Volcanic geomarketing4 min read

Dall’archeologia dei nuraghi a quella delle cantine! Il 26 e 27 settembre durante la trasferta sarda di “Volcanic wines”abbiamo fatto un bel tuffo nel passato. Volcanic wines è la rete (e adesso anche marchio) che raggruppa un numero crescente di viticoltori all’opera su suoli di origine magmatica.

 

La strana foto qua sotto rappresenta l’affascinante struttura della “torre Sernagiotto” presso la Cantina di Mogoro: si tratta di una delle poche rimaste, realizzate per facilitare lo smaltimento dei mosti in fase di vinificazione quando il problema era di lavorare efficacemente le quantità. Una struttura fossile in termini enologici, realizzata una sessantina di anni fa per gestire in verticale su quattro piani la vinificazione di 12.000 ettolitri di uve rosse, sfruttando travasi a colonna. A quel tempo la varietà più sfruttata in zona era comunque il bianco Nuragus, le cui rese si misuravano in centinaia e non in decine di quintali a ettaro. E il grosso prendeva la strada per il continente in direzione nord, finendo anche oltre confine: nell’ufficio è rimasta una bella mappa della Germania, ancora divisa tra est e ovest.

 

Ma oggi a Mogoro si guarda con decisione al futuro, puntando anche su vitigni più intriganti. La cantina si segnala per le bottiglie da uve Semidano, varietà bianca molto locale (almeno fino ad ora), accantonata nel corso dei decenni perchè difficoltosa e poco redditizia: una storia già sentita che continua a ripetersi. Buona la prestazione con uso di legno per l’etichetta Puisteris, e ancora meglio il sapido e aromatico Anastasìa, versione acciaoiolo-batonnata offerta in cantina a un prezzo che giustifica la breve deviazione dalla statale Carlo Felice.

 

Qui il vulcano di riferimento è il monte Arci che domina il Campidano settentrionale, origine dell’ossidiana e conseguentemente della sua lavorazione e del suo commercio, entrambi plurimillenari. Dalle tre vette, spettacolari per vista e ambiente, il materiali dell’eruzione sono andati nel tempo a depositarsi in un vasto raggio come spiegano i professori Andrea Vacca e Giuseppe Scanu intervenuti al convegno di sabato 27.

 

Del resto nella stessa mattinata Giovanni Ponchia, enologo del Consorzio di Tutela Vini Soave e grande animatore della rete magmatica, ha sottolineato che a livello planetario le zone vulcaniche rappresentano solo l’1% della superficie, ma non a caso vi è insediato ben il 10% della popolazione mondiale: chiaro segno che l’agricoltura c’è fiorita e ci fiorisce. E non secondaria è la bellezza dei luoghi: l’accoppiata sapore-paesaggio provoca positivi legami nelle nostre teste, come ha evidenziato la dottoressa Clelia Tore citando nel suo intervento un paio di studi a proposito, condotti su gruppi panel di assaggio appositamente condizionati dall’illustrazione della bellezza dei vigneti mentre degustavano i vini corrispondenti. Qui davvero, più che su presunte “mineralità” di gusto, si può giocare il successo dei Volcanic wines: si può vendere il fascino complessivo di una zona, qualcuno lo chiama marketing di territorio. 

 

Ci crede certamente Marcello Martis della Cantina del Bovale, così chiamata dal nome dell’altra varietà che caratterizza la zona. Marcello è soddisfatto dei suoi rossi di carattere ma è già pentito del nome scelto: è convinto che si dovrebbe puntare più sul territorio e meno sul vitigno, il che diventa chiaro all’assaggio del suo notevole Nasco (che temo prodotto in edizione molto limitata). Intanto l’entusiasmo e l’ottimismo, merci piuttosto rare sull’isola, hanno raggiunto poco più a sud anche il comune di Sanluri, dove è nata dal nulla una tenuta spettacolare per posizione e architettura: c’è da scommettere che anche qui alla cantina Su’ entu i vini, da viti per ora troppo giovani, si esprimeranno su alti livelli.

 

Il territorio è magico: a convincere bastano la visita fatta al sito archeologico di Santa Anastasia a Sardara e quella al Nuraghe Cuccurada che guarda dall’alto la cantina di Mogoro. Presso quest’ultimo abbiamo fatto un bel giro per l’Italia vulcanica, giro virtuale ma non troppo vista la sostanza degli assaggi. Dalle bollicine di un Lessini Durello alla dolcezza di un Orvieto vendemmia tardiva non è stato difficile rimanere convinti delle prestazioni di questi suoli, anche se resta da spiegare l’apparente simpatia mostrata dalle uve bianche piuttosto che dalle rosse.

 

Ed è una considerazione che può essere proiettata fuori confine, pensando a certi classici internazionali. Così, in attesa di andare a verificare su altre isole di bellezza come Santorini, Madera o le Canarie, non resta che raccomandare la scrittura volcanic con la vocale giusta: troppe volte mi è capitato di leggere vulcanic, in rete e su carta. Anche se, in un mondo anglomaniaco che parla disinvoltamente di geomarketing, forse sarebbe stato meglio distinguersi col latino Vulcania, come si chiamava in partenza l’associazione dei consorzi relativi.  

Alessandro Bosticco

Sono decenni che sbevazza impersonando il ruolo del sommelier, della guida enogastronomica, del giornalista e più recentemente del docente di degustazione. Quest’ultimo mestiere gli ha permesso di allargare il gioco agli alimenti e bevande più disparati: ne approfitta per assaggiare di tutto con ingordigia di fronte ad allievi perplessi, e intanto viene chiamato “professore” in ambienti universitari senza avere nemmeno una laurea. Millantando una particolare conoscenza degli extravergini è consulente della Nasa alla ricerca della formula ideale per l’emulsione vino-olio in assenza di gravità.


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