Un Primitivo tra alcol e longevità2 min read

Croce e delizia, il grado alcolico nel Primitivo è sempre stato una discriminante tra chi lo ama per il suo impatto potente e  chi invece gli rimprovera l’eccesso  alcolico. Per quanto l’alcol  possa ben integrarsi e non farsi sentire un elemento  dominante,  è innegabile che una gradazione alcolica alta come quella che si riscontra nei primitivi non lascia il consumatore indifferente, specie quando dopo averne bevuto qualche bicchiere tenta di alzarsi dalla sedia.

Se negli ultimi anni molti degustatori, hanno dato relativa importanza a questo dato la stessa cosa non avviene sui mercati esteri  dove vini di siffatta alcolicità trovano qualche difficoltà ad affermarsi. Complice di ciò anche  una campagna mediatica criminalizzante verso l’alcol in generale, che non fa distinzioni tra vino e superalcolici. Ma alla natura, si sa,  non si comanda, specie quando i vini sono il frutto  di un territorio solare  che si esprime con estrema spontaneità. Ovvio quindi che vini con queste caratteristiche siano destinati a fasce di consumatori molto esigue e non potrebbe essere diversamente visto anche la produzione contenuta.

 
Ma l’elevato grado alcolico del Primitivo  non è l’unico elemento che in qualche modo ne condiziona la diffusione: c’è anche la sua durata nel tempo.
Una delle caratteristiche del vitigno è quella di esprimere un frutto concentrato ricco di sostanze polifenoliche  ma povero in particolare nei tannini. Se poi si aggiunge che per forza di cose, quando la maturazione appena appena viene spinta un po’ oltre l’acidità può essere compromessa, allora si spiega la non  longevità del Primitivo in generale. Ovviamente esistono le eccezioni, ma in generale sono queste le caratteristiche del vitigno.

Allo stato attuale non c’è uno storico presso le aziende con cui confrontarsi e quindi in realtà, come avviene in buona parte del Sud Italia, nessuna sa come questo vitigno, anche coniugato nelle sue espressioni territoriali (Manduria, Gioa de Colle etc… ),  possa esprimersi nel tempo. Le tecniche colturali possono in qualche modo influenzare il suo carattere ? Le pratiche di cantina (non invasive) possono determinare un profilo organolettico anche diverso da quello attuale? Forse sì a quanto ci è dato di sapere dalle notizie che arrivano dai vari istituti di ricerca che si occupano del vitigno.

Nei prossimi mesi ci occuperemo più specificatamente del Primitivo e proveremo a saperne di più su questo vitigno organizzando una serie di degustazioni verticali (delle aziende che hanno storia e che si dichiareranno sono disponibili) che ci daranno, speriamo, notizie  più certe.

Pasquale Porcelli

Non ho mai frequentato nessun corso che non fosse Corso Umberto all’ora del passeggio. Non me ne pento, la strada insegna tanto. Mia madre diceva che ero uno zingaro, sempre pronto a partire. Sono un girovago curioso a cui piace vivere con piacere, e tra i piaceri poteva mancare il vino? Degustatore seriale, come si dice adesso, ho prestato il mio palato a quasi tutte le guide in circolazione, per divertimento e per vanità. Come sono finito in Winesurf? Un errore, non mio ma di Macchi che mi ha voluto con sé dall’inizio di questa bellissima avventura che mi permette di partire ancora.


ARGOMENTI PRINCIPALI



0 responses to “Un Primitivo tra alcol e longevità2 min read

  1. Gentile dott. Porcelli, mi permetto di commentare questo suo articolo per esprimerLe il mio garbato e cortese disappunto per il profilo negativo che, a torto, viene fuori dalle sue argomentazioni. Un profilo che non condivido perché lo considero ingeneroso, rispetto al quale mi piacerebbe, con questo mio intervento, offrire uno spunto di confronto e di dibattito riguardo ad un vitigno storico della mia (ma credo anche Sua) terra, che vivaddio ha visto tanto impegno da parte dei nostri produttori sapientemente tradursi in prodotti di ottima qualità , in grado di intercettare con successo i gusti di eno-appassionati e del mercato.
    Ed è proprio grazie a quel lavoro condotto con un pizzico di caparbietà  e coraggio, che oggi, quando si parla di Primitivo, la nostra capacità  evocativa risveglia immediatamente i sapori intensi, i profumi forti e persistenti, l’amabile struttura di un vino, che ha fatto di tutta questa forza l’emblema della sua ricercata tipicità .
    La zona di produzione delle due DOC Primitivo, fa riferimento ad un comprensorio molto vasto; ed è chiaro pertanto che da un punto di vista pedoclimatico i vigneti collocati nelle diverse zone di produzione differiscono notevolmente per caratteristiche organolettiche. Differenze che si riverberano anche nel prodotto finito.
    Da sempre, infatti, l’ambiente di coltivazione è fondamentale per far esprimere il vero carattere alle uve, attraverso l’interazione vitigno/ambiente. Tuttavia, i disciplinari di produzione (sia DOC che IGT), che rappresentano il crisma dell’ufficialità  per le produzioni di qualità , sono uno strumento importante, in quanto riescono a rendere evidente quella tipicità  necessaria a determinare la differenza. In tal senso, la gradazione minima di 14° per il Primitivo di Manduria, di 13° per il Gioia del Colle sono espressamente richiesti perché il vino possa avere la sua denominazione.
    Mi chiedo, e Le chiedo, allora: può una prerogativa cosଠpregevole, come un buon tenore alcolico, peraltro fortemente richiesto dal consumatore di Primitivo, divenire un elemento inibente il consumo, a causa di una disinformazione che considera il vino alla stregua dei superalcolici, come Lei stesso scrive nel suo articolo? Quando, peraltro, una campagna medica ufficiale consiglia un sapiente consumo di vino (meglio se rosso) per le sue innumerevoli benefiche e salutari proprietà ?
    Io credo, invece, (e non sono l’unico a farlo) che il Primitivo sia un “genio multiforme”, per le tante, tutte ottime, tipologie in cui può esprimersi. Ed i consumatori, veri giudici della qualità , possono orientarsi, come fanno, servendosi delle differenti menzioni che la legge prevede a loro tutela.
    Dico di più. Dietro alle terminologie “Vino”, “IGT” e “DOC” si celano mondi e filosofie di produzione totalmente diversi, che scrivono la vera differenza. Al punto che ogni generica affermazione sul Primitivo, quale la sua scarsa longevità  o la sua ancora più discutibile povertà  di tannini, appaiono di estrema relatività  oltre che difficilmente dimostrabili.
    Quale Assessore alle Risorse agroalimentari della Puglia, tengo sempre a suggerire che la strategia migliore per affrontare la globalizzazione sia quella di conservare la tipicità , guardando al mercato che si trasforma nella sua domanda ed alla innovazione. Un prodotto di qualità , infatti, sa, può, deve essere flessibile nella sua offerta sul mercato. Ciò grazie non solo ad adeguate politiche di marketing, ma anche alle strategie di produzione ed alla abilità  dei tecnici che sorretti dalla ricerca scientifica e dalle nuove tecnologie potranno migliorare e valorizzare i profili organolettici delle uve, per offrire un prodotto di sempre più elevato standard qualitativo, cosଠcome richiesto da un mercato che si evolve e diviene sempre più esigente.
    L’affermazione del Primitivo è una realtà  recente, è una presa di coscienza venuta dopo un lungo e buio medioevo, nel quale il Primitivo ha ignorato e sottovaluto le sue grandi potenzialità .
    I produttori che hanno investito e scommesso sul Primitivo non possono vantare antiche e gloriose Case di produzione, cosଠcome per altre aree di affermata vocazione vinicola e questo giustifica la difficile reperibilità  di uno storico che si allunga nel passato.
    Ma il futuro di successo e la costante attuale affermazione del Primitivo, sono certo, colmeranno, anche, questa (non sostanziale) lacuna.

  2. L’articolo sul Primitivo scritto da Pasquale Porcelli ha trovato un autorevole replica da parte dell’Assessore Stefano “innestando” cosଠun dibattito al quale non voglio mancare di partecipare, in qualità  di produttore.
    Dirò subito che quella del Primitivo di Manduria è stata un’occasione mancata, ma forse è lo specchio più fedele di una più grande promessa non mantenuta: quella dell’intera viticultura pugliese.
    Ciò non è imputabile al tenore alcolico troppo elevato o alla scarsa longevità  del primitivo, “che ne limiterebbero la diffusione”: forse mai come negli ultimi anni il primitivo si è reso noto a vastissime fasce di consumatori, divenendo un fenomeno popolare e internazionale.
    Ma proprio questo è il problema: nell’assecondare l’interesse crescente (e dilagante) del mercato, questo prodotto ha lasciato per strada la sua storia, la sua tipicità , perfino la sua affidabilità .
    E di questo, ritengo, siamo tutti indistintamente responsabili: produttori, giornalisti e istituzioni.
    Ripercorriamo la storia recente: il boom del primitivo arriva nel 1992 a Manduria per le critiche incoraggianti di Luigi Veronelli e di altri importanti opinion leaders che si entusiasmano alle nuove interpretazioni produttive di questa vecchia varietà . A quell’epoca i vigneti di primitivo in Puglia erano circoscritti in una ristretta enclave che comprendeva (peraltro parzialmente) il territorio della doc Manduria. A Gioia si contavano sଠe no poche decine di ettari.
    Il mito della superproduzione per la distillazione aveva decimato ovunque gli alberelli per favorire i famosi tendoni di uve meno tipiche, meno interessanti, ma evidentemente più redditizie (sangiovese, trebbiano, montepulciano, garganega).
    Solo tra Manduria, Avetrana, Maruggio, Torricella e Sava avevano resistito schiere di agricoltori, pagando per anni fortissime penalizzazioni economiche nel mantenere quei vigneti tradizionali con rese bassissime!
    Il successo repentino a fine anni 90 e l’affermarsi di alcune limitate produzioni di qualità , sollecitarono una enorme domanda che trovava impreparata gran parte dell’offerta: l’unica discriminante per un primitivo, nella concezione comune dei produttori dell’epoca ( e purtroppo di molti ancora oggi) era il grado alcolico: nel senso che più era alto il grado e migliore era ritenuto il vino, con buona pace di tanti altri elementi fondamentali come l’acidità , la tannicità , l’equilibrio e la stabilità !
    Da questa errata concezione, retaggio della tradizione del commercio sfuso all’ingrosso dove la quotazione del vino avviene per grado/hl, discese l’illusione di poter soddisfare immediatamente il mercato avvalendosi della soluzione approntata inconsapevolmente dalle istituzioni: le igt di primitivo.
    L’errore più grosso lo fecero i produttori della doc Manduria i quali, invece di cominciare a pensare seriamente alla tutela di un prodotto che stava divenendo sempre più famoso e ricercato pensarono di “accomodarsi” sul sistema delle igt per assecondare ancora una volta la logica quantitativa che li guidava da decenni!
    La domanda di bottiglie di doc all’epoca era ancora agli esordi e quindi esigua rispetto ai milioni di litri di vini diversi giacenti nelle cantine.
    Si pensò dunque che col 14 gradi fregiato dalla doc e coordinato attraverso il Consorzio di Tutela e Valorizzazione del Primitivo si sarebbe costruita l’immagine del vino “importante” (oggi si chiamerebbe Grande Vino) col quale accontentare il consumatore più esigente e innamorato del prodotto tipico. Con il primitivo igt invece si dava da subito un seguito al commercio crescente e quantitativamente rilevante del vino “inferiore” (per il grado e per il suo corrente prezzo di mercato) soddisfacendo i numerosi imbottigliatori del nord che lo acquistavano in cisterne!
    Per pochi anni i produttori di Manduria ebbero il monopolio del commercio del primitivo imbottigliato (doc) e sfuso igt(migliaia di cisterne).
    E qui comincia il vero e proprio disastro: spinti da questa enorme domanda i produttori pugliesi cominciarono a piantare ovunque il primitivo, potendo utilizzare le igt puglia, tarantino, salento, daunia. L’enclave della storia, della tradizione e della tipicità  del primitivo(manduria e gioia) si dilatavano per legge da San Severo a Santa Maria di Leuca! Ciascuno con la sua ricetta (confezionata dai rappresentanti politici locali che produssero le normative igt secondo le pressioni locali) in termini di rese per ettaro e grado. E qui si smaschera (o si maschera) la vergogna: il primitivo che accese i riflettori sulla Puglia era il doc Manduria, con una resa massima di 90 quintali di uva per ettaro e un grado alcolico minimo di 14. Scippando al Manduria i frutti della tenacia e della difficoltà  a coltivare in dette condizioni il vigneto è stata elargita a chiunque la possibilità  di scrivere “Primitivo” su un’etichetta producendo:
    nel Salento, sino a 168 quintali per ettaro e un grado minimo di 12;
    nella Murgia, sino a 180 quintali per ettaro e un grado minimo di 11,50;
    nel Tarantino, Valle d’Itria e Daunia, sino a 216 quintali per ettaro e grado minimo 11,50; e ”“udite udite! ”“ in Puglia, sino a 220 quintali per ettaro e grado minimo di 10,50!!!
    Le conseguenze nefaste di questa politica sono oggi evidenti:
    la stragrande maggioranza di bottiglie di primitivo sul mercato è igt, viene imbottigliato al nord e quegli imbottigliatori sono i veri attori del mercato che si muove solo e soltanto per i prezzi, con qualità  variabilissime!
    Adesso andiamo tutti assieme a spiegare al consumatore quali sono le differenze tra un vino e l’altro e perché un “primitivo” dalla Puglia può costare da 1 a 30 euro a bottiglia! E, per favore, andiamolo a spiegare al consumatore tedesco, giapponese o americano!

    Gregory Perrucci

LEGGI ANCHE