I Produttori Angelici4 min read

Barbaresco mi accoglie con la sua solita aria silente. Pochissima gente nelle (peraltro) pochissime strade. Il silenzio non viene scalfito nemmeno dai lavori del megamagazzino di molti piani che Gaja sta costruendo appoggiandosi alla collina su cui si arrocca questo paesino di nemmeno 600 anime. La cantina dei Produttori del Barbaresco si trova in cima al paese. La si riconosce dal simbolo di chiara matrice sabauda fuori della porta e da un murale che ci fa vedere l’imbottigliamento del vino in un passato grondante ricordi. Ma non si vive di ricordi in questa cantina cooperativa che da sola possiede quasi un sesto del patrimonio vitato della denominazione. Rimaniamo un attimo al passato, in particolare al 1967, anno in cui la produttori imbottigliò il primo Crù di Barbaresco, era il Moccagatta ed a questo sono seguiti gli altri otto, con il Pajè per ultimo, nel 1982. Venendo all’oggi la filosofia aziendale di questa cantina è presto detta: forte coesione tra conferitori e sede centrale, grande qualità nel vigneto, oculata attenzione in vinificazione ed affinamento (senza dare spazio alle mode passeggere). Gianni Testa è l’enologo ed il responsabile della produzione: l’ho conosciuto in tempi non sospetti durante un corso all’università d’enologia di Montpellier. Correva l’anno 1998 e se non avevi ettari di barriques in cantina non eri nessuno.Gianni era fortemente scettico a riguardo, anche se questo voleva dire non rientrare nel gotha (o presunto tale) dell’enologia italiana. Allora come adesso però i vini della Produttori erano riconoscibili tra cento per pulizia e finezza aromatica, nettezza ed eleganza gustativa. Negli ultimi anni Gianni si è tolto molte soddisfazioni: il vento è girato (per molti alti, oltre che a girare, è calato drasticamente) ed ora i suoi vini vengono portati ad esempio ed, ovviamente, raccolgono premi a man bassa. Gianni però è rimasto lo stesso: stessa grinta, stessa visione del lungo periodo, stessa schiettezza quasi disarmante durante la degustazione.

Ed arriviamo alla degustazione: la mia richiesta era quella di saggiare la tenuta e l’evoluzione di due grandi crù di Barbaresco e Gianni mi ha accontentato con Rabaja e Montestefano. Il primo sempre più elegante, il secondo importante e strutturato. Le annate partivano dal 1978 per poi arrivare al 1982 ed al 1985. C’era poi un salto generazionale che sorvolava le oramai introvabili 1989-1990 e si arrivava al 1995,1996,1997,1999 e 2000.

Le nostre particolari note degustative vi diranno cosa abbiamo pensato dei vini, ma adesso voglio parlare delle annate, usando le parole di Gianni, con alcuni chiarimenti miei tra parentesi.

1978. Sono tanti anni che non li assaggio: speriamo bene! Allora si facevano macerazioni lunghissime e c’era il rischio di trovarsi con tannini indomabili per il resto dei nostri giorni.

1982. Una certezza, ogni volta che li assaggio rimango stupito. Una grandissima annata, forse solo alla pari del 1999.

1985. Per me è un’annata sovrastimata. Da noi, forse per colpa anche del cambio di vinificazione che prevedeva tempi molto più brevi di macerazione, abbiamo prodotto vini eleganti ma non di grande serbevolezza.

1995. (Gianni è alla produttori dal 1986, quindi questa è la prima annata da lui vinificata). Si è voluto dargli il blasone di grande annata ma per me non lo è. E’ buona (ed infatti hanno fatto i crù) ma non eccezionale. Aveva il vantaggio di venire dopo il filotto 1991/92/93/94 che sono state veramente molto difficili.

1996. Peccato che queste bottiglie abbiano dei problemi di tappi, perché credo che quest’annata sia ancora giovane. Si aprirà tra qualche tempo. Senti anche il tannino come è ben saldo e rigoroso.

1997.Un annata che, senza offesa, potrei definire “beverina” (in realtà ha una frutta al naso ed una fresca rotondità che innamora. n.d.r). Non è certo sul livello del 1996 o del 1999.

1999. Carlo! ti giuro sui miei figli che in vinificazione mi sembrava di avere a che fare con altre uve. Un colore così non l’avevo mai visto. Anche il cantiniere, che aveva quasi 30 vendemmie all’attivo mi disse (loro parlavano in Piemontese io traduco in gergo italico) “Se non si sapesse che qui abbiamo solo Nebbiolo si potrebbe sospettare che si vinifichi Cabernet o Merlot”. Questa è veramente l’annata del millennio, forse atipica, ma solo in bene. Non lo scrivere altrimenti ti uccido (quindi mi ucciderà) ma sarei pronto a scommetterci che è merito di una grandinata a giugno che ha diminuito la resa del 35% senza intaccare le uve rimaste.

2000

Annata molto calda e difficile. Ci abbiamo creduto e sono contento di aver fatto i cru (sono infatti eccezionali. E ve lo dice uno che, in altri momenti, li ha assaggiati tutti). Sono comunque vini belli pronti, solari.

A fine degustazione un bel giro nei vigneti mi ha dato, purtroppo, la misura di quanto questo territorio si sia ampliato. Non vorrei essere nei panni di chi si trova vigneti in terre da noccioli. Ma questo è un altro tema e ne parleremo (diffusamente) il prossimo mese.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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