Vulcania “in eruzione” nei Campi Flegrei6 min read

Vulcania, la manifestazione dei territori vinicoli di origine vulcanica, è recentemente sbarcata anche nei Campi Flegrei, appena fuori Napoli. Giunta alla quinta edizione ha messo in rete zone diverse e molto lontane tra loro come le venete Soave, Lessini Durello, Gambellara e Colli Euganei, Pitigliano in Toscana, Frascati nel Lazio e poi Vesuvio, Campi Flegrei e Ischia, sino all’Etna in Sicilia.

I vini, per lo più bianchi,  di queste aree sono accomunati dall’origine dei suoli, nati dal degradamento del materiale riversato  in epoca più o meno recente dai vulcani oppure trasportato dai venti, anche a lunga distanza, a seguito delle eruzioni. L’effetto poi del clima, del tempo, degli organismi viventi e del materiale parentale ha costruito l’attuale tessitura dei suoli. In molti di questi territori la vitivinicoltura si è sviluppata dando vita a vini particolari, in certi casi originalissimi, di cui gli areali nominati in precedenza sono un esempio.


I Campi Flegrei

Nei Campi Flegrei agli inizi del Novecento – ha spiegato Antonella Monaco del Centro Museale di Scienze Agrarie di Portici – “ i vigneti erano praticamente l’unica coltura esistente. Dal 1950 in poi questo patrimonio ampelografico si è perso quasi del tutto a favore della frutticoltura. Attualmente si sta tornando un po’ indietro, ma il danno ormai  è stato fatto. Oggi si sta facendo un lavoro di recupero delle vecchie viti, testimoniato dalla collezione della Regione Campania. L’area infatti è una fonte di biodiversità incredibile che messa insieme all’altrettanto vasta ricchezza di forme di allevamento, testimonia una cultura del vino unica nel panorama italiano".
“La qualità di un prodotto come il vino, deve partire prima di ogni cosa dalle potenzialità del territorio/terreno” ha affermato il prof. Fabio Terribile, della cattedra di Pedologia della Facoltà di Agraria di Portici, autore dei progetti del Consorzio di tutela del Soave e della cartografia dei suoli dell’Etna, aggiungendo che “ Il mondo enoico è al centro della sempre più importante lotta per la salvaguardia del suolo, come indica la UE nella Soil Thematic Strategy. I suoli piroclastici campani sono un mosaico pedologico e climatico in parte ancora da scoprire. Purtroppo, però, manca un serio studio, come da altre parti è stato realizzato, per sistematizzare queste conoscenze e offrire al settore viticolo uno strumento di grande utilità”.  

Lo stato della ricerca

Come spesso accade, lo stato della ricerche non è particolarmente effervescente. Attilio Scienza facendo il punto ha evidenziato che  “Il territorio di Soave è l’unico, ad oggi, che sta mandando avanti in modo sistematico e serio progetti di studio per approfondire la conoscenza dell’ambiente vulcanico”.  Scendendo verso sud, a parte il progetto di zonazione della zona vinicola etnea, condotto dal gruppo di ricerca di Scienza, “tutto sembrerebbe fermo. Si sta facendo un grande lavoro di comunicazione  ma non si è andati avanti dal punto di vista della ricerca, dopo le basi gettate dallo studio di zonazione”.  Eppure gli approfondimenti sarebbero quanto mai necessari.  
Vulcani vs. globalizzazione
Dal punto di vista della comunicazione la medesima origine vulcanica è un valore aggiunto di grande rilevanza in modo particolare per quelle piccole realtà (Pitigliano o anche i Colli Euganei) che non godono di grande notorietà o solo raramente possono disporre di un palcoscenico. Ma è anche un modo per creare reti di territori e di imprese oltre che proficui scambi di culture e di esperienze, assai diverse tra loro.  Il messaggio “vulcanico” infatti è talmente forte e ricco di richiami da sollecitare l’attenzione  dei consumatori meno smaliziati cioè privi di quel bagaglio di conoscenze che solitamente gli appassionati possono vantare. Basti pensare al contributo che in questo senso ha offerto Attilio Scienza nella sessione campana quando è intervenuto con una dotta relazione su “Il mito dei vini dei territori vulcanici”.  
In sostanza – dice Scienza che ha scelto l’approccio junghiano come chiave di lettura –il comportamento umano di oggi si può interpretare attraverso gli archetipi del passato, significativi  per capire il rapporto tra il luogo e l’uomo, mediato dal mito.   Il valore del significato del vulcano stesso è di rimescolare gli strati della terra.  “Se ripensiamo all’esperienza del viaggio di Ulisse, nella parte italiana l’eroe frequenta luoghi dove sono presenti fenomeni di vulcanismo, dove il valore del vulcano assume un valore simbolico nella ricerca di se stessi”. Concludendo il suo intervento il prof. Scienza ha detto che “I vulcani sono i luoghi del vino dove il mito persiste e ancora oggi sono dei veri e propri “monumentum” cioè dei “totem” ancestrali che restano nella memoria di tutti.
In questo senso, il consumatore è indotto ad associare immediatamente al vino – nota Scienza – quell’immagine, che è collegata ad una sensazione immediata”.  E ancora “La vite è legata alla persistenza del mito. I territori vulcanici solo luoghi eletti di resistenza. E’ lì che sopravvivono vecchie forme di allevamento, antiche varietà autoctone, vecchi metodi di vinificazione. Lì le viti hanno radici profonde che hanno un profondo rapporto con la storia. I territori vulcanici sono i gli ultimi luoghi rimasti che resistono alla globalizzazione”.

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Qualche riflessioni sulla riconoscibilità dei vini vulcanici

E’ sempre difficile rispondere alla domanda “I vini vulcanici hanno un profilo organolettico particolare che li rende distinguibili da altri provenienti da areali meno caratterizzanti?” Enucleare degli elementi comuni tra i vini provenienti dai territori vulcanici, tali da poter delineare un identikit organolettico del vino vulcanico, non è cosa da poco.  Infatti, a giudizio di chi scrive, le variabili di cui bisogna assolutamente tener conto sono davvero numerosissime.


Intanto le più ovvie. Le differenze pedoclimatiche tra le aree del Soave, Ischia e l’Etna sono evidenti così come sono diversi i vitigni coltivati: Garganega, Biancolella e Carricante, hanno molto poco in comune. Per non parlare dei diversi sistemi colturali di allevamento quali la pergola veronese (Soave), la spalliera (Ischia) e l’alberello (Etna). Infatti il meccanismo di acquisizione  e metabolizzazione dei microelementi, di cui i suoli vulcanici sono ricchi, da parte delle radici della vite è assai complesso e niente affatto scontato o automatico ( il sapore della terra…il sapore del vino). Infine va considerato che il mosto (succo dell’uva) per diventare vino, deve fermentare con tutti i cambiamenti che tale processo comporta.


L’intervento dell’uomo, da questo punto di vista, ha un ruolo notevolissimo nell’elaborazione del vino. Sapidità, mineralità (???), gusto amarognolo, sono alcuni dei descrittori che solitamente vengono impiegati almeno per una parte dei vini bianchi delle zone in questione. Tutti caratteri che sono immediatamente sovrapponibili ai vini di collina piuttosto che quelli costieri e così via. La riconoscibilità attraverso dei caratteri comuni non è, allo stato attuale dei fatti, all’ordine del giorno. Urge una ricerca “sensoriale”.  

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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