Sugheri e altre chiusure5 min read

Se si bevono vini con tappi di sughero, l’incontro con una bottiglia che sa di tappo e’ inevitabile. Nella migliore delle ipotesi l’odore sarà spiacevolmente metallico con sentori di metano, di quelli che fanno rizzare i capelli e lacrimare gli occhi, portandoci a rifiutare la bottiglia se siamo in un ristorante o a chiederne un’altra se siamo ad una degustazione.

Purtroppo il sentore di tappo non e’ sempre così evidente. Al contrario, può essere subdolo, stendendo un velo sul vino e offuscandone gli aromi, facendolo sembrare dozzinale. In questa forma passa facilmente inosservato perchè non presenta problemi evidenti: il vino sembra semplicemente banale e di vini banali ce ne sono tanti. Ma quando, di quello stesso vino se ne assaggia un’altra  bottiglie, è come  quando il sole esce dalle nuvole.

E’ ovvio che questo secondo tipo di sentore di tappo (che trovo nel 5-10% dei vini che assaggio)  e’ una croce per i vignaioli. Ci sono comunque soluzioni; ad esempio tappi sintetici, tappi in vetro con guarnizioni in silicone e tappi a vite. Tutti (specialmente tappi a
vite) sono molto comuni all’estero. Ma in Italia c’e’ ancora molta resistenza a questi tipi di chiusure, sia da parte delle denominazioni, che specificano tappi di sughero nei disciplinari, sia da parte dei ristoratori, secondo cui il tappo a vite toglie la "poesia" insita nella stappatura della bottiglia.

Non so come si possa trovare poetica una cosa che rovina il 10% delle bottiglie che chiude, ma tant’è. Tuttavia le cose stanno cambiando, sia perchè i produttori sono stanchi di subirne i danni, sia perche gli importatori stanno chiedendo chiusure alternative per i mercati esteri.

Nel 2009 ho assaggiato lo Chardonnay IGT Toscana 2007 di Paolo de Marchi, imbottigliato sia col tappo a vite che col sughero. Un confronto molto interessante: I vini erano ottimi (91-92 punti ciascuno) ma molto diversi; il vino col tappo a vite era più fresco, e quello col sughero un pochino più maturo. Scrissi, "Confrontarli è come guardare due gemelli che sembrano identici a prima vista ma che rivelano diversità conoscendoli bene; il vino col tappo a vite è un pochino più fresco e più lineare, mentre il vino col sughero è un pochino più morbido e più seducente. Buonissimi entrambi, e la preferenza sarà dettata dal gusto personale. Continuando con l’analogia dei gemelli, uno fa sport a livello agonistico — il tappo a vite — mentre l’altro è un ballerino."

Adesso Paolo imbottiglia anche il Cepparello col tappo a vite per il mercato estero.

L’azienda Salcheto di Montepulciano è stata ancora più coraggiosa: Hanno imbottigliato metà dell’annata 2005 del Salco Evoluzione, il loro vino portabandiera che passa quattro anni in bottiglia prima della commercializzazione, con tappi a vite e l’altra metà con i sugheri tradizionali. Il solito vino, ma le bottiglie col tappo a vite sono classificate IGT e quelli con il sughero Nobile di Montepulciano DOCG, vengono venduti accoppiati in cofanetti. Come ho detto, una decisione coraggiosa, perché obbligherà gli appassionati Italiani di questo vino a provare anche bottiglie con tappi a vite, fino ad oggi disprezzati.

Al Vinitaly li abbiamo assaggiati alla cieca:

1 (tappo a vite)
Granato con riflessi neri e unghia granato con lievi riflessi rubino.
Naso ricco con frutti di bosco, lieve confettura, speziatura e lieve sottobosco. Molto fresco e armonioso. Al palato ricco, preciso ed elegante, con un bel fruttato a base di amarene sorretto da vivace acidità sempre a base di frutti di bosco con tocchi di sottobosco e tannini morbidi e vivi che portano ad un bel finale tannico e vivace.
Grazioso, con una bellissima acidità che gioca bene coi tannini, facendone un vino agile, come un ballerino classico. Ideale con una bistecca alla fiorentina o un arrosto e gode di una notevole longevità.
90-92

2 (tappo di sughero)
Granato un pochino più scuro, con unghia un pochino più granato. Naso abbastanza ricco con frutti di bosco sorretti da calore, note balsamiche, e speziatura un pochino vegetale; rispetto al primo è più etereo e un po’ più riservato: aprendosi rivela sentori  boisè non cosi evidenti nel primo. Al palato è ricco, con bella amarena sorretto da acidità decisa e tannini abbastanza vellutati — più di quelli del primo
— ma con sentori di legno e vaniglia maggiormente pronunciati, il che rende il vino un po’ meno slanciato dell’altro.
90

Sono entrambe eleganti, e piacevolissimi, al punto che risulta difficile dire che uno sia superiore. Il primo (quello col tappo a vite) è un po’
più fresco, e più brillante, mentre l’altro è più maturo e sente più l’influenza del legno.

Un confronto molto interessante, che sarebbe difficile dove i tappi a vite sono ormai accettati. Il vino col tappo a vite ha tenuto molto bene, ed era anche più omogeneo tra bottiglie mentre c’erano piccole variazioni in quelle chiuse col sughero. E questo ci porta a chiedere cosa, di preciso, le bottiglie col tappo in sughero (nessuna delle quali sapeva di tappo) ricevano dai loto tappi.

Ricerche hanno dimostrato che il sughero cede tannini e anche aromi, descritti da Michele Mannelli, l’AD di Salcheto, come "terrosi e animali." Cede anche  ossigeno (che richiede un trattamento con solfiti per evitare danni al vino) anche se l’imbottigliatrice riempie il collo della bottiglia con gas inerte prima dell’inserzione del sughero.

Concludo che per vini da bere nell’arco di 1-3 anni chiusure alternative rappresentano una ottima soluzione, e in questa ottica la decisione del Consorzio del Vino Nobile di permettere tappi a vite per il Rosso di Montepulciano è positivo e — per le Denominazioni — molto significativo.

E per vini da lungo invecchiamento?  Per questi i sugheri sono potenzialmente più interessanti, visto quello che riescono a cedere ed a far passare, ma con diverse riserve. La qualità dei sugheri in primis, ma anche quali tannini rilasceranno e quali aromi.  Mannelli ha detto che i sugheri sono, come le barriques, un lancio di dadi: Possono avere effetti positivi sul vino, ma non sempre.

Continuerò ad apprezzare il sughero nelle bottiglie a lungo invecchiate, perché quando il suo contributo è positivo dona delle complessità affascinanti, ma non disdegno i tappi a vite. Per nessun vino.

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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