En Magnum giunge al suo 20° numero. A precederlo, il numero “19 e mezzo”, come è stato scherzosamente definito dalla redazione.
Tra il n.19 di marzo-maggio e il 20, causa le difficoltà generate dalla pandemia, il numero estivo è stato infatti pubblicato ampiamente ridotto e solo in formato telematico: appunto un “Demi-magnum”.
Una puntata extra-large di Têtes de cuve, la galleria fotografica dei protagonisti del mondo del vino, a coprire ben 77 delle 135 pagine del fascicolo virtuale, una selezione di rosé per l’estate, gli assaggi dal lockdown di Bettane e di De Roujin, e poco altro.
Il ritorno alla pubblicazione normale, in forma completa, è annunciato in copertina da una magnum della cuvée Hommage à Jacques Perrin 2015 del Domaine de Beaucastel, uno Châteauneuf-du Pape “atipico” a dominante mourvèdre (60%), con il resto di syrah e grenache.
Come sempre c’è molta carne a cuocere. Oltre alle notizie, le numerose rubriche e le pagine dei columnist (Bettane interviene sul valore delle degustazioni delle primeurs fatte su campioni), i servizi fotografici (il tempo delle vendemmie, Têtes de cuves) , la gastronomia (con i ristoranti del Coureur de Vin e gli accordi per le cozze), gli assaggi (idee nuove alle Foires aux vins, le magnum di En Magnum, rosé d’autunno, bianchi del Maconnais), le verticali (Château Nenin, 1961-2017, e Château Larcis-Ducasse, 1945-2017).
Un cenno ora sugli articoli. Oltre ad alcuni articoli brevi e a una lunga intervista a Jean-Pierre Durand, patron delle attività di Advini a Bordeaux, ecco quelli più sostanziosi : l’eterno ritorno di Chablis visto da Laurent Gotti, “borgognologo” di En Magnum, e i suoi Domaines trainanti; il Ticino, definito nel titolo “La Svizzera che avrebbe potuto essere il Piemonte”; i vini sottili del Giappone; gli aromi del vino analizzati nell’articolo tecnico di André Fuster, e infine i due sui quali concentreremo la nostra attenzione.
Il primo, che è anche l’articolo di apertura, è di Michel Bettane, che presenta i venti vini bianchi della sua vita, quelli che più sono rimasti impressi nella sua memoria gustativa. Bettane intende smentire lo stereotipo giornalistico secondo cui i francesi siano bevitori “latini”, ossia bevano solo vini rossi, anche se questi sono stati a lungo privilegiati dalla crème de la crème della gastronomia di una volta, che avrebbe considerato un insulto proporre un vouvray su un piatto di pollame al posto di uno chinon e che per molto tempo si è ostinata a rifiutare categoricamente i vini bianchi sui formaggi, nonostante tutti gli assaggiatori li avrebbero preferiti ad un grande rosso. Per tacere poi della credenza, del tutto erronea, secondo cui i bianchi non avrebbero la stessa capacità di invecchiare dei rossi. In proposito Bettane cita umilmente (e anche un po’ divertito) un clamoroso errore nel quale incorse in un assaggio blind, scambiando un meursault-charmes di Bouchard del 1846 per un Perrières del 1947. Un errore di soli 101 anni!
Ma veniamo al suggestivo itinerario proposto da Bettane, che comprende, accanto a vini relativamente più recenti, numerose gemme di vendemmie molto vetuste degli anni 40-50, e addirittura un moelleux ultra-secolare. I vini della lista di Bettane sono tutti d’Oltralpe, con la sola eccezione del Riesling Scharzhofberger Trockenbeerenauslese 1990 di Egon Müller. Sei vengono dalla Borgogna, e se tra di essi ci sono nomi di crus di grande prestigio (come il Corton-Charlemagne 1955 di Bouchard Père et Fils, affiancato a uno Chablis Tonnerre 1959 del Domaine François Raveneau e a due Meursault Perrières, il 1982 dei Comtes Lafon, e il Clos des Perrières 1992 di Grivault), a sorpresa, con loro, c’è uno chardonnay proveniente da un terroir considerato minore: il Tri de Chavigne 2016 Mâcon-Pierreclos di Jean-Marie Guffens, del Domaine Guffens-Heynen, icona della Borgogna del sud.
Poi tre vini alsaziani: due Riesling, un Vendanges Tardives di Hugel del 1976 e il Rudesheimer Berg Schlossberg 1985 di Georg Breuer, e un Gewürztraminer grand cru Hengst 1976 di Zind-Humbrecht; due bianchi bordolesi di Sauternes, lo Château Gilette sec del 1953 e il Sauternes 1899 di Suduiraut , due Champagnes (Krug 1961 e il Blanc des Millénaires 1995 di Charles Hedsieck), un bianco del Rodano, l’Hermitage blanc 1929 di Chapoutier, un vino dello Jura, lo Château-Chalon 1959 di Vichot-Girot , e uno del Sud-Ouest, lo Jurançon Suprême de Thou 2009 del Clos Thou.
Per finire, tre vini della Loira: un bianco secco, un Sancerre di Alphonse Mellot, la Cuvée Edmond del 1990, e due moelleux, il Vouvray 1945 di André Foreau (Clos Naudin), e il Bonnezeaux Château de Fesles 1947 di Jean Boivin.
L’altro articolo che abbiamo scelto, è quello di Gilles Durand-Daguin sulla”folle progressione del Crozes-Hermitage”: “folle”, perché notevolmente accelerata, sia dal punto di vista qualitativo e di mercato che da quello quantitativo . Nata nel 1937 comprendendo in pratica il solo comune omonimo, l’AOC, dopo il suo allargamento nel 1952, ha raggiunto rapidamente l’estensione di 1.768 ettari su un potenziale di 4.800.
Premiato da un buon equilibrio tra qualità, reperibilità e prezzo (mediamente un Crozes-Hermitage costa 20 euro, con punte di 30-35 per i top di gamma), il Crozes-Hermitage incontra sempre più il favore dei consumatori, pur senza raggiungere il prestigio degli Hermitage e dei Côte-Rotie. Si tratta di un’appellation soprattutto rossa (i bianchi sono al momento in quantità confidenziale) che, inizialmente limitata all’area a nord della collina di Hermitage del comune di Crozes, si è poi allargata ai comuni di Lamage, Gervans, Erôme e Serves-sur-Rhône, nella stessa area prossima alla collina dell’Hermitage e di fronte ai coteaux di St. Joseph, e poi ad altri a sud-est della zona iniziale.
Si tratta di terroirs molto differenti tra loro per suoli e clima. Il settore nord è più fresco, dà vini più strutturati e con una maggiore tensione, potenzialmente adatto anche ai vini bianchi. I suoli sono sabbioso-ghiaiosi di natura granitica o a base di gneiss. A est di Tain, nella zona comprendente la parte nord di Mercuriol e Chanos-Curson, prevalgono le terrazze a galets, limo-sabbiose in superficie, con più argilla in profondità.
Infine, la terza e la più estesa delle tre zone fondamentali, raggiunge la pianura degli Chassis, e i comuni di La Roche-de-Glun, Pont-de-l’Isère e Beaumont-Monteux. Più pianeggiante, si affaccia direttamente sul Rodano , da cui provengono molti depositi alluvionali. I suoli vi sono più profondi, con molti ciottoli, galets roulés, sabbioso-limonosi in superficie e argilloso-limosi più sotto. Qui il clima è più caldo con evidenti influenze mediterranee.
Se Alain Graillot e Laurent Combier sono stati i pionieri del territorio di Crozes-Hermitage, importanti conferme vengono da François Tardi e David Reynaud. Le novità più interessanti vengono da Florian Buit, soprattutto, Mark Romak e Gaylord Machon. Un esempio di buona bottiglia a buon mercato? Il Crozes-Hermitage del Domaine Pradelle 2018: solo 11.25 euro per un buon rosso rotondo e dai tannini fini.