L’incontro che c’è stato il 16 aprile al Castello di Verrazzano è servito per fare il punto sulle attuali possibilità che ha il castagno, in particolare quello toscano, di essere (nuovamente) usato come legno per vasi vinari.
La degustazione e le successive presentazioni sono state in realtà sunto di tre progetti, nati uno dopo l’altro a partire dal 2017 e che vi riepilogo brevemente.

In un primo tempo si è cercato di capire se e come fosse ancora possibile tornare ad utilizzare il legno di castagno per dei vasi vinari, poi il focus è passato a come reperirlo, tagliarlo e stagionarlo per ottenere doghe utilizzabili, passando poi a capire i metodi di lavorazione più adatti.
Questo ha portato a selezionare un tipo di vaso vinario chiamato carato, leggermente più grande della barrique, con 250 litri di capienza. Ne sono stati assemblati pochi esemplari, superando anche problemi relativi a varie rotture dei legni, utilizzando diverse tostature del legno, cioè alta, media e bassa.
A questo punto del progetto ToSca, i carati sono stati affidati a varie cantine toscane per iniziare una sperimentazione che poi si è ristretta a tre aziende: il Castello di Verrazzano in Chianti Classico , il Podere Scurtarola a Candia e il Podere 1808 sulle colline di Pistoia.

I 9 campioni degustati il 16 aprile, 4 di sangiovese 3 di vermentino e 2 di trebbiano, venivano, in perfetto ordine di citazione, da queste tre aziende ed ogni gruppetto era della stessa annata. Quindi vini uguali ma sia maturati in legni di castagno con varie tostature che affinati in rovere.
Per quanto mi riguarda l’assaggio ha messo in mostra alcuni vini che più di altri mostravano note di maturità importanti, specialmente al naso. Questi, quando hanno “smascherato” i vini, corrispondevano a campioni maturati in castagno, in particolare con tostature importanti.
In realtà il castagno ha una porosità maggiore rispetto al rovere e questo spiega la maturità (più olfattiva che gustativa) di alcuni campioni.

Siamo di fronte ad un progetto indubbiamente interessante che però si scontra con alcune caratteristiche del castagno che, specie con vendemmie calde, rischia di far maturare un po’ troppo in fretta i vini. Questo potrebbe essere anche un pregio per entrare prima sul mercato, ma quello che un po’ mi preoccupa è l’equilibrio generale del prodotto finito. Inoltre il processo per ottenere le doghe di castagno è diverso da quello usato per il rovere e mancano esperti in questo tipo di lavorazione.
Ad oggi, con quello che abbiamo a disposizione, forse la strada migliore per utilizzare il castagno è quello di usare tostature bassissime per permettere alle caratteristiche aromatiche del vino di esprimersi bene e in tempi ridotti rispetto al rovere, in modo da potersi poi affinare in acciaio o, meglio in bottiglia, prima dell’immissione sul mercato.
Comunque il progetto va avanti e noi, che l’abbiamo seguito sin dall’inizio, vi terremo aggiornati sugli sviluppi