Asti DOCG: perché no!4 min read

Prima dell’assaggio.

 

Ci siamo avvicinati a quest’assaggio con sentimenti contrastanti. Da una parte c’era la certezza di dover assaggiare quelle che vengono definite a torto o a ragione “produzioni industriali”: dall’altra il timore quasi riverenziale di trovarsi di fronte al vero mercato, quello che fa i numeri. Non le 2000 bottiglie contese ed introvabili ma i quasi 80 milioni, forse meno contesi ma che si possono trovare da tutte e sottolineo tutte, le parti del globo. Qualcuno potrebbe insistere e chiederci perché non abbiamo assaggiato i Moscato d’Asti DOC (quelli che in gergo vengono anche chiamati “tappo raso”) che nell’immaginario collettivo rappresentano la punta di qualità per questa tipologia di vino, che spesso gli intenditori snobbano e che ricambia volentieri fregandosene delle valutazioni della stampa di settore. Il motivo principale è che volevamo proprio andare “nella tana del leone” e per una volta assaggiare vini trovabili da tutti e non solo dagli appassionati.

Mentre ci avvicinavamo alla sede del Consorzio dell’Asti mi venivano in mente le volte che, per far fare una bella figura ai partecipanti di corsi di degustazione, facevo assaggiare in maniera anonima una bottiglia di Asti spumante e gli chiedevo che vino fosse. Praticamente tutti lo riconoscevano. Un prodotto che è quindi nell’immaginario olfattivo di chi almeno una volta ha bevuto vino. Un’altra volta, sempre servendo in maniera anonima un Asti,  un ragazzo mi disse “Questo vino sa di Babbo Natale!”. La frase mi è sempre rimasta impressa perché dimostra quanto sia forte il legame di questo prodotto con ricorrenze o momenti importanti. Almeno in Italia non si beve mai un vino del genere se non in momenti e ricorrenze particolari.
il quadro era quindi complesso e (adattando la matematica alle logiche  dei nostri assaggi) riassumibile nell’equazione:

 

(vino “industriale”+ milioni di bottiglie)  x  mercato globale / grande storia + riconoscibilità planetaria =???????

 

Nell’equazione avrete trovato anche le parole”grande storia” che per l’Asti non è certamente campata per aria. Da una parte infatti un vitigno che si trova in regione da più di settecento anni dall’altra un sistema di vinificazione che partendo dal 1600, attraverso nomi come Giovan Battista Croce, Carlo Gancia, Federico Martinetti e, last but no least, Alfredo Marone, ha creato un prodotto inconfondibile.
Ma adesso andiamo avanti e cerchiamo la soluzione della nostra abborracciata equazione.

Durante l’assaggio.

La sede del Consorzio è quanto di più funzionale si possa chiedere: le sale sono ben illuminate sia dalla luce solare che da quella artificiale: l’organizzazione è rodata e ci ritroviamo subito al tavolo con i bicchieri davanti. Pochi minuti di convenevoli ed iniziamo l’assaggio dei nostri campioni. Dopo i primi quattro ci guardiamo negli occhi e non nascondiamo il nostro stupore. Vini profumati, non scontati, di buona grassezza, con perlage abbastanza consistenti. Ma dove sono i “vini industriali”?. Non tutti gli assaggi sono andati così, ma mediamente l’Asti è uscito bene dalla degustazione. Ben pochi campioni avevano aromi scarichi o di scarso pregio, bocche scomposte e/o povere. Complessivamente, guardando anche ai prezzi a cui vengono venduti questi vini (mediamente intorno ai 5€ al supermercato) non ci sentiamo di demonizzarli, anzi……..

Dopo l’assaggio.

Anzi…….. ci sentiamo di dare un consiglio a tutti i nostri colleghi. Cominciamo a dargli lo spazio che meritano! Non si vive di solo Cannubi!
Alla fine quindi siamo rimasti positivamente sorpresi dall’Asti a cui abbiamo trovato un solo grosso difetto: la mancanza dell’annata nella bottiglia. Solo uno o due vini assaggiati avevano l’annata riportata in etichetta. Se proprio non si riesce ad arrivare a questo, cari produttori, almeno riportare in maniera chiara la data di imbottigliamento. Per un vino che va prevalentemente al grande pubblico e che è probabile possa sostare per tempi medio lunghi in depositi ai quattro angoli del globo, questo dovrebbe essere un imperativo categorico di chiarezza e trasparenza!
In definitiva, crediamo di risolvere bene la nostra equazione iniziale se, partendo dalla conferme qualitative medie avute dall’assaggio, al posto dei punti interrogativi mettiamo: “buon vino dolce spumante”.
Potrà sembrarvi semplice, ma se ci pensate bene cosa è l’Asti DOCG se non questo?. Cosa chiede il mondo all’Asti DOCG se non questo? Noi ci siamo solo arrivati per una strada tortuosa, ma il risultato non cambia.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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