Vigna di Capestrano 2007, il Trebbiano che non ti aspetti3 min read

 Il trebbiano resta uva di dubbia reputazione nel senso comune dei non addetti ai lavori, mentre l’approccio omerico di Edoardo Valentini e poi del figlio Francesco ne ha rovesciato la prospettiva tra gli appassionati e gli esperti facendone un vino cult, tanto da essere considerato il primo nella speciale classifica Fifty Best del 2012. Però ancora sollevando ironia e caustoche battite tra chi è ancorato a una gerarchia pre-metanolo del vino.

 

Quando un modello ha successo e si impone viene ovviamente imitato e spesso il rischio è nella omologazione della non omologazione. Ossia una contrapposiione univoca di uno stile ad uno ugualmente monocordo ma opposto. Faccio per dire, alcol contro poco alcol, frutta matura versus floreale-agrumato, giallo paglierino carico se non dorato in contrapposizione al bianco carta.

 

Ora, la verità non sta affatto nel mezzo, ma in quei vini liberati dalla contrapposizione tra guelfi e ghibellini perché i produttori hanno perseguito un proprio progetto, un proprio percorso che tenga conto di quello che fanno gli altri senza però farsi prendere dall’angoscia competitività o dalla avidità commerciale.

 

Sono ormai più di dieci anni che Leonardo Pizzolo lavora tra freddo e neve lì dove il Gran Sasso si sbaciucchia con la Majella: 40 ettari tra Popoli a San Callisto sui 350 metri e una ventina a Capestrano, quota 400, dove nasce questo vino su suolo di medio impasto e calcareo, sottoposto a forti escursioni termiche perché in estate è una valle che accumula il calore che rilascia rapidamente di notte.

 

A questa buona predisposizione pedoclimatica si aggiungono pratiche di cantina coraggiose, che per noi non sono un bonus in quanto tali, ma a cui guardiamo con simpatia per lo sforzo di individuare un proprio progetto enologico. Parlo della fermentazione spontane con lieviti indigeni di partenza e di una viticoltura sana, in conversione enologica.

 

Ammesso che il Montepucialno ha uno slancio liberato da ogni grevità, quello che mi fa impazzire di questa azienda sono i bianchi ottenuti da Trebbiano, sia il Vigna di Popoli che il Vigna di Capestrano, conosciuto anni fa da Niko Romito grazie a Roberto de Viti. Si capiva subito che aveva la tonicità per saltare molto in lungo nel tempo e così rivedendolo in carta a Casadonna (in realtà ero andato con l’intenzione di berlo) ho chiesto l’annata più vecchia, la 2007, ultima bottiglia disponibile.

 

Dico subito a chi ha avuto modo di provare le annatte successive che questa ha una storia che risente delle vigne ancora giovani, piantate nel 2002, e di una annata calda che ha spinto ancora di più questo vitigno prolifico, tra l’altro piantato ad una dendità medio alta di circa 6500 piante. La resa per ettaro sotto i 50 quintali ha caricato l’uva ma per fortuna questa materia decisamente importante è dinamicizzata dalla grandissima freschezza.

 

Dunque se al naso prevalgono subito sentori di frutta gialla matura, quasi esotica, compensati da note di arancio, macchia mediterranea, mandorla e nocciola, al palato vince di gran lunga la freschezza che apre la strada a un bianco ben equilibrato in tutte le sue componenti, appagante e dissetante, da bere quasi a temperatura ambiente in bicchieri molto ampi. Da meditazione.


Ecco, un Trebbiano. Ma che Trebbiano.

 

 Sede a Popoli, Località San Callisto. Tel. 087.9871039. www.vallereale.it. Ettari: 60. Bottiglie prodotte: 300mila. Vitigni: montepulciano, trebbiano.

 

 

 
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Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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