Ammetto subito di non aver visto la puntata di report di qualche giorno fa e l’ho fatto per due motivi. Da una parte avevo già visto diversi prequel capendo bene dove si sarebbe andati a cascare e soprattutto come, inoltre avendo visto le due precedenti puntate non avevo voglia di farmi il sangue amaro. Dall’altra ero sicuro che sul web dopo se ne sarebbe parlato così tanto e sarebbero usciti infiniti spezzoni della puntata da farmi capire perfettamente quello che Report voleva dimostrare.
In realtà qui non mi interessa tanto parlare del contenuto della puntata ma delle due classiche reazioni: quella degli esperti del settore e quella dei non esperti. Da una parte commenti scandalizzati sul pressapochismo giornalistico elevato a sistema e dall’altra i commenti (sempre scandalizzati) puntanti a demonizzare tutto il settore al grido “Io l’avevo detto, io sotto sotto lo sapevo”.

Ecco, proprio quel “io sotto sotto lo sapevo”, detto da chi il mondo del vino e le sue chiare o fumose procedure non conosce, è una frase che dovrebbe far vergognare (almeno un po’) tutta la stampa di settore e vi spiego perché.
Senza voler andare a rivangare scandali passati scagli la prima pietra chi, tra tutti quelli che scrivono di vino a vario titolo, non ha mai seguito il detto andreottiano del pensar male, o ha semplicemente fatto orecchio da mercante a frasi, commenti, azioni non proprio chiarissime (magari anche a norma di legge, ma che fanno pensar male) incontrate a destra o manca dello stivale e anche oltre.

Ditemi se mai, di fronte a cisterne che partono o arrivano, a vini che ricordano altre uve o semplicemente a chiacchiere prima, durante o dopo una cena, non vi è mai passato per la testa di pensare… male.
Pensare e basta naturalmente, perché diciamocelo chiaramente, se un giornalista del vino si mettesse a fare inchieste (serie!!! Con dati di fatto incontrovertibili!!!) su tanto vino che gira, automaticamente non farebbe più parte della partita di giro degli inviti, visite, presentazioni, premiazioni, anteprime da cui ricava buona parte del suo lavoro.
Ma è proprio dal “pensar male” che nasce il raffazzonato servizio di Report, è da quel mondo più scuro almeno sulla carta, che doveva essere trattato eventualmente con molta più professionalità da chi il settore lo conosce.
Perché uno che del mondo del vino non ci capisce niente o quasi, spara cannonate di m… molto a caso, colpendo naturalmente i bersagli più grossi e più facili, anche dal punto di vista dell’audience. Qui non si tratta di una partita di vino e di una fattura, ma di far tirare fuori cadaveri dall’armadio a chi non riconosce un fantoccio di tela da un possibile cadavere.

In altre parole il servizio di report si inserisce, purtroppo con la forza distruttiva che può avere la televisione, nell’annoso problema del modo di presentare e parlare di vino, da tutti etichettato come vecchio e funzionale solo per una ristretta cerchia, ma poi mantenuto “mutatis mutandi” in essere.
Attenzione, non voglio demonizzare me e i miei colleghi perché il meccanismo è vecchio quanto il mondo. Non parlare male di chi ti fa mettere il pane sulla tavola è comune (purtroppo) ad ogni settore del giornalismo e non solo: ditemi quanti giornalisti, di giornali o TV di sinistra o di destra, in Italia o all’estero, fanno inchieste approfondite su problemi inerenti a cose non chiare della propria parte politica. Voglio solo dire che lamentarsi del modo approssimativo e fuorviante che ha avuto Report nel trattare il mondo del vino dovrebbe farci pensare che forse spetterebbe a noi farlo in maniera più precisa e documentata, perché se il consumatore medio si scandalizza e magari beve meno vino, la colpa è anche nostra che non siamo riusciti ad informarlo nella maniera giusta o almeno in maniera chiara.
A questo punto credo che l’unica cosa giusta da fare sarebbe domandarsi, anche senza scomodare Lenin, “Che fare?”