Vini esteri a basso prezzo: perchè comprarli?4 min read

Forse siamo stati troppo ottimisti, ma sinceramente speravamo in qualcosa di più.

Abbiamo acquistato – in vari Ipermercati, Supermercati e Hard Discount in tutta Italia – dei vini esteri con prezzi che andavano da meno di 2€ a quasi 5. Una fascia molto ampia, quindi, anche se la stragrande maggioranza di questi prodotti (80% per cento circa) costava meno di 3,5 €. In totale ci siamo trovati a degustare 29 vini – 7 bianchi, 22 rossi – così suddivisi per nazioni: 9 Francia, 5 Stati Uniti, 5 Australia, 4 Spagna, 3 Cile, 2 Argentina, 1 Ungheria.

Visti i risultati della degustazione, abbiamo dovuto cambiare in corsa il taglio dell’articolo: pensavamo di commentare vino per vino, ma la qualità molto bassa di quasi tutti i campioni avrebbe fatto diventare questo pezzo una specie di carneficina enoica. Per questo abbiamo deciso di non riportare i nomi dei vini degustati, approfondendo invece alcuni concetti venuti fuori durante l’assaggio.

Li riportiamo di seguito per poi commentarli.

  1. Più che vini dovrebbero essere chiamati “bevande a base di vino”.
  2. Certo che con queste cifre non potevamo sperare molto di più.
  3. Se facessimo la stessa cosa con dei vini italiani di pari prezzo, siamo sicuri  che il risultato sarebbe diverso?
  4. Sono vini per chi non sa cosa sia un vino.
  5. Tutti questi chips che si dice vengano usati in quantità industriali, qui non si sono mai sentiti.

1. Il primo punto nasce da una scontata deduzione: quasi tutti questi vini nascono da assemblaggi di cantina e quindi da situazioni dove l’enologia moderna è purtroppo fondamentale. Un forte intervento in cantina lo sentiamo soprattutto sui vini australiani e statunitensi, ma anche i cileni e i francesi non scherzano. Sono però diversi i modi di intervento. Se gli statunitensi giocano molto sugli zuccheri residui, gli australiani puntano su sostanze che, zuccheri a parte, portano rotondità e presunta piacevolezza al vino. Peccato che li rendano molto strani al naso e al palato. Anche i vini francesi giocano sugli zuccheri residui, mentre da questo punto di vista i più “puri” sono gli spagnoli, che però hanno grossi problemi sul fronte delle ossidazioni precoci. In più casi ci siamo trovati quindi davanti a vini diluiti e dolcini, oppure tannici ma poveri. Il concetto “bevanda a base di vino” rende benissimo l’idea che serpeggiava tra i degustatori, anche perchè le uve di partenze, quasi sempre strombazzate in etichetta, erano solo dei lontani ricordi.

2. In effetti il prezzo gioca un ruolo fondamentale, dal quale non possiamo prescindere: addirittura un vino cileno costava 1.59€ e, dopo la degustazione, lo abbiamo ritrovato in un Hard Discount a 1.29€. A queste cifre non si può chiedere la luna, forse nemmeno un asteroide piccolissimo. Nel nostro approccio all’assaggio non c’era però la volontà di ricercare ottimi vini a basso prezzo, ma solo la speranza di trovare prodotti degni del loro nome a prezzi contenuti. Per questo possiamo dire che, in molti casi, anche i 3-4€ sono soldi spesi male.

3. Non sappiamo rispondere a questa domanda, ma lo faremo presto: stiamo infatti organizzando una degustazione di “pari rango” italiani, che verranno testati con gli stessi criteri.

4. In effetti questo è un “concetto da un milione di dollari”, che può essere anche  smontato e riproposto così: “cosa piace al grande pubblico che acquista vini di basso o bassissimo prezzo”.

La prima risposta che ci viene in mente è: il prezzo. Dopo questo pilastro, crediamo che gli altri “siano tutti secondi”. Concetti come qualità, qualità/prezzo, denominazione, vitigno, marchio, diventano fattori correlati alla voglia o alla possibilità di spendere meno che poco. Allora ben vengano i vini-bevanda, dove acidità, tannicità, potenza e corpo diventano difetti, e non pregi. In quest’ottica si piazzano quasi tutti i vini da noi assaggiati, ma anche molti – se non la totalità – dei vini in brik o tetrapack, veri e propri esempi di piattezza enoica fortemente voluta.

5. Carissimo Governo Italiano e carissima Unione Europea, ma ci avete preso proprio per scemi totali? Se su 29 vini assaggiati – che rappresentano un sufficiente campione del vino estero imbottigliato di basso costo presente in Italia – neanche uno presentava caratteristiche derivanti dai chips, dove sono tutte queste maree di vini truciolati per difenderci dai quali siamo costretti a scendere sullo stesso piano???? Non è che siamo di fronte alla solita bufala, al solito falso problema sbandierato ai quattro venti soltanto come cortina fumogena, per permettere il passaggio di altre sostanze molto più “utili” ma anche molto più immorali e forse dannose? Queste riflessioni abbastanza rabbiose ci sono venute spontanee dopo l’assaggio. Vini provenienti da tutto il mondo, bianchi e rossi, di grossi marchi o di cantine sconosciute: non uno di loro dichiarava o aveva caratteristiche “chippose”. Voi cosa avreste pensato?

In definitiva questa degustazione, pur risultando poco piacevole, ha portato alla fine ottimi spunti di discussione. Crediamo proprio che, con l’assaggio dei vini italiani da 2 a 5€ al supermercato, il discorso si farà molto più interessante. Da buoni nazionalisti, speriamo di trovare anche qualche vino interessante.

Hanno partecipato alla degustazione: Valerio Piccolo, Pierlorenzo Tasselli, Pasquale Porcelli, Alessandro Bosticco, Carlo Macchi, Paola Mustilli.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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