori di tutto il mondo, ma per fare questo occorrerebbe in primo luogo che i nostri articoli fossero tradotti almeno in inglese (cosa che per un singolo giornale online che non accetta pubblicità da aziende di vino è un costo improponibile).

 

Tempo fa lanciai una proposta di “federazione dei giornali online” sul tipo della piattaforma di Sky, dove chi vuole leggere qualcosa paga una minima cifra che serve a finanziare in primis quel giornale, ma con una piccola percentuale utilizzata per alimentare la piattaforma. Non se ne è fatto di nulla e oggi torno a proporla con alcune basilari modifiche: da una parte la creazione di una vera e propria guida online (un’altra? Ebbene si!) semplice, chiara, fruibile dall’Alaska alla Terra del Fuoco, dall’altra la traduzione obbligatoria di tutti gli articoli pubblicati in inglese.

Questo perché se vogliamo uscire dal nostro piccolo e oramai troppo arato orticello l’unica speranza è quella di rivolgersi al mondo, che tra l’altro è molto interessato al vino italiano. Non so se riusciremo a fare qualcosa ma io provo a rilanciare l’idea;  almeno mi fa passare un po’ della tristezza che ho addosso.

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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