Un bel botta e risposta!8 min read

Tutto nasce dall’articolo di Pasquale Porcelli “Il vento è cambiato?” che prendeva spunto da una degustazione svoltasi a Vinitaly con alcuni vini di Riccardo Cotarella.

Abbiamo ricevuto una lettera da parte di Paolo Trimani, proprietario a Roma di una delle enoteche più famose d’Italia.

A questo punto si è innescato un botta e risposta che ci è sembrato giusto (dopo aver chiesto il permesso dell’interessato) proporre a tutti.

Iniziamo con la prima mail di Paolo Trimani

ciao Wine Surf,

vi ricevo e vi consulto con piacere e oggi vi scrivo perchè ero presente alla degustazione dei vini di Riccardo Cotarella di cui parlate in questo numero. Il resoconto di Pasquale Porcelli mi sembra un po’ limitato rispetto a quanto successo, e provo a spiegarmi.
Qualcosa è cambiato davvero nel mondo del vino italiano, come almeno tre volte negli ultimi quindici anni. Anche i tecnici se ne rendono ben conto e rispondono. Lo spunto è interessante ma nell’articolo non si va oltre: i perchè e i come non sono nemmeno descritti.
Criticare Riccardo Cotarella per quello che fa/non fa è pratica abusata. Sono anni che i suoi vini piacciono a tutti e anni che gli stessi tutti li criticano: se ne uscirà mai? Riusciremo un giorno a considerarlo "solo" un bravo professionista che lavora con il suo stile e non anche colui che deve "dare la linea"?
Manca inoltre nell’articolo una descrizione dei sette vini. Che ne pensa l’autore? Alla fine il tecnico è più importante del prodotto??? Avrei confrontato volentieri la mia impressione con la sua.
Paolo Trimani
Il nostro Pasquale ha allora prontamente risposto.

Caro Trimani,
mi fa piacere che lei abbia tempo per leggere il nostro sito, così come spero  che le sue fondate domande possano contribuire ad uscire da una serie di luoghi comuni che troppo spesso accompagnano queste degustazioni. Tengo comunque a precisare che non c’è assolutamente nessuna prevenzione nei confronti di Cotarella come tecnico, che ritengo sia tra i più preparati.
Comincio dalla fine. E’ così  importante in questo contesto descrivere i vini presentati da Cotarella?
Mi sembra di averlo detto chiaramente che in quella degustazione le interpretazioni dell’Enologo ci potevano stare. Il problema non è questo. Faccio un passo indietro, riprendendo le dichiarazioni, cadute nel vuoto ad esclusione dei soliti pochi, di un altro famoso Enologo, Lorenzo Landi il quale in occasione della presentazione del Nobile di Montepulciano di quest’anno dichiara seraficamente: Oramai è chiaro che il Merlot, vitigno di zone fresche, mal si adatta ai climi caldi come, per esempio, quello che trova in la Toscana!  E ce ne siamo accorti solo ora? Dopo averlo impiantato per anni e non solo in Toscana, ma in tutta Italia? La tecnica  di questi enologi non è in discussione, quello che è in discussione è la loro assoluta disinvoltura nel cambiare atteggiamento, senza un minimo di autocritica. La mia critica, per quello che può valere, è quella di aver fortemente imposto un modello di vino completamente slegato da territorio, teorizzando l’uso e l’abuso di vitigni cosiddetti migliorativi (Merlot e Cabernet in primis, ma anche Syraz, Petit Verdot e quant’altro). Oggi che il mercato (leggi quello nordamericano) sembra invertire la tendenza, i nostri si scoprono “territorialisti”. Non erano credibili allora,  li si vuole credibili oggi? In anni non sospetti, in molti avevano criticato questo modo di fare il vino, avvalorato invece da buona parte della “critica ufficiale” che non solo li ha sostenuti e li sostiene ancora.  ma anche incoraggiati, senza mai sollevare il minimo dubbio sulle scelte di tipo strategico che si andavano facendo. Eppure era evidente che il modello sostenuto dai “winemakers” alla lunga sarebbe stato perdente perché  snaturava le caratteristiche dei nostri vini e  perché alla lunga non sarebbe stato competitivo in campo internazionale.
In conclusione la degustazione dei vini di Cotarella è stata importante, non solo perché ha dimostrato che altre vie quando si vogliono sono percorribili, ma soprattutto che per anni i nostri enologi di grido sono rimasti appiattiti su un modello internazionale anziché tentare di percorrere strade diverse. Né può valere la dichiarazione dello stesso Cotarella di qualche tempo fa che l’uso dei vitigni internazionali ci permette oggi di affrontare meglio quello dei vitigni autoctoni, come se Gambelli ed altri come lui non fossero mai  esistiti. Che cosa segna la differenza tra un  Giulio Gambelli e i  moderni winemakers, non certo l’età, ma un totale e diverso modo di intendere il vino. Senza essere nostalgici, perché non c’è da esserlo, ma tra un vino di Gambelli ed uno di Cotarella io non ho dubbi sulla scelta. Allora parlare di vino non può essere la fredda disamina di quello che c’è nel bicchiere, che pure è la condizione sine qua non, ma ogni tanto alzare la testa e pensare anche a chi ce lo propone è un esercizio che dovremmo fare con più attenzione. Prenda la mia risposta per quello che è: una presa d’atto che il mercato sta cambiando ed i nostri Enologi vi si adattano con molta facilità. Si può dire che la legge del mercato ha le sue regole, che dai tecnici non ci si può attendere scelte strategiche che in fondo competono ai produttori, ma qui apriamo un altro siparietto sul ruolo degli ultimi anni dei “wine makers” che merita un’altra più approfondita discussione.
 Mi fa piacere comunque che il mio resoconto che non voleva assolutamente essere”demonizzante”,ma  non voleva  nello stesso tempo essere   neanche “pecorosamente” ossequiante, abbia contribuito a questo nostro scambio di idee Certo parlare male è più facile che parlare bene, ma mi creda alcune volte è ancora più facile tacere, omologandosi alle idee correnti (chi siamo noi per contrapporci ai grandi opinion makers pur presenti alla degustazione?) piuttosto che parlare anche rischiando di sbagliare.
Cordiali saluti Pasquale Porcelli

Al che Trimani ha approfondito e chiuso.

Grazie per la risposta, tempestiva e esauriente. Ritengo ci siano moltissime ragioni nell’atteggiamento critico che hai assunto verso il Cotarella di turno. Nell’articolo su Winesurf molte sfumature non erano visibili a occhio nudo.
Le questioni relative al modello di evoluzione dell’enologia italiana di qualità sono quelle che hai delineato, le responsabilità sono ben ripartite tra tutti gli operatori del settore e nessuno ha piacere a vedersele assegnate.
I tecnici sono quelli che più facilmente polarizzano l’attenzione, ieri osannati e oggi deprecati. Di sicuro hanno molte responsabilità e la disinvoltura nello sposare teorie e modelli è una delle più gravi.
Ritengo però che troppo spesso si sottovaluti il ruolo dei produttori, coloro che pagano i consulenti. Amano presentarsi (sto generalizzando) come vittime di un sistema che stritola chi non si adegua.
Nessuno che riconosca che – se questo sistema, basato su critica "ufficiale" e consulenti "di prestigio", esiste – è un sistema che rende!
E sono i proprietari delle aziende che hanno pagato le fatture dei vivai per le barbatelle di merlot, syrah, petit verdot, tannat e via scoprendo nuove varietà.
La confusione è grande, un esercito di apprendisti stregoni vaga tra le vigne italiane senza avere un progetto in grado di resistere a sei mesi di vendite in stallo. E poi ci si racconta che per avere il primo vino da un vigneto ci vogliono quattro anni!
Uomini come Giulio Gambelli sono – purtroppo – un’eccezione nel panorama italiano e si tratta dell’aspetto più grave del nostro panorama. Perchè non ci sono più Gambellli in Toscana, in Piemonte e in Italia? Dove sono finiti?

Siamo passati dalle produzioni massificate e indistinte degli anni ’60 e ’70 (altro che i vini globali di oggi, quelli non si bevevano!) basati su modelli tradizionali ai nuovi paradigmi degli anni ’90 applicati senza distinzioni a tutte le zone italiane. E ne siamo andati un po’ troppo fieri…
Sarà divertente scoprire la prossima tendenza, chi succederà agli autoconi (ma il Teroldego in Maremma è autoctono?) sul trono del trendy!
La grande risorsa del settore – a mio giudizio sottovalutata – è lo straordinario interesse del pubblico per il buon vino e le storie che racconta. Sapori e saperi, come direbbe Petrini, che interessano il pubblico dei consumatori molto più delle beghe di settore e molto più delle storie inventate di altri passatempi.
Spero davvero riusciamo a far crescere la qualità di tutto il settore. Senza piaggeria Winesurf funziona come agitatore di idee!
A presto
Paolo Trimani

A questo punto abbiamo deciso di rendere “pubblica” la cosa, perchè riflessioni  così profonde e soprattutto vere devono essere patrimonio di tutti. E tutti possono dare il loro contributo a questa bellissima discussione. Chiudiamo con una constatazione, crediamo condivisa da tutti: con poco sforzo ( e zero costi) ci siamo trovati un altro opinionista con i controc……..

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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