Degustazione rossi pugliesi: Primitivo über alles!5 min read

L’assaggio che la nostra “Colonna Pugliese” ci ha organizzato al Relais la Fontanina di Ceglie Messapica meritava maggiore fortuna dal punto di vista partecipativo-IGP . Infatti rimandandolo da gennaio  a causa del mio infortunio, non siamo più riusciti a mettere insieme tutti i partecipanti del gruppo.

Solo Lorenzo Colombo, oltre al sottoscritto, è venuto in Puglia per degustare un numero veramente importante, oltre 200, di rossi pugliesi. Prima di parlare dei risultati della degustazione ci vogliono i ringraziamenti: a Francesco Nacci e Lillino Silibello (patron  della Fontanina e di Botrus il primo, di Cibus il secondo)  per averci ospitato in maniera perfetta. Se Ceglie Messapica comincia ad essere ben conosciuta in Italia e nel mondo per i suoi ristoranti il merito è in gran parte loro.

Ma se, oltre al mio “convivente” (ormai siamo gastronomicamente insieme da una vita) Pasquale Porcelli non ci fossero state due persone Come Viviana Curri e Roberto Campana, questa degustazione non si sarebbe potuta fare.

 

Un grazie di cuore a chi si è sobbarcato lo spostamento e la suddivisione di questo mare di vino e veniamo al nutrito lotto di 222 rossi che, andando piano e cercando di degustare con particolare attenzione,  abbiamo “smaltito” in ben quattro giorni. Dato che Pasquale, da profondo conoscitore della materia, con il suo articolo (vedi) ha approfondito la parte tecnica, io cercherò di inquadrare questi vini in un’ottica più ampia, quella dell’appassionato italiano che deve trovare una motivazione per acquistarli.

 

Come vedrete li abbiamo divisi in cinque gruppi; i primi due molto nutriti, dove troverete tutti i vini composti da negroamaro o primitivo (in purezza oppure come vitigno principale in uvaggi), passando poi a nero di Troia e arrivando ai pochi Aglianico (purezza o uvaggio) e chiudendo con gli uvaggi più diversi, da vitigni internazionali o meno.

 

Partiamo dai Negroamaro così ci leviamo subito il dente. In effetti diversi vini, pur essendo notevolmente migliorati dal punto di vista tecnico, sembrano portare con se la vecchia etichetta “vino del sud”, dove per questo si intende un prodotto con alcolicità predominante, senza grandi aromi al naso e con un corpo magari importante ma non certo equilibrato. Se a questo ci mettiamo un uso spesso esagerato (per non dire caricaturale)  del legno, la situazione non migliora certamente.  Solo 24 vini su 87 sono arrivati e 3 o più stelle e questo non è certo un bel viatico per questo vitigno, che rappresenta sempre più l’incompiuta del vino pugliese. Per fortuna ci sono degli esempi che ti fanno ben sperare ma la domanda che mi sono fatto più volte è stata  “Perché a Roma o a Milano dovrebbero comprare questo vino, se non per un discorso di prezzo?” In diversi casi poi il discorso sul prezzo non si può fare e quindi rimane solo un vitigno che non riesce a decollare, come invece ha fatto il suo “alter ego” primitivo.

 

 

E veniamo così a quello che è in procinto di diventare un “must” dell’enologia italiana. Sicuramente lo è già a Gioia del Colle, dive questa enclave baciata dal dio bacco produce vini profumati, potenti, morbidi e spesso molto armonici. Un vero piacere degustativo, un grande godimento a tavola, anche se gli abbinamenti non sono proprio facilissimi. Guardando però il grandissimo successo di un vino molto prossimo a questi primitivi come l’Amarone il discorso abbinamento non sussiste. Uno beve un primitivo di Gioia semplicemente perché è buono, stop!

Sul Primitivo di Manduria il discorso è leggermente diverso ma sempre positivo: i vini sono ben fatti, ampi, di buona intensità,  piacevoli e l’unico problema lo possiamo trovare in una voglia (che nasce, va precisato, dalla storia di questo vitigno) ben poco nascosta di presentare vini con residui zuccherini veramente elevati. Sicuramente l’accoppiata zucchero residuo-buon legno inserita in un vitigno che ha potenza ma tannini morbidi è di sicuro successo ma così si rischia di standardizzare un’uva che invece è assolutamente eclettica. Per il resto abbiamo trovato interpretazioni di altissimo livello, che puntano ad una complessità generale ed a possibilità notevoli di invecchiamento tali da farle primeggiare non solo in Italia ma nel mondo.  Tra l’altro nei giorni di permanenza in Puglia abbiamo potuto constatare come il Primitivo regga benissimo l’invecchiamento, assaggiando vini di 10-15, addirittura 20 anni ancora in perfette condizioni.

 

 

E sull’uva di Troia cosa possiamo dire? Una certa staticità generale mi è sembrato di notarla: staticità a tutti i livelli, dove chi produce bene continua a farlo e chi balbettava ancora non parla correntemente il linguaggio del grande vino. Il vitigno è di quelli importanti, anche versatile visto che i migliori assaggi ce lo propongono sotto spoglie molto diverse, però la base ancora non sale come potrebbe e praticamente le uniche certezze possibili sono all’interno della DOC Castel del Monte.

 

Sull’Aglianico, visto il ristretto numero di vini assaggiati non mi sento di dare giudizi anche se le sensazioni sono positive, lo stesso sugli uvaggi dove però i dubbi sui vitigni internazionali continuano a sussistere con forza.

 

Come con forza voglio mettere di fronte tanti produttori all’assurdità di utilizzare bottiglie pesantissime, che sembrano più adatte a esercizi  da palestra che non al vino. Cari produttori, capisco il marketing ma alcune bottiglie sono assolutamente anacronistiche e fanno solo sorridere, ma per compassione. Se avete bisogno di chili di vetro per vendere poco meno di un litro di vino, qualcosa non quadra.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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