Bianchi irpini, ovvero le Ferrari non sono le Cinquecento4 min read

Ed eccoci alla sezione in bianco di Campania Stories . In verità potremmo definirla sezione Irpinia in Bianco, perché in queste righe parleremo quasi esclusivamente di Greco e Fiano che hanno il loro luogo prediletto nelle denominazioni Greco di Tufo e Fiano di Avellino, ma che non disdegnano comunque ottimi risultati in altre zone della Campania.

 

Oramai lo sanno anche i sassi, Fiano e Greco sono ai primissimi posti tra le uve bianche autoctone italiane.

In particolare il Fiano per me si colloca al primo posto assoluto ed è certamente la grande uva irpina e campana (l’aglianico mi scusi, ma per me è così. Il Greco viene subito dopo e, alla pari con il Verdicchio, occupa il podio.

 

Il Fiano è senza dubbio il principe dei vitigni autoctoni in quanto riesce ad unire piacevolezza, riconoscibilità, corpo e grandi possibilità di maturazione: quest’ultima caratteristica verrà sempre più riconosciuta con il passare del tempo, perché solo da pochissimi anni la stragrande maggioranza dei produttori ha capito di avere per le mani una Ferrari che porta a grandi risultati, anche se “guidata” come una Cinquecento.

 

In realtà questa scoperta tardiva è stata la vera fortuna del Fiano di Avellino, perché così la denominazione quasi in toto è riuscita a non dare retta alle sirene che invogliavano all’utilizzo del legno per fare dei vini da invecchiamento.

Molti produttori (ripeto per fortuna) o non pensavano che il Fiano potesse maturare e migliorare nel lungo periodo oppure non avevano tempo, spazio e denaro per infilare in cantina delle barriques (oltre a quelle dedicate al fratellone Aglianico, poveretto).

 

Così il Fiano di Avellino ha potuto superare indenne quel periodo e presentarsi per quello che è:  una grande uva, che può maturare migliorando per anni anche senza essere trattata da grande uva, ma semplicemente producendola e vinificandola con grande attenzione. In questo caso riesce anche a marcare il territorio e sarebbe interessante che le varie zone identificate e delimitate a suo tempo per l’Aglianico venissero ricercate anche per il Fiano.

 

Il Greco forse non ha la duttilità del Fiano ma la sua innata freschezza, che si sposa alla classica e stuzzicante tannicità, lo porta ad essere il perfetto bianco abbinabile ad infiniti piatti e che può (forse non in ogni caso come il Fiano) dare grandi soddisfazioni dopo diversi anni. Personalmente lo trovo in molti casi più intrigante e gratificante del Fiano, nonchè molto più riconoscibile. Forse in invecchiamento assume minori complessità ma è comunque un vino che bevo sempre con immenso piacere.

Detto questo rimetto un po’ il violino nella custodia perché devo aggiungere che si sta correndo un grosso rischio, quello di voler vendere l’uovo nel sedere della futura gallina: proprio per le loro grandi caratteristiche questi due vini-vitigno  dovrebbero essere messi in commercio COME MINIMO dopo 15-18 mesi dalla vendemmia e invece c’è la corsa ad uscire per primi.

Quest’anno i nostri assaggi, effettuati pochi giorni prima di Vinitaly hanno visto partecipare un numero abbastanza importante di 2015, anche di cantine di nome, che dovrebbero-potrebbero far valere sul mercato il loro marchio e uscire con maggiore calma.

 

Non è una giustificazione certo la “prontezza” della vendemmia 2015, sicuramente più malleabile, rotonda e piaciona rispetto alla 2014 né la classica scusa che far aspettare un cliente vuol dire perderlo.

 

Cari produttori irpini, ora che cominciate ad affacciarvi al mondo del vino internazionale con prodotti validi, dovreste anche leggermente rimodulare le vostre esigenze commerciali e avere il coraggio di tenere il vino almeno qualche mese in più in cantina per poi venderlo con un lieve sovrapprezzo.

 

Se non iniziate voi a dare valore al vostro lavoro pensate che siano i vostri clienti di Capri o della Costiera Amalfitana a farlo? Crescere vuol dire anche fare delle scelte e chi ha in mano la Ferrari di prima e non la valorizza nella giusta maniera alla fine la svenderà a clientela inattenta e superficiale che vi tratterà sempre come se vendeste Cinquecento.

 

Dopo questo sfogo mi sento meglio e, prima di chiedere occorre dedicare alcune righe sia ai fiano e greco prodotti nel Cilento (oramai non più una sorpresa) che in generale alle uve e ai vini del Sannio (falanghina in testa) di cui parleremo ampiamente dopo l’assaggio che il Consorzio Sannio ci sta organizzando.

Già che ci siamo dobbiamo ringraziare questo piccolo consorzio, d’esempio non solo in Campania ma in tutto il centro-sud Italia per l’attenzione che pone al lavoro giornalistico e per come riesce a supportarlo. I nostri ringraziamenti devono essere naturalmente allargati a Miriade & Partner’s (se non ci fossero bisognerebbe inventarli) per come ogni anno propone una Campania Stories di altissimo livello.

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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