Il volto sorridente dello chef Charlie Palmer annuncia in copertina il tema principale di questo numero, quasi interamente dedicato alla assegnazione annuale dei Restaurant Awards di “Wine Spectator”. A parte le consuete rubriche di “GrapeVine” (in questa sezione é il “Wine Focus” di Alison Napjus sui vini sudafricani) e la rassegna mensile della “Buying Guide”, solo due altri servizi completano il fascicolo: il report sull’annata 2019 degli Zinfandel californiani di Tim Fish e l’articolo di Kristen Bieler sul “serious side” dei vini rosé.

Innanzitutto gli Awards dei ristorante. Come precisa la rivista, per quanto l’offerta di cibi e vini sia generalmente coerente, i premi riguardano esclusivamente le cantine dei ristoranti e non primariamente la loro cucina. Gli Awards sono di tre tipi , di importanza crescente: gli Award di eccellenza, contrassegnati da un bicchiere, che indicano i ristoranti la cui cantina offre almeno 90 vini diversi di produttori di alta qualità e coerenti per prezzo e stile con I piatti proposti; i “Best Awards of Excellence”, indicati con due bicchieri, sono attribuiti a quei locali che dispongono di almeno 350 etichette rappresentative di territori diversi tali da poter soddisfare la domanda di wine lovers esigenti; infine i “Grand Awards”, indicati con tre bicchieri, rappresentano il vertice dei riconoscimenti assegnati: almeno 1000 etichette di differenti terroirs e produttori top , con un’ampia gamma di formati e annate diverse. Nel 2022 sono stati 1.782 i vincitori dell’Award of Excellence, 1.290 quelli del Best of Award e 97 i Grand Award. Due sono i nuovi Grand Award assegnati per la prima volta: il ristorante Gabriel Kreuther di Manhattan, con la sua cucina alsaziana, e il Press , nella Napa Valley, a cui (rispettivamente) Bruce Sanderson e James Molesworth, dedicano un ampio articolo. Questi due articoli sono preceduti dall’ampio servizio di Tim Fish sulla cucina e sui ristoranti di Palmer, che riempie ben 12 pagine a colori , e quello di Cassia Schifter , dal titolo “Pride & Progress”, sui ristoranti maggiormente “inclusivi” e il crescente fenomeno delle “gender list” dei vini al ristorante.

La rivista presenta di seguito il lungo elenco dei ristoranti premiati, partendo naturalmente dagli Stati Uniti, distintamente per ciascuno stato , in ordine alfabetico, dall’Alabama al Wyoming, e poi quelli del resto del mondo (sempre in ordine alfabetico), cominciando dall’Argentina fino al Vietnam: entrambi non hanno ottenuto alcun Grand Award , ma hanno dovuto accontentarsi di un Best Award of Excellence, con due bicchieri. Dei 97 Grand Award nel mondo WS riporta nome indirizzo, il Responsabile della cantina , i sommelier, le principali regioni vinicole rappresentate col numero delle etichette, il livello dei prezzi dei vini e, per quanto riguarda la cucina, la tipologia, anche regionale e i prezzi dei menu.
Tra i diversi paesi extra-US l’Italia é ancora una volta quello col maggior numero di Grands Awards: sei, come lo scorso anno, tutte conferme dagli anni precedent (l’Antica Bottega del Vino di Verona,l’Enoteca Pinchiorri, Il Poeta contadino di Alberobello, la Ciau del Tornavento e Cracco). In Europa solo la Francia è vicina (5 come lo scorso anno), mentre gli altri paesi non vanno oltre i due riconoscimenti: sono due ciascuno quelli di Austria e Spagna, uno soltanto Danimarca, Germania , Inghilterra, Principato di Monaco e Svezia. Negli altri continenti la Cina sopravanza tutti gli altri paesi (4). Ma la maggior parte dei Grand Award è naturalmente stata assegnata a ristoranti degli Stati Uniti, con la California e New York, rispettivamente con 18 e 16 Grand Award, a fare la parte del leone (da sole oltre un terzo di tutti quelli distribuiti nel mondo).

Italia e Francia, comunque, pur battute in casa, si rivalgono ampiamente nel resto del mondo con i ristoranti di italiani e francesi o che si ispirano esplicitamente alle loro cucine e propongono i loro vini.
Lo Zinfandel, sia sa, è uno dei vitigni più popolari negli Stati Uniti, che per lungo tempo lo hanno ritenuto una varietà indigena. Come già per altre varietà, lo stato maggior produttore è la California, specialmente la Napa Valley e Sonoma. Quella del 2019, ora sugli scaffali, è stata un’ottima annata, in entrambi questi territori: se possibile, la migliore di una striscia molto positiva che ha caratterizzato il secondo decennio del secolo: 93/100 è la valutazione media del 2019 per gli Zinfandel della Napa e addirittura 95 per quelli della regione di Sonoma. I vini si distinguono per equilibrio e armonia: fruttati, senza essere delle bombe, maturi ma non soverchiati dall’alcol, facili da bere già oggi ma , specie i migliori, anche complessi. Ulteriore motivo di attrattiva, gli Zinfandel sono largamente meno costosi dei Cabernet e dei Pinot noir (i migliori per Fish si aggirano intorno ai 50 dollari, e comunque ben lontani dai 100). Quali sono quelli col più alto punteggio? Un solo vino, uno Zinfandel della Russian River Valley, il Montafi Ranch di Carlisle, ha raggiunto la bella quota di 96/100, ma lo seguono a ruota, con 95 punti, altre tre cuvée della Russian River Valley- rispettivamente della Hartford Family, di Limerick Lane e ancora di Carlisle. A un solo punto di distanza, con 94/100, sono altri otto vini di Dry Creek e Sonoma Valley.

Per finire, un accenno al “lato serio”dei rosé, come è intitolato l’ultimo articolo di questo numero. Sotto la lente d’ingrandimento sono i rosé provenzali, che hanno conosciuto un successo commerciale straordinario negli States, ma soprattutto quelli che hanno alzato la barra della qualità, cercando, al di là delle sfumature del colore, espressione territoriale e durata nel tempo. Nell’articolo Bieler sfata la credenza che i rosé siano vini facili da fare e da bere: per Daniel Ravier, winemaker del Domaine Tempier, icona del Bandol, i rosé sono i vini più difficili, in quanto richiedono una estrema precisione nella coltivazione, una eccellente qualità delle uve e rapidità nelle decisioni da prendere. Mentre la grenache è la varietà dominante nella regione, per quanto riguarda i rosé, nel terroir di Bandol, è molto importante il ruolo del mourvèdre, che è all’origine di rosé più ricchi e strutturati, più carichi di colore e più adatti all’invecchiamento.

Benché molto ricercati dal mercato, i rosé provenzali non sono tutti pallidi e poco colorati, anche con l’apporto, più o meno importante, del rolle (vermentino): uno dei rosé più apprezzati é quello dello Château Simone (nel terroir dei Palette), che impiega, oltre al “pressurage direct”, il metodo del salasso, che dà vini dal colore più scuro (un rubino profondo, quasi rosso). I vini che ne risultano sono più “terroir-oriented”, e impiegano, a differenza di quelli pallidi, lieviti indigeni, anziché selezionati, e invecchiano meglio. Una varietà, talvolta impiegata come concorrente con quelle principali, il tibouren (equivalente del nostro rossese), è alla base dei formidabili tosé del Clos Cibonne, capaci di invecchiare per parecchi anni. Questo Clos si trova nel territorio dell’AOC Côtes-de-Provence a est di Bandol . Il suo winemaker Olivier Desforges invecchia le sue cuvées di tibouren in grandi fusti di legno vecchi “sous florette” , come lo Sherry. Questi rosé sono fatti per durare a lungo e hanno ben poco da spartire con i rosé provenzali pallidi che conosciamo. Non a caso il tIbouren rosé Cuvée Prestige Caroline del Clos Cibonne è quello al vertice dei migliori rosé provenzali scelti da WS (93/100 la versione del 2020) e altre due cuvée dello stesso Clos sono comprese tra i primi cinque che seguono. Bandol (Tempier, Ott, Terrebrune) e Palette (Château Simone) sono nel gruppo dei migliori, con punteggi superiori ai 90 punti, raramente assegnati a vini rosé.