Assaggi Chianti Classico, Riserva e IGT: in attesa del matrimonio..6 min read

Avete presente cosa è diventato il calendario del campionato di calcio di Serie A? C’è scritto per esempio “11^domenica il 4 Novembre 2012” e poi si scopre che fra anticipi del sabato, alle 12 della domenica, posticipi serali e magari del giorno dopo, da un giorno arriviamo a 3.

Un po’ la stessa cosa accade assaggiando Chianti Classico e Chianti Classico Riserva dell’ultima annata in commercio: pensi di ritrovarti davanti rispettivamente 2010 e 2009 e invece arrivano tanti 2009 annata con la scorta di 2008, mentre per le riserve, passando dal 2008 si arriva fino al 2007. Per gli IGT chiantigiani la cosa è ancora più amplificata perché puoi andare indietro dal 2011 per molti anni.

Non è certamente un male ma è sempre più difficile affermare “Abbiamo assaggiato i Chianti Classico 2010” se poi nella degustazione ne trovi altrettanti, appena usciti, del 2009. Tutto questo comunque suona strano anche perché da alcuni anni il disciplinare permette di uscire addirittura a 12 mesi dalla vendemmia.

La causa? In parte la consapevolezza sempre maggiore che, disciplinari a parte, il Chianti Classico ha bisogno dei suoi tempi di maturazione ma soprattutto perché il mercato non è che tiri come una volta e quindi le annate vanno in commercio quando la precedente è esaurita o quasi.

Noi invece abbiamo esaurito il nostro compito dopo oltre 300 campioni degustati (a proposito, un grazie al Consorzio per la solita ottima organizzazione) e cinque giorni di assaggi. Eccovi i nostri commenti, divisi per tipologie.

 

Chianti Classico 2010 ( e 2009 con qualche 2008)

Facendo “di tutte le annate un fascio” la media stelle dei Chianti Classico è di 2.5 stelle, precise precise. Le differenze sostanziali tra le due principali annate degustate stanno soprattutto in una maggiore freschezza ed immediatezza del 2010 rispetto ad una  struttura  più marcata dei 2009.

La media stelle non è certo altissima (e purtroppo non è la più bassa degli assaggi di quest’anno) e ciò si deve in buona parte al fatto sottolineato anche lo scorso anno (vedi) e cioè al “non aumento” (chiamiamolo così) medio qualitativo del Chianti Classico negli ultimi anni. Certo non siamo di fronte ad annate eccezionali ma quelle oramai sembrano essere l’eccezione e non la regola in una toscana sempre più calda e dove “non esistono più le mezze stagioni”.

Questo “non aumento” viene in parte bilanciato dalla piacevolezza che tanti Chianti Classico mostrano e che porta alla considerazione di come questo vino stia cambiando pelle, portandosi sempre più verso equilibri e rotondità che non sempre ricordano in pieno il sangiovese.

E’ vero che il mercato e i gusti cambiano ed è altrettanto vero che il 20% di altre uve è ammesso dal disciplinare, ma forse un “ricompattamento sul sangiovese” potrebbe essere auspicabile. Per fortuna c’è chi continua tranquillamente sulla sua strada e propone ottimi esempi di quella “fresca, piacevole ed elegante rusticità” marcata Sangiovese che non può che far innamorare al primo sorso.

Ma, tornando al discorso di prima e dello scorso anno sembra che lavorare bene il sangiovese sia sempre più difficile, infatti…

 

 

Chianti Classico Riserva 2009 (e 2008 con qualche 2007)

Infatti entrando nel campo delle riserve la situazione non migliora certamente, anzi. La media stelle qui scende a 2.41, dato non certo esaltante. Questo perché una buona fetta di Riserve perde per strada quella piacevolezza che almeno i Classico base conservano, facendo rimanere in primo piano tannini duri e non eccessivamente maturi e nasi non certo di grande complessità e profondità. Purtroppo solo 28 su ben 87 vini hanno raggiunto almeno 3 stelle mentre buona parte del resto si posiziona in un limbo di senza infamia ne lode che continua a farci sostenere la tesi della tipologia “vaso di coccio tra vasi di ferro”. Questi vasi si chiamano da una parte Chianti Classico e dall’altra Supertuscan e quando vedrà la luce la nuova tipologia approvata (vedi) di “Superchianticlassico” la situazione per le riserve peggiorerà ancora.

Traducendo in soldoni: praticamente da sempre le migliori uve aziendali vanno nel Supertuscan di grido e da qualche anno, complici anche i nuovi impianti fatti a cavallo degli anni 2000 si preferisce destinare le uve di vigne ancora giovani ma di buon livello verso il “più semplice” Chianti Classico.

La Riserva, anche se viene prodotta in buoni numeri si trova nel mezzo a questa situazione e quindi spesso si deve accontentare di sangiovese più “difficili” e magari non adatti all’invecchiameto, a cui magari una bella iniezione di merlot non può fare che bene. Insomma, travasiamo il tutto nel superchianticlassico (che nasce proprio con caratteristiche che potrebbero “riunificare” supertuscan e riserva) e non ci pensiamo più, anche se….

 

 

Supertuscan e giovani IGT (dal 2011 al 2006)

Anche se quando Atene piange Sparta non ride. Infatti, pur avendo trovato dei grandi vini in questa categoria non possiamo non far notare che ben il 5% dei vini degustati è stato escluso per difetti vari. Questo, in una tipologia famosa nel mondo per la sua irreprensibile qualità, non è certo un gran viatico.

Ma andiamo a vedere il bicchiere mezzo pieno, identificabile non tanto nella non eccelsa media stelle di 2.55 (poco più alta dei Chianti Classico) ma nel bel gruppetto di prodotti che in questi assaggi hanno veramente fatto la differenza.

Oltre ad un 14% di vini veramente da non perdere abbiamo quasi il 50% dei vini che raggiunge o supera le 3 stelle. Una bella fetta di vini, purtroppo tirati verso il basso (come media) da un abbondante 20% di prodotti che non danno certo lustro alla categoria, sia per avere difetti acclarati sia per non avere pregi, sia per essere stanchi e incomprensibilmente messi tardi in commercio.

Ma ritorniamo ai meritevoli, sottolineando come la “laicità” della categoria ci permetta di valutare e premiare (senza false remore sangiovesiste…) vini da vitigni non certamente chiantigiani come Cabernet Sauvignon, Syrah, Pinot Nero e Merlot. Accanto infatti a sangiovese di razza trovano posto tanti non autoctoni di altissimo livello a dimostrazione di come, col tempo e con l’esperienza il chianti accoglie tutti e a tutti dona un po’ della sua “allure”.

In definitiva chi esce peggio dall’assaggio sono le Riserve. I chianti classico d’annata hanno comunque un loro senso e soprattutto una precisa connotazione commerciale (per non parlare di un livello qualitativo superiore). D’altro canto I Supertuscan riescono sempre a colpire la fantasia mentre le Riserve, oltre a non trovare un loro spazio preciso sia in produzione sia in commercializzazione stentano ad emergere per i problemi suddetti.

Se un senso avrà il futuro Superchianticlassico sarà quello di far sposare una signora un po’ stanca di nome Riserva ad un baldanzoso giovane dal nome anglofono ma dalle forti radici nel Sangiovese e nel territorio chiantigiano.

________________________________

In corso d’opera abbiamo destinato alcuni IGT maremmani fatti da aziende chiantigiane ad una successiva degustazione di IGT della costa toscana: ecco perché non sono qui presenti.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


ARGOMENTI PRINCIPALI



0 responses to “Assaggi Chianti Classico, Riserva e IGT: in attesa del matrimonio..6 min read

  1. A proposito del tuo parere sulle riserve (” le Riserve, oltre a non trovare un loro spazio preciso sia in produzione sia in commercializzazione stentano ad emergere per i problemi suddetti.”), vorrei dirti qualcosa in piu’ di due paroline, scusa la lunghezza del commento.
    In un articolo di esattamente 9 anni fa pubblicato su quel Winereport che con Ziliani era davvero grande (http://www.winereport.com/winenews/scheda.asp?IDCategoria=21&IDNews=1075), scrissi della gran voglia di freschezza nel Chianti.
    Testuali parole: “Addapassà  a nuttata. E la notte è passata, ma il dubbio mi rimane. Sono per caso uscito fuori dal mondo io? Quei vini ben costruiti in vigneto, con le densità  d’impianto che vanno per la maggiore, con un chilo d’uva per ceppo, con le barrique, con tutti i crismi e i sacramenti del caso, che costano un occhio della testa e che sono senza dubbio molto buoni, cominciano a non piacermi più di tanto. O meglio, mi piacciono ma non ne comprerei, non ne berrei a tavola, non mi fanno proprio venire la voglia di berli con le lasagne al ragù e con i gnocchi al gorgonzola o con il filetto al pepe, la tagliata alla rucola, una bella cotoletta alla milanese e nemmeno con i profumatissimi prosciutti di Parma o con i salami della bergamasca, belli morbidi e grassi. Ecco, giuro che sono un po’ interdetto, oggi, per questa… chiamiamola scoperta (per non dire shok) che quel genere di grandi e famosi vini pluripremiati e pluriosannati non fanno più al caso mio, come se fossero di un mondo a sè stante. Se li fanno fra di loro, poche migliaia di bottiglie, se li degustano professionalmente con la sputacchiera a portata di mano e agitando come nevrotici il calice, se li incensano da soli e che se li bevano pure tutti loro, tanto è tutta pappa per lorsignori. A noi poveretti, che ce frega? Abbiamo i nostri vini profumati e sanguigni, al prezzo di uno solo di quelli là  me ne compero un cartone di questi! Quando ho bevuto il Villa Cafaggio normale e poi la riserva, e poi ancora il normale, io l’ho soltanto buttata là , ma non era una boutade: perchè fate la riserva? Ha senso ancora fare la riserva al giorno d’oggi? Sono rimasti un po’ sconcertati…”

  2. Non è mia abitudine gioire, quando leggo di aziende i cui vini vengono piazzati agli ultimi posti in degustazioni ” blinding “, ma in questo caso ho provato molta soddisfazione personale, perchè il vino chianti di un figlio di papà , dal quale sono stato offeso ed insultato alcuni anni addietro su di un blog, è stato classificato agli ultimissimi posti ! Consiglio a questo figlio di papà , di imparare a fare il vino ed imparare a degustarlo, prima di lanciare accuse a vanvera a chi ha i capelli bianchi e di vini ne ha assaggiati a migliaia in ogni angolo del pianeta ! Alla fine i conti tornano sempre ( o quasi ), in questo caso molto bene ! Si impegni giovanotto, si impegni che forse ce la farà  ! 🙂

  3. @ Mario: caro Mario, è bello non sentirsi soli e “fuori dal coro” quando ci sono persone come te che più o meno negli stessi anni in cui noi arrivavamo a quelle deduzioni, tu arrivavi alle stesse conclusioni. E la musica da quegli anni non è cambiata, pare ci sia una sorta di “accanimento terapeutico” sui vini a “riserva” da parte di molti produttori, in ogni parte d’Italia. Ce la mettono tutta a rendere quel vino una caricatura di se stesso, dimenticandosi (per fortuna) di quelle stupende basi che riposano tranquille e che fanno uscire senza averle toccate per la gioia di quelli che il vino lo vogliono bere e accompagnare sulla tavola anzi che stare a guardarlo e annusarlo per ore cercandovi emozioni ancestrali che mai arriveranno e intortando i commensali vicini di lucubrazioni mentali che contribuiscono solo ad intristire la tavolata.

  4. @ Gianpaolo: caro Gianpaolo, ti ringrazio e ti assicuro che a quelle deduzioni e a quelle conclusioni ci siamo arrivati in tanti piu’ o meno negli stessi anni, tanto che io, almeno, non mi sono mai sentito solo e “fuori dal coro”. Carlo, che gia’ allora scriveva per lo stesso portale in cui scrivevo anch’io (anche oggi, da poco, e’ tornato a farlo) e’ testimone che rappresentavamo il pubblico bevente, quello che compra al supermercato e in enoteca, quello che con lo stipendio fisso e una famiglia da mantenere vuol bere bene anche senza spendere un patrimonio. Tutto un altro mondo rispetto alle luci della ribalta, ai podi, ai concorsi, ai premi, insomma agli “illuminati” delle elucubrazioni mentali. Carlo sa che una volta bevevamo il vino in osteria, da bicchieri di vetro recuperati dalla nutella, senza gambo, anche su tavolacci di legno all’aperto e dalla brocca. Allora conobbi Vasco Sassetti, dove ho conosciuto il primo Brunello (e il primo amore non si scorda mai) e quel tipo d’uomo aveva un amore per i formaggi e per il vino che definire straordinari e’ poco, capiva i gusti di noialtri poveretti e faceva un vino piacevolissimo e a prezzi decenti. Sono contento che nel tuo bel commento mi hai ricordato quella gioventu’, mi hai tolto quarant’anni, che e’ esattamente quello che mi aspetto dai Chianti, cioe’ togliersi di dosso quarant’anni di chimere e ritornare grandi come una volta, quando il successo l’hanno conquistato meritatamente presso la gente semplice di tutti gli angoli del mondo. Eppure erano in fiasco, non costavano un occhio della testa, andavano bene dagli antipasti fino ai biscotti da inzuppare, piacevano a tutti e non avevano bisogno di intenditori, premi, concorsi, mass-media e quant’altro perche’ parlavano da soli, nel bicchiere, con profumi e gusti indimenticabili.

  5. Buongiorno. I Chianti di una volta, con il loro indimenticabile profumo, ho fatto in tempo a berli anch’io e perfino a zupparci il pane (toscano, ovviamente, ma anche l’ormai introvabile milanesissima michetta). Averne! Starei pero’ attento a farmi prendere dalla nostalgia, perche’ in anche quegli anni molti vini non valevano granche’, con difetti magari opposti agli attuali:esili, sbilanciati, piu’ imprecisi che nobilmente rustici. Vivendo da qualche tempo in Inghilterra e lavorando per una multinazionale, qualche idea sulle pecche del Chianti Classico in termini di marketing me la sono fatta. Troppa varieta’ di stili, insufficenti indicazioni in etichetta, scimmiottamento di gusti “presunti” internazionali. Avrei una piccola ricetta: “zonazione” per macroaree del Chianti Classico, che chiarirebbe le idee e permetterebbe una premiante diversificazione. Una divisione in tre categorie (“base”, contemplando anche le uve bianche; Superiore, solo uve rosse; Riserva, da prodursi solo quando l’annata realmente merita). Una volonta’ coesa dei produttori ad alleggerire i vini di punta, in cerca di maggior finezza. Al corso del WSET, ci hanno fatto assaggiare come paradigmatica la riserva di un notissimo grosso produttore ed ho pensato “meno male che il Chianti Classico non e’ questo”: finiva per assomigliare troppo a un moderno Rioja -senza averne i pregi- con tutto quel legno; era contratto, greve. Eppure esisterebbero modelli di riferimento anche per Riserve con carattere di autenticita’, che dimostrano quanto il territorio del Chianti possa dare: penso a Montevertine, alle Riserve di Val delle Corti e qualche altra. Quanto al Clante, l’idea in se’ sarebbe anche buona, ma il nome e’ sbagliato, non intuitivo ne’ in Italia ne’ all’estero, e finisce per generare altra confusione; col rischio che diventi un brand (perdonatemi l’odioso termine) a se’ stante, quindi non sostenibile nemmeno in termini di investimenti.

  6. Federico, mi piace molto quello che hai scritto, se lo sviluppi un po’ di piu’ piacera’ anche ad altri.

  7. @Mario. La ringrazio per l’apprezzamento. Io sono solo un appassionato, mi diletto al massimo a raccontare qualche bottiglia (non giudicare) su un mio piccolissimo blog. Articolerei volentieri la mia proposta, ma non saprei come darle visibilita’. L’argomento pero’ mi sta molto a cuore, pertanto se ha qualche suggerimento, l’accetto volentieri!

LEGGI ANCHE