Una verticale di Gusbourne Blanc de Blancs, dove il Kent diventa bollicina6 min read

Un piccolo incipit per chi mi legge in Italia (Nelson vive a Londra n.d.r.). Sto per parlare di vino spumante inglese e per farlo seguirò tre percorsi.

Il primo è che parlerò soltanto di Gusbourne e soprattutto delle evoluzioni del suo prodotto di punta, il Blanc de Blancs millesimato e non dei vini spumanti inglesi in generale.

Il secondo è che non vorrei quest’articolo venisse considerato in difesa delle potenzialità enoiche di questa terra, che a sud di Dover è sottoposta a più di qualche scherno ed è vittima spesso di  grassa ignoranza. Per tanti di voi pensare all’Inghilterra come zona vitivinicola suona quasi come un insulto al vino e su questo sono in totale disaccordo visto che alcuni dei suoi spumanti superano di gran lunga le bollicine italiane, nonostante abbiano una storia produttiva di qualità che a fatica parte dagli inizi del 1990.

Il terzo è  l’inevitabile paragone con lo Champagne che tutti quanti si aspettano e proprio per questo motivo non lo farò. Tie’.

Gusbourne è situata nel Kent a sud-est della capitale. Se ne hanno notizie sin dal 1410, quando è conosciuta col nome di “Gooseborne”: non per niente il suo stemma  include tre oche (la traduzione di Goose è infatti oca). Diventa una cantina nel 2003 quando Andrew Weeber, un medico sudafricano, capisce il potenziale vitivinicolo dell’area.

Nonostante la tenuta produca un buonissimo Pinot Noir che “viaggia” tra la Mosella e Central Otago e un magnifico Chardonnay (di cui vi obbligherei all’acquisto) che dimostra un’unicità fuori dal comune nonostante l’ispirazione chiaramente Borgognona, il focus principale dell’azienda si concentra sugli spumanti e sul suo Blanc de Blancs millesimato.

Il motivo per cui questo vino è la nave ammiraglia dell’azienda è nella sua ottima capacità di invecchiamento e nella “consistenza” del prodotto, anno dopo anno (tutti i loro vini escono in versione millesimato). Questa  caratteristica è figlia in particolare della tipo0logia di terreni su cui si trovano le vigne. La maggior parte dei terreni del sud dell’Inghilterra, dove il vino è prodotto, è composta di gesso (vi consiglierei di googlare qualche informazione sulla geologia delle famose scogliere di Dover) ma non la zona del Kent, che praticamente è un impasto di argille e arenarie che garantiscono acidità e intensità dei profumi anche nelle annate più’ difficoltose.

Il blend finale del vino è sempre fatto (a bottiglie coperte) tra le varie parcelle, di cui una, quella di Boot Hill, sembra essere la chiave per dare al vino una svolta più minerale.

Nella ricerca del bilanciamento tra la frutta (sempre presenta una fortissima e acida mela verde) e le note “secondarie” (i famosi profumi di biscotto e crema dati dalla fermentazione in bottiglia e il tempo sulle fecce) si ottiene tenendo il vino sui lieviti almeno per 3-4 anni e dopo la sboccatura in affinamento per un periodo, minimo, tra i 6 mesi e un anno.

La vera forza dei vini inglesi risiede nella loro altissima acidità che però allo stesso tempo rivela la loro più grande debolezza ovvero la struttura nel medio-palato. Per questo motivo ogni vino di Gusbourne si presenta con un 10% di legno (misto tra vecchio e nuovo) che serve ad irrobustire la sensazione del corpo.

Le annate dei vini inglesi  si dividono semplicemente in annate calde e annate fredde. Nonostante sembro inusuale dividere le annate solo per la loro generale temperatura, a detta dell’enologo  è comunque abbastanza nel capire il prodotto che segue in quanto ulteriori suddivisioni (come per esempio dividere le annate calde in aride e torride) non interrompono una matrice comune nei profumi e  nella struttura dei vini.

Nonostante ci sia una ricerca verso lo stile Brut/Brut Nature ho riscontrato una fortissima presenza degli zuccheri in ogni singolo vino. Non ho comunque mantenuto la mia attenzione su questa caratteristica in quanto credo sia un problema dettato dal clima e dalla tecnologia (le nuove annate sono meno soggette a questo dettaglio rispetto a quelle vecchie).

Segue ora un racconto della verticale del vino guidata da Charlie Holland, chief winemaker dell’azienda.

Parte 1: La nuova era di Gusbourne

La prima serie di vini è stata prodotta con strumenti e tecnologie moderne e maggiore conoscenza dell’assemblaggio e della vigna.

2015 (annata fredda) – Al naso arrivano subito una pera non matura e molro acida, mela verde e lime e un leggero sentore di chewing gum. Le bollicine sono sottili e costanti ma sembrano rimanere sulla punta della lingua piuttosto che svilupparsi sull’intero palato. Le componenti fermentative arrivano a stento con l’aprirsi del vino e si manifestano in un leggero sentore di  biscotto.

2014 (annata calda) – Il sentore di chewing gum rimane presente mentre la frutta diventa più’ matura muovendosi verso la pesca e la scorza di limone. Col passare del tempo il vino mostra sempre più frutta. Meno acidita’, meno bollicine. Il corpo del vino è pero diventato più’ pesante nonostante i sentori cremosi non siano minimamente percepibili.

2013 (annata fredda) – Fortissime aromaticita’ verdi da erba bagnata che accompagnano note di sapone che ricordano molto il nuovo mondo (House of Arras). Sul palato la fortissima acidità del vino e il suo sentore di lime seguono una ottima persistenza delle bollicine. Il finale riporta le stesse aromaticità chiudendo con una nota amarognola. Col passare del tempo arrivano finalmente i sentori di crema e di biscotto che pero rimangono perfettamente bilanciati con la frutta.

Parte 2: Il vecchio stile di Gusbourne

I vini qua presentati sono figli del loro primo approccio alla spumantizzazione quindi con una  minor conoscenza  e con tecnologie meno all’avanguardia.

2010 (annata fredda) – Intensità molto bassa con profumi sussurrati di biscotto e eau de parfum. Intense note aromatiche fermentative accompagnano sul finale una bocca intensa e ricca di corpo, con bollicine importanti che creano però nel vino una disarmonia profonda..

2008 (annata fredda) – Ritorna una grande presenza verde e un ottimo bilanciamento tra aromi secondari e frutta. Una pronunciata mineralità segue note vegetali e biscottate. Un’acidità molto forte crea sul palato una corrente di limone. Col tempo si apre rimanendo consistente e bilanciato. Si posiziona come il miglior vino del tasting. Suggerisce una futura evoluzione della 2013.

2006 (annata calda) – Prima annata prodotta. La parte che doveva essere verde è purtroppo troppo matura e le note di crema e legno che risultano bruciate e polverose. Il colore sfiora il dorato e nonostante l’acidità e le bollicine non siano in rilievo rimangono fondamentali nel sorreggere comunque le parti più deboli del vino. Se lo avessi avuto di fronte in un blind tasting lo avrei confuso per un Blanc de Noir in maggioranza Meunier in stile “naturale” (Frank Pascale Quinte Essence).

Gli spumanti inglesi rimangono per l’Italia fondamentalmente ancora un piccolo mistero, nel migliore dei casi campo di ricerca per una nicchia enofila. Per me sono parte di un quotidiano che non è più’ legato alla ricerca della qualità ma alla costanza qualitativa della produzione (il maggiore concorrente Nyetimber sfoggia aperture di bottiglie di annate degli anni ‘90 di grandissimo rilievo). E’ inutile aggiungere parole per cercare di convincere gli scettici, molto più semplice aggiustare il tiro, tra critica e salesmanship, dicendovi di comprare una cassa del 2013. Poi mi farete sapere.

Nelson Pari

Classe 1989, nato nella felliniana Rimini, da 10 anni residente nell’isola di Albione (Londra, UK). Dopo un Master in chitarra Jazz conseguito al Trinity Laban di Greenwich, si lancia nel mondo del vino. Supervisore eventi a 67 Pall Mall di Londra, il club privato di “fine wine” piú prestigioso al mondo, e Certified Sommelier per la Corte dei Master Sommelier. Il suo vino preferito e’ Mouton Rothschild 1989 in abbinamento a Kind of Blue di Miles Davis.


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