Degustazioni rossi Alto Adige: Lagrein bene, Pinot Nero così così.4 min read

Chi pensa che l’Alto Adige sia solo terra di bianchi deve leggere quest’articolo. Indubbiamente i loro uvaggi bordolesi o i Merlot e Cabernet in purezza difficilmente raggiungono un livello ragguardevole di profondità e di eleganza. Del resto non sono vitigni che storicamente si trovavano in zona. Nel 1984 c’erano solo 31ettari a Cabernet (non specificato se Franc o Sauvignon) e 54 di merlot, contro i 359 di Lagrein e 230 di Pinot Nero.

Ma il mercato voleva questi vitigni ed in Alto Adige sono corsi ai ripari: in 15 anni – dal 1990 al 2005 –  si è passati da quasi 80 a circa 430 ettari di vitigni bordolesi., Tutto questo mentre il Pinot Nero rimaneva al palo ( dai 226 ettari del 1990 ai 250 del 2000) ed il Lagrein addirittura diminuiva (296 he nel 1990 e 262 nel 2000). Per fortuna negli ultimi 5 anni si è ripuntato forte su questi due grandi vitigni e così gli ettari di Lagrein sono passati a 384 e quelli di Pinot Nero a 324, confermandoli come i due vitigni a bacca rossa (dopo la Schiava) più coltivati.

Dopo aver dato i numeri cerchiamo di scendere più nel dettaglio. Il Lagrein era storicamente un vitigno di pianura (anche se ultimamente qualcuno ha provato a piantarlo anche in collina con buoni risultati) che produceva vini rustici e poco armonici. Col tempo, con rese molto più basse e con interventi mirati di cantina è arrivato ad unire l’anima ruvida con un corpo vellutato e dei profumi intriganti, particolari ed in alcuni casi rispondenti a precisi terroir. Le note di terra fresca o di patata che si trovano nei Lagrein del comprensorio di Ora sono un inno alla diversità enologica. Ma il mercato vuole anche cose più standard ed allora alcuni tirano fuori profumini più omologati, anche se il problema più grosso era  quello del troppo legno. Fino a pochissimi anni fa infatti molte riserve sembravano vini del falegname:  per fortuna da almeno 2-3 anni siamo ritornati a più miti consigli. Sul fronte delle annate, a parte alcuni campioni del 2002,  svariavamo dal 2003 al 2005. Pare che il caldo del 2003 abbia dato un fastidio relativo al Lagrein, che ha presentato vini ben definiti dal punto di vista aromatico e mediamente freschi e vibranti al palato. Per parlare del 2005 è ancora troppo presto mentre ci sembra di poter affermare che il 2004 – se non si è prodotto molto nel vigneto- è stata un’ottima annata sia per profumi che per finezza, armonia e serbevolezza. In definitiva, come vedrete dai risultati dei nostri assaggi, i Lagrein altoatesini sono una scommessa sicura – non ci era mai capitato di non trovare nemmeno un vino da una stella – sia che si tratti di vini semplici, che di blasonate riserve!

Sul fronte del Pinot Nero le cose cambiano. Siamo di fronte ad un vitigno che “sente” fortemente l’annata, difficile da coltivare sempre, ma particolarmente ostico ed avaro di risultati se tutto non fila per il meglio. Pur confermando in toto la nostra fede in quest’uva e credendo fermamente che l’Alto Adige sia l’unica regione italiana dove questo vitigno possa avere grandi risultati, non siamo stati appagati dagli assaggi. Soprattutto nel 2004 abbiamo trovato una diluizione in qualche caso preoccupante: non solo in bocca, ma anche i profumi erano esili ed incerti. Speriamo solo che alcuni vini di cari amici mancanti all’appello (vero Franz Haas ????) mostrino maggiore carattere.  Sul fronte del 2003 invece non possiamo lamentarci: pur non raggiungendo vette eccelse abbiamo trovato ottimo rigore aromatico e buona pienezza. I segnali di surmaturazione sono rimasti segnali e mediamente i vini non sembrano venire fuori da quella torrida vendemmia. Il fattore forse più incoraggiante è stato vedere una ricerca di maggiore territorialità: molto spesso infatti i Pinot Nero altoatesini sembrano “Borgogna di serie B”, cioè vini che cercano di imitare la complessità borgognona senza riuscirci. Pur con le difficoltà del caso nel 2003 abbiamo trovato profumi più freschi che complessi, avvolgenti ma senza ruffianerie. Per noi questo è un segnale positivo: non vogliamo scomodare Giulio Cesare ma forse la strada di essere “Primi in Gallia piuttosto che secondi a Roma” sta trovando sempre più seguaci.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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