Yin e Yang a Pauillac: due Châteaux ”speculari” nel cuore di Bordeaux. Prima parte8 min read

Li si può vedere entrambi, quasi l’uno di fronte all’altro, situati su una delle collinotte scoscese che ondulano il Médoc.

Siamo a Pauillac e mi riferisco ai due châteaux gemelli nati dall’antica proprietà Rauzan:  lo Château Pichon-Baron Longueville e lo Château Pichon-Comtesse de Lalande. Al confine, vicinissime, sono le vigne dello Château  Latour, e poco più in là ecco gli Châteaux Léoville-las-Cases e Léoville-Poyferré, con Léoville-Barton  a ovest, nati dalla proprietà originaria Léoville a seguito dello smembramento seguito alla Rivoluzione del 1789. Insomma, siamo nel cuore “del” Bordeaux.

Pichon-Baron e Pichon-Lalande, come li chiameremo per brevità, non furono però divisi dalla Rivoluzione, ma da una disposizione ereditaria, quando il Barone Joseph de Pichon-Longueville , in previsione della sua  morte, avvenuta nel 1849 alla bella età di 90 anni, fece suddividere i 50 ettari della proprietà in cinque parti uguali, due delle quali furono assegnate all’unico figlio maschio sopravvissuto, Raoul e le rimanenti alle sue  tre sorelle. I due quinti di Raoul formarono così lo Château Baron-Pichon,  e gli altri  tre quello che sarebbe diventato lo Château Pichon-Comtesse de Lalande, quando una delle tre sorelle di Raoul, Virginie, sposò il Comte de Lalande.

Le donne

E’ un leit-motive quello che vuole differenziare i due Châteaux  in base alla  caratterizzazione, “maschile” di  Pichon-Baron (lo yang della dicotomia taoista) e “femminile” di Pichon-Lalande (lo yin), facendo sia riferimento alle loro origini  (uno Château ai figli maschi e uno alle figlie femmine del Barone), sia alle  differenze tra i loro grand vin.

Quanto al primo motivo, in realtà, delle donne furono protagoniste di entrambi gli Châteaux, quando erano ancora una sola proprietà: tre in particolare. La prima fu Thérèse , figlia di Pierre Desmesures detto de Rauzan,  il fondatore, che nel 1692 acquistò quello che  fu denominato l’ Enclos Rauzan, un terreno contiguo alle  vigne di Latour, che andava ad aggiungersi ai suoi possedimenti di Margaux (gli odierni Château Rauzan-Ségla e Rauzan-Gassies).

Thérèse  ricevette la proprietà di Pauillac come parte della sua dote per le nozze con Jean-François de Pichon de Longueville  (donde il  nome attuale), un ufficiale che preferì continuare la sua carriera militare lasciando la gestione delle vigne alla moglie.  Lei lo fece ottimamente, anche estendendole ulteriormente con l’acquisizione di altre parcelle. La seconda donna fu Germaine de Lajus, che nel 1730 andò a nozze con Jacques de Pichon, barone di Longueville. Ma quando i due Châteaux  furono separati (legalmente ciò accadde solo nel 1908, anche se  i loro vini furono vinificati separatamente già dal 1860) fu ancora un’altra donna,  Virginie, la Comtesse de Lalande, a gestire le terre dello Château  nato dall’eredità delle sorelle Pichon-Longueville. Fu lei che fece costruire lo Château che ancora oggi si può ammirare, circondato dalle vigne di Latour e quasi a fronteggiare quello del fratello .

Ma la tradizione femminile del Comtesse de Lalande ebbe un seguito quando, mezzo secolo dopo che  la proprietà era stata venduta ai fratelli Mialhe, allora comproprietari anche di Palmer,  un’altra donna prese le redini dello Château:  era una figlia di Edouard Mialhe, Eliane de Lenquesaing, detta anche “la generalessa”, sia perché moglie di un militare, sia per il polso con cui diresse la proprietà, lavorando a stretto contatto di gomito con  Jean-Ribereau-Gayon e il grande Émile Peynaud. E più recentemente, un breve interregno femminile é stato quello di Sylvie Cazes, quando nel 2011 assunse la direzione dello Château, prima di venire sostituita l’anno dopo da Nicolas Glumineau, arrivato da Montrose e attuale régisseur.

Che  la “femminilità” dei vini  di Comtesse de Lalande  rifletta in qualche modo l’impronta data dalle sue grandi donne, è probabilmente solo  una bella leggenda. Certo i vini dei due Châteaux gemelli appaiono più  diversi di quanto la vicinanza e le comuni origini potrebbero far supporre: intenso e potente Pichon-Baron quanto delicato e ricco di charme è Pichon-Lalande. Il diverso assemblage adottato (predominanza del cabernet in Pichon-Baron, maggiore invece l’apporto del  merlot nel Comtesse de Lalande) può spiegarlo  in parte. Ma, alla sua origine, ci sono diverse scelte di stile da parte dei winemakers e del management delle due proprietà:  Jean-René Matignon e Christian Seely a Pichon-Baron, Glumineau a Pichon-Comtesse.

Vigne e vinificazione

Come detto lo Château Pichon-Baron è situato su una piccola collinetta delle Graves , che si  “erge” ben fino a 21 m. di altitudine (sei più di quella di Latour, ma più bassa di quella, culminante a 30, di Mouton-Rotschild e Lafite, tra le più alte del Médoc), sul lato opposto della strada  dipartimentale 2 rispetto allo Château Latour.

Lo Château Comtesse de Lalande si trova in parte sullo stessa croupe e in  parte su quella vicina di Latour. Si tratta di suoli di qualità eccezionale, profondi e magnificamente drenati grazie al vicino torrente di Julliac, che marca il confine tra Pauillac e St. Julien-Beychevelle. E’ in questi due terroir che la falda di graves güntziane è stata meglio conservata, ciò che spiega il carattere  molto ciottoloso dei suoli.

L’estensione delle vigne si è oggi assestato su 73 ettari (agli inizi degli anni ’80 era di soli 35 ettari). Il cabernet sauvignon, piantato sui siti di graves più profondi,  vi è ampiamente prevalente (65%),  il merlot è al 30%, con il 3% di cabernet franc e il 2% di petit verdot. Queste percentuali dell’uvaggio non ingannino: quella del cabernet nell’assemblage del  grand vin è generalmente ancora più alta, talvolta vicina o anche superiore all’80% (nel 1994 fu addirittura il 100%, caso restato unico). Dal  2001 il cabernet sauvignon del vino più importante proviene  unicamente dai  circa 40 ettari situati sul plateau di Pauillac, accanto alle vigne di Latour,  dove la qualità è eccezionale. E’ anche dovuta principalmente a questa scelta, che ha notevolmente ridotto la produzione annua dell’etichetta principale (da 30.000 a 18.000 casse), l’impressionante impennata qualitativa del grand vin degli anni più recenti. La densità degli impianti è di circa 9.000 ceppi (Guyot médocain o Guyot-Poussard) per ettaro,  e le vigne più vecchie   hanno un’età di circa 65 anni. Le altre vigne si trovano nei settori  a nord e a ovest dell’appellation. Il merlot  è piantato su suoli argilloso-sabbiosi ricchi di residui ferrosi nelle aree più fresche, principalmente nella parcella di Saint-Anne, ed è impiegato soprattutto nel Les Tourelles de Longueville, un altro dei  vini  prodotti presso lo Château. Il cabernet franc  si trova sui suoli più argillosi , ma, come il petit verdot,  dal 2006 non è più  impiegato nel grand vin , ma solo nel Tourelles.

Pichon-Baron comprende una  settantina di parcelle distinte,  differenti tra loro per caratteristiche (posizione, natura del suolo,  precocità o tardività), tutte attentamente monitorate via satellite. Le uve, vendemmiate a mano, sono vinificate separatamente per varietà e parcella.  Particolarmente accurate sono le procedure di cernita delle uve. A quelle manuali dal 2002 si è aggiunta la scansione ottica.  Per la vinificazione sono disponibili 44 grandi vasi vinari in acciaio inox, da 64 fino a 220 hl. e 8 grandi botti da 80 a 135 hl. (queste ultime riservate al merlot). I mosti restano nei vasi vinari anche per la malolattica, poi sono posti ad affinare in barriques di legno francese la cui tostatura viene modulata secondo la vendemmia. A questo scopo lo Château si avvale della collaborazione di un gruppo di bottai con i quali vengono di volta in volta scelti legni e tostature, nell’intento di rendere il legno meno invasivo ed esaltare la personalità del vino. Per il grand vin vengono impiegati  fusti nuovi nella misura dell’80%, e il tempo di affinamento è di 18-20 mesi. Per gli altri vini prodotti allo Château la percentuale di legno nuovo è sensibilmente minore, come variabili , e generalmente inferiori, sono i tempi di permanenza nei piccoli fusti.

Gli assaggi

Château Baron-Pichon 2010.  E’  un vino superbo, di straordinaria eleganza e nobiltà, la quintessenza di  Pauillac,  con una “subtlety” che evoca a tratti la vicina St.Julien: ha colore intenso, ancora molto giovanile, aroma complesso, nel quale  le  note di frutti rossi e neri si compongono con  suggestioni di pepe verde, anice, grafite. Sul palato è esplosivo, di grande freschezza acida, ha struttura tannica potente, ma di notevole finezza, con ritorni di  frutti neri e spezie esotiche. Un grandissimo Pichon-Baron,  meno dimostrativo del celebratissimo 2009, ma di notevole armonia  e ineguagliabile eleganza.

Difficile dire oggi se sia  la 2010 la  più grande annata di Pichon-Baron degli anni  duemila, oppure l’altrettanto affascinante 2016 che abbiamo assaggiato appena qualche minuto prima e di cui parleremo nella seconda parte. Troppa la distanza di anni tra i due vini: mentre il vino del 2010, pur avendo davanti a sé ancora lunghissima vita (almeno un paio di decenni) si rivela già oggi con buona compiutezza, quello del 2016 lo si deve ancora in parte immaginare. Ma la promessa di grandezza è indubbia.

Les Tourelles  de Longueville 2014 : Colore rubino profondo, aroma floreale, con note  di ribes e more, sul palato ha impatto più delicato, ma struttura solida, tannini ben fusi, bella lunghezza. Una buona introduzione allo stile di Baron-Pichon: si tratta di un vino equilibrato  e gourmand progettato per essere consumato  più presto del grand vin e de Les Griffons (di cui parleremo nella seconda parte), anche se  il vino ha struttura e buona resistenza all’ invecchiamento. L’assemblage dell’annata è costituito per il 65% da merlot delle vecchie vigne di Sainte-Anne, dal 20% di cabernet sauvignon, il 10% di cabernet franc e il 5% di petit verdot. Le uve di questa vendemmia sono state raccolte in perfetto stato di maturità  da fine  settembre alla prima quindicina  di ottobre i merlot, e poi il cabernet. L’affinamento è stato effettuato per il 30% in barriques nuove e la parte restante in barriques di un anno, per una durata di 12 mesi. (segue)

 

Alcune foto nell’articolo, tra cui quella di copertina, sono di Serge Chapuis, che ringraziamo.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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