Valerio Canestrari, figlio dell’indimenticabile Lucio, quest’anno ha conquistato il premio di Miglior Vino Bianco d’Italia con il Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore DOC Il Bacco 2023 (premio, per la cronaca ex aequo con il Greco di Tufo Riserva Vigna Serrone 2023 di Di Marzo). Doverosamente l’abbiamo intervistato e ne è venuta fuori una chiacchierata molto interessante, con parti tecniche serie e altre molto più scanzonate. Partendo dalla Fattoria Coroncino, dove lui ormai è il perno centrale, abbiamo parlato di vigna, di passato, di futuro, insomma di tutto quello che ruota attorno a una cantina piccola ma importante come la sua.
Winesurf. “Coroncino quando nasce e come nasce.”
Valerio Canestrari. “La Fattoria Coroncino è nata ufficialmente, con il primo imbottigliamento, nel 1985, ma realmente nel 1981. Questo perché i miei genitori si trasferiscono a Staffolo nel 1980 iniziando a fare quello che si poteva fare allora: grano, poco vino (rosso), però con quello non si campava. Così papà decise di fare un lavoro che gli consentisse di vivere in campagna decidendo lui il prezzo dei suoi prodotti e si mise a fare vino imbottigliato nel 1985. Piccolissime produzioni perchè la maggior parte andava in damigiane al ristorante di mio nonno a Roma.”

W. “L’Azienda è a Staffolo, ma voi non avete vigne solo a Staffolo.”
V.C. “Le abbiamo a Staffolo, a San Paolo di Jesi e a Cupramontana, comuni diversi ma confinanti.”
W. “Tutte vigne sulla “rive droite” dell’Esino”
V.C. “Detto alla marchigiana siamo nel posto migliore (ride).”
W. “Quindi il primo bianco imbottigliato nasce nel 1985. Come si chiamava?”
V.C. “Si chiamava Verdicchio.”
W. “Un nome di grande fantasia.”
V.C. “C’era un drago in etichetta, ripreso da mio padre dai trasferibili.”
W. “E tu come nasci al vino?”

V.C. “Nasco nel 1985 ma in azienda ho iniziato a lavorare nel 2005 Prima ho fatto sei anni a Conegliano e quando sono tornato qua mi sono iscritto a Viticoltura e enologia all’università ad Ancona e nello stesso tempo lavoravo in azienda.”
W. “Così hai anche la laurea in enologia”.
V.C. “No, perché a sette esami dalla fine, con la media del 27.5 ho deciso che mi avevano stufato.”
W. “Quindi sei di quelli che dicono che l’enologia e giusto impararla e poi scordarla.”
V.C. “No, assolutamente, solo perché l’Università ad Ancona è una specie di ripetizione delle scuole superiori e quindi non volevo sprecare il mio tempo.”
W. “Così dal 2005 ti ritrovi in azienda con papà. Lucio Canestrari, tuo padre, era un personaggio importante nel mondo del vino e del Verdicchio e purtroppo ci ha lasciati da circa 4 anni. cosa ti ha insegnato?”

V.C. “MI ha insegnato una marea di cose e se parliamo di vino mi ha insegnato a ricercare l’equilibrio, a non credere a tutto ciò che i viene propinato, anche se questo viene definito scienza. Diciamo che mi ha insegnato a vedere le cose con un po’ di criticità e distacco.”
W. “Invece cosa hai imparato da solo?”
V.C. “Che non so fare gli spumanti! (ride e rido anch’io) Tu ridi ma io ho buttato via un sacco di vino in questi anni.”
W. “Per fare spumanti o in generale?”
V.C. “In generale perché si fanno delle prove, si fanno delle scelte, ma non è detto che quelle scelte portino a un risultato gradevole.”
W. “Cosa hai cambiato in questi 4 anni da quando sei solo in azienda?”
V.C. “Ho cambiato l’approccio, perché io ho un approccio più attento. Papà era molto tranquillo, io lo sono meno, ho più ansie, quindi sono più attento nelle varie fasi. Al momento non ho la forza che aveva papà, ci sono dei vini usciti da qui che avevano una ricchezza incredibile, che non sono in grado di far uscire adesso. Nel senso di vini con grande ricchezza e personalità, che magari avranno anche dei problemi davanti a loro, ma sono comunque vini di grande forza e io questa forza non ce l’ho.”
W. “Diciamo che è anche logico che ognuno faccia i vini che si sente. Forse è meglio fare vini che assomigliano a Valerio più che provare a fare vini che sembrano Lucio.”
V.C. “Si assolutamente, quello che mi sono messo in testa e di non scimmiottare quello che faceva papà.”
W. “Se provo ad andare sul tuo sito aziendale Google mi sconsiglia fortemente e saltano fuori vari allarmi. Avete litigato con Google?”
V.C. “(ride) Semplicemente non lo abbiamo aggiornato negli ultimi dieci anni.”

W. “Nel sito ci sono alcune frasi imponenti e importanti, che riporto qua sotto, sicuramente scritte da tuo padre. Tu come le vedi?
Il produttore di vino è colui il quale edotto sulle tecniche e gli obbiettivi sa cosa e come fare per
avere la massima qualità delle uve e dei vini e come replicarle senza esitazioni nelle quantità e con
le caratteristiche richieste dal mercato. Purtroppo noi non lo siamo perché non diciamo alle viti
cosa e come fare, non stabiliamo la loro dieta, le potiamo in funzione delle loro individuali
caratteristiche e capacità. Cerchiamo di far giungere a maturazione le uve senza avvelenare noi e
le viti. Raccogliamo quindi non ciò che abbiamo prodotto ma ciò che troviamo.
In cantina pigiamo le uve e con quello riempiamo i serbatoi che in maniera autonoma ed
indipendente svolgeranno le fermentazioni con i lieviti che si saranno sviluppati.
Al momento di imbottigliare metteremo insieme i vini che vanno d’accordo, non saranno
necessariamente tutti. Dobbiamo sentire che suonano insieme, significa che non imbottigliamo
quello che abbiamo prodotto ma quello che troviamo.
V.C. “Quello è un manifesto dell’ignoranza che porta avanti l’intelligenza.”
W. “Cioè?”
V.C. “L’ignoranza nel poter dire “Io dò tutto ciò che serve alla vite affinché nell’uva ci sia una cosa ben definita, che trasformato con questi lieviti particolari mi porti a quel determinato risultato. Su questo siamo ignoranti e per due motivi. Il primo perché non sappiamo farlo, il secondo perché non ci interessa. Non ci interessa perché noi facciamo vino figlio di quel terreno. Se quel terreno lo andiamo a concimare non abbiamo più quel preciso terreno ma un qualcosa di modificato per le nostre esigenze.”
W. “Quindi tu non concimi mai?”
V.C. “Non concimo il terreno. Non lo concimiamo dal 1993.”
W. “Quello che dici può sembrare un controsenso per molti, perché se la vite assorbe qualcosa dal terreno poi quel qualcosa andrebbe rimesso.”
V.C. “Si e no! Questo funziona così per un campo di grano. Il campo di grano viene lavorato e nella lavorazione si porta via sostanza organica perché questa viene ossidata e si mineralizza: quindi dovrò ridarla altrimenti la perdo per sempre. Inoltre una pianta come il grano mette le sue radici nei primi dieci centimetri del terreno, se elimino i nutrinti la pianta non cresce, quindi devo dare sostanze nutrienti su quello strato. La vigna è una pianta arborea, che ha radici molto profonde e non lavora sul primo strato di terreno. Così non lavorando la terra non ossido e quindi perdo la sostanza organica e facendo sfalci di erba la vaso ad arricchire. Inoltre io porto via dalla vigna e dal terreno poca uva, nel 2023 ho raccolto circa 32 quintali di uva per ettaro.”

W. “Quindi non concimi e usi le erbe spontanee come aiuto al terreno.”
V.C. “Si, certo, proprio così.”
W. “Ti definisci un produttore biologico, naturale, biodinamico o cosa?”
V.C. “Noi siamo biologici certificati come produzione di uva e ci fermiamo là, nel senso che non certifico la produzione del vino perché vado in crisi. La crisi nasce dal fatto che il vino lo trasformano i lieviti ma è una cosa che faccio io in cantina. E’ il frutto del lavoro dell’uomo, e se il frutto del lavoro dell’uomo è biologico allora potrei usare tutto quello che l’uomo ha a disposizione, tutta la chimica e compagnia. Insomma, mi si interrompe il filo logico dopo l’uva.”
W. “Allora ripartiamo dall’uva, tu la porti in cantina, la pressi e poi? Aspetti che fermenti da sola?”
V.C. “Normalmente non aggiungo lieviti, utilizzo la prima uva che mi entra, che è quella dello Stracacio che fermenta sulle bucce e quindi la fermentazione parte bene, poi utilizzo un po’ di quel mosto in fermentazione per far partire gli altri. Quindi tutti i mosti partono grazie ai lieviti autoctoni della prima uva, ma se un anno la fermentazione non parte non ho problemi ad usarne di selezionati. Ma fino ad ora non ne ho avuto bisogno.”
W. “Quindi non sei biodinamico.”
V.C. “Li abbiamo fatti in passato i vini biodinamici ma da quando è mancato papà non li faccio più perché mi manca forza lavoro per farli, dato che li vogliamo fare in famiglia e non con i dipendenti.”

W. “Ma quanti siete in azienda?”
V.C. “Oltre a me e mia mamma ho 5-6 dipendenti.
W. “Quanti ettari hai?”
V.C. “Gli ettari certificati a Castelli di Jesi Classico Verdicchio Riserva sono poco più di 14.”
W. “14 ettari solo a Riserva DOCG?”
V.C. “Si, noi raccogliamo solo uva per DOCG e poi i vini DOC li riclassifico all’imbottigliamento.”
W. “Parti dall’alto e ‘scendi’.”
V.C. “Esatto.”
W. “Penso tu sia l’unico del territorio del Verdicchio che fa così.”
V.C. “Normalmente gli altri produttori fanno quantità più alte di vino per ettaro, noi siamo abbondantemente sotto i 100 quintali di uva per ettaro quindi lavoriamo con la DOCG. Nel momento in cui la DOCG avrà anche la menzione non Riserva, uscirò solo con vini DOCG.”
W, “Perché?” “
V.C. “Perché la DOC Verdicchio dei Castelli di Jesi ha la parola Verdicchio non tutelabile mentre dalla DOCG puoi togliere la parola Verdicchio, questo tutela il territorio e noi, credendo che dal territorio esca realmente il vino, spingiamo sulla DOCG.”

W. “Partendo da questo tuo punto di vista, facendo 100 un tuo vino quanto lo produce il territorio e quanto l’uomo.
V.C. “70% territorio, 30% uomo.”
W. “Ti confesso che mi sto convincendo sempre più che più si parla di terroir e più il vino viene fatto dall’uomo.”
V.C. “Dico una cosa molto semplice: io intervengo in tante scelte in vigna indubbiamente, ma per come la vedo io dove realmente intervengo è nel taglio all’imbottigliamento. Quello è il punto in cui intervengo e esprimo di più la differenza”
W. “come nasce il Bacco?”
V.C. “IL Bacco è fatto con gli scarti dell’azienda.”
W. “Una bellissima pubblicità indubbiamente, ma andiamo avanti.”
V.C. “E’ fatto prevalentemente con le pressature del Gaiospino e del Coroncino, le nostre due selezioni che nascono una in terreno argilloso e l’altra in terreno calcareo. Quindi il Bacco ha in sé entrambi i terreni. Ma a queste, che sono molto ricche e danno soddisfazione in bocca, manca un po’ di acidità e non hanno alcuni dei profumi “alti” del mosto fiore. Questo perché noi aggiungiamo ossigeno alle pressature quando sono mosto, in modo da togliere tante di quelle sostanze facilmente ossidabili di cui le seconde pressature sono ricche ma che ci creerebbero problemi divenendo vino. Facendo questo togliamo anche una parte dei profumi e li reintrego aggiungendo altro vino, che nel caso del 2023 era la vasca più buona del Coroncino. Parlo di profumi ma questi per me non sono poi fondamentali, l’importante è che il vino sia armonico e completo in bocca e di solito il Bacco, senza l’aggiunta di una parte del Coroncino è cadente, gli manca un po’ di freschezza aromatica.”
W. “Lo scorso anno miglior vino d’Italia il Cuprese di Colonnara, quest’anno il tuo Bacco. Cosa ha il Verdicchio che altri non hanno?”
V.C. “Prima di tutto non posso non far notare che si parla dello stesso lato dell’Esino.”

W. “Bene, cos’ha lo stesso lato dell’Esino rispetto al rtesto del mondo?”
V.C. “Saremo fortunati… da come la vedo io il Verdicchio ha una grandissima ricchezza, è un vino che riempe la bocca.”
W. “Dico sempre che è un rosso travestito da bianco.”
V.C. Rilancio! Potremmo dire che in un mondo che beve sempre meno rosso, per tutte quelle persone che bevevano rosso e si vogliono affacciare al bianco, il Verdicchio è quello che può fare da ponte.”
W. “Ma questa è grande pubblicità, meglio di quella sul Bacco (ridiamo)”. E invece cosa non ha il Verdicchio e il suo territorio?
V.C. “Quello che non c’è è la recettività e, almeno fino ad ora, l’unione tra i produttori. Però per quest’ultima cosa la situazione sta cambiando, grazie anche alle generazioni che sono cambiate. Scambiarsi idee e consulenze vuol dire crescere e questo rende anche i vini più interessanti e alla fine anche il territorio cresce. A proposito devo dire che il nostro territorio ha il pregio di essere molto vario, con vigne, campi e boschi ben integrati, inoltre tra il mare e le montagne ci sono 40 chilometri.”
W. “A proposito, Passato più di un anno dal caso Moncaro com’è la situazione?”
V.C. “Ma sai che non ne ho idea. Non riesco a capire cosa stia succedendo, però per colpa mia perché mi sono dedicato negli ultimi 5 mesi solo al lavoro in cantina.”
W. “In questi giorni fioccano decaloghi e consigli su cosa fare per la crisi in cui versa il mondo vino tu cosa consigli?”

V.C. “Quello che hai detto tu, si versa!”
W. “Qui le battute le faccio solo io!”
V.C. “Seriamente. Qui da noi la crisi del vino si è sentita in due momenti: il primo tremestre del 2025, quando Salvini ha fatto le sue dichiarazioni e la gente a immediatamente smesso di bere a ristorante. Dopo c’è stata una crisi innegabile nei vari stati esteri, dovuti a dazi, guerre e altro. Ora io non credo che da un giorno all’altro non si beva più vino: bisogna produrre un po’ meno vino e più buono.”
W. “A proposito di prezzi, quanto costa il Bacco in cantina da te.”
V.C. “8.50 euro, IVA compresa.”
W. “Capisco il rapporto qualità-prezzo ma qui si esagera!”
V.C. “Il Bacco ha un prezzo così basso perché è fatto con uno “scarto” e quindi gli scarti valgono meno. Poi il vino è buono come tutti gli altri.”
W. “Questo te lo certifico e come vedo continui nella tua strenua pubblicità del Bacco puntando l’interesse sugli scarti, ma con 8.50 tu ci guadagni?”
V.C. “Poco, nelle annate buone ci guadagno un euro, in quelle meno buone dal punto di vista quantitativo come la 2023 ci rimetto”.
W. “Ma come lo fai il bacco?”
V.C. “Fermenta in cemento o acciaio. Non passa in legno ma sta una decina di mesi sulle proprie fecce, che cerco di muovere il meno possibile. Comunque il vino deve piacere a me e se non mi piace non lo metto in commercio.”
W. “Mi dicevi che con le nuove generazioni ci sono più contatti tra produttori, questo avviene in tutto il territorio del Verdicchio dei Castelli di Jesi?
V.C. “La parte più giovanile è sulla sponda destra dell’Esino, la mia. Per me è un discorso più di vicinanza: Non c’è una fase che io non segua tra vigna e cantina e quindi sto tantissimo in azienda, così non ho tanto tempo per muovermi e i produttori che incontro sono quelli più vicini a me.”
W. “Secondo te è pronto il territorio del Verdicchio per delle UGA o MGA?”
V.C. “Il territorio è quasi pronto: Cupramontana ha iniziato a farlo diversi anni fa, San Paolo di Jesi ha iniziato due anni fa a dividere i territori, Staffolo ne sta parlando. Queste suddivisioni mi piacciono perché partono dai vini: si assaggiano e si vede se ci sono correlazioni. E’ un processo un po’ lento però ci arriveremo. Il consorzio però ancora non sta lavorando in quella direzione, anche se da quest’anno abbiamo fatto una riunione per parlarne.”
