Custoza, un grande avvenire dietro le spalle, ma sul serio!4 min read

Avete mai pensato di assaggiare dei vecchi Custoza? Vi aspettereste mai da un bianchetto in teoria un po’ sfigato e apparentemente senza pretese delle performances di tutto rispetto?  

Bene, l’assaggio di vecchie bottiglie dal 2009 al 2004 fornite dal Consorzio di tutela, ha rivelato una realtà inaspettata e quasi del tutto sconosciuta. Il Custoza, stiamo parlando del tipo base, sa invecchiare e i vini, chi più chi meno, erano molto interessanti con due punte d’eccellenza, il 2009 e il 2006, davvero particolari. 

 

Solitamente dal Bianco di Custoza, come era noto sino a qualche tempo fa, non ci si aspetta granché. Tra i bianchi veneti è sicuramente il meno quotato anche perché è stato sempre presentato come un vino da bere quasi in fretta e in ogni caso non più tardi del marzo-aprile  successivo alla vendemmia, tanto poi arriva la nuova annata.  Il costo assai contenuto, circa un paio d’euro di media o poco più, aiuta a vuotare in fretta le cantine. La vicinanza della zona con il lago di Garda, catalizzatore di una stagione turistica piuttosto lunga e affollata, favorisce il consumo e la vendita non solo del Custoza ma anche degli altri vini della zona (Lugana,  Bardolino, Igt, ecc.)

Un’immagine tutto sommato poco lusinghiera per essere un vino Doc dagli anni Settanta, prodotto in circa 1200 ettari di vigneto suddivisi tra una sessantina di aziende sparse nella provincia di Verona (Sommacampagna, Lazise, Peschiera del Garda, Valeggio sul Mincio, Pastrengo, ecc.). L’uvaggio è assai composito e vi partecipano la Garganega, Trebbiano Toscano, Trebbianello (Tocai Friulano), Bianca Fernanda (clone locale di Cortese)  oltre a  Riesling italico, Pinot bianco, Chardonnay, Incrocio Manzoni, Malvasia.  La presenza di tanti vitigni, a parte le più recenti introduzioni, è abbastanza usuale nelle zone di confine proprio per la confluenza di culture e colture importate in loco da popoli diversi.

Il vero punto di forza della denominazione sono i suoli – le colline moreniche – estremamente diversificati perché risultato dei depositi formati dal trascinamento dei ghiacciai. Una ricchezza in sali minerali che contribuisce a donare sapori e sapidità a un vino che pur essendo migliorato tantissimo negli ultimi dieci anni, è condannato ad una vita breve. Infatti ristoratori e consumatori veneti – non viene esportato all’estero e né più di tanto fuori regione – lo vogliono un anno per l’altro e niente più. Una consuetudine difficile da scalfire che ha tra le conseguenze una depressione dei prezzi anche in annate, come l’ultima, in crescita un po’ dovunque.

 

La degustazione

I vini in degustazione non sono più reperibili se non nelle cantine dei produttori. Sono stati assaggiati  i Custoza di Albino Piona 2009 (****); di Roncà 2008 (***); Menegotti 2007(***); Albino Piona 2006 (*****); Vigne di San Pietro 2005 (*****); Vigne di San Pietro 2004(****).
Per tutti un’eccellente tenuta di colore, anche nelle annate più vecchie; terziarizzazione dei profumi molto lenta; in bocca piacevolezza, sapidità, buona acidità, e ottima persistenza.  Insomma una buona base su cui ragionare tanto più che la denominazione prevede una tipologia Superiore sin qui non adeguatamente sfruttata.

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Ricordi di vecchie bottiglie
Era il 1992 quando ci riunimmo da Checchino dal 1887, noto locale di Testaccio a Roma.  Qualche giornalista oltre a Elio e Francesco Mariani, titolari del ristorante, grandi intenditori e appassionati di vino. Leonildo Pieropan, presente anche lui, aveva messo a disposizione per l’assaggio, delle sue bottiglie di Soave degli anni Ottanta e Settanta. La più vecchia  era un 1968. Presenti anche alcune annate di Roberto Anselmi.

Con stupore crescente registrammo che non solo il Soave reggeva benissimo l’invecchiamento ma in molti casi migliorava notevolmente. Un fulmine a ciel sereno specialmente se rapportato a come veniva considerato il Soave negli anni Novanta. Pieropan tornò a casa molto soddisfatto dei nostri commenti e della degustazione se ne parlò parecchio. Che la riscossa del Custoza – dove la garganega in ogni caso c’è sempre stata– possa iniziare da una nuova coscienza delle proprie possibilità ? Zygmunt Bauman, il grande sociologo, nel suo libro sull’”Arte della vita,  descrive il concetto di ripartenza. Forse varrebbe la pena che i produttori del Custoza leggessero quel capitolo.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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