Stampa estera a portata di clic. Wine Spectator, vol. 453 min read

Italy decanted: Classic wines & Great Values” recita il titolo grande della copertina  di questo numero principalmente  dedicato ai vini italiani. Soprattutto toscani, e tra questi  a essere celebrato é il Tignanello con una impressionante verticale.

All’Italia é naturalmente dedicato anche l’editoriale di Shanken e Matthews, che ricordano il rilievo attribuito dal loro giornale al vino italiano, con  circa 3.000 vini assaggiati all’anno: il 20% di quelli totali, superati solo dalla Francia (4.000) e dalla California (3.500).

Anche Bruce Sanderson, noto columnist di WS, dedica la sua pagina di questo mese al nuovo brand Ipsus lanciato dalla famiglia Mazzei. Ma veniamo agli articoli. E’ancora Sanderson a firmare il primo, dal titolo che non potrebbe essere più esplicito: “Il potere della Toscana”. E’ appena il caso di osservare che la grande foto a due pagine che lo introduce riporta un solo vino appartenente ad una delle grandi denominazioni storiche della regione: il Chianti Classico riserva Castello di Volpaia. Gli altri? Masseto, Solaia, Sassicaia e Camartina. Nessun Brunello e nessun Vino Nobile.

Nel suo articolo, che introduce il dossier dedicato ai vini italiani,Sanderson  presenta anche le ultime vendemmie dei vini toscani, partendo da Bolgheri e Maremma (2015 e 2016 al top, rispettivamente 97 e 96/100, 2014 cenerentola del decennio con 89/100), poi il Brunello (2010 su tutte le altre annate, poi 2012 e 2015) e infine il Chianti Classico (anche qui grandi 2015 e 2016, con 97/100, seguiti  da un brillante 2017, 93/100).  I Top Wines di Sanderson? Solaia 2016, 98/100, poi , un punto al di sotto, una triade comprendente il Caberlot del Carnasciale, il Chianti classico riserva 2016 del Castello di Volpaia e il Brunello riserva Diecianni 2010 de Le Chiuse.Il Sassicaia 2017? Più giù a quota 95. Tra le denominazioni storiche , meglio di tutte quella del  Chianti Classico, con quattro vini tra i primi dieci, e undici tra i primi venti. Il Nobile riserva Bossona 2015 , primo della sua denominazione, é solo  al 20° posto, mentre, per quanto riguarda il Brunello nulla più dopo l’exploit della riserva delle Chiuse. Il resto: Bolgheri e supertuscan. Il Chianti Classico é invece il mattatore dei Top Values, cioé gli ottimi vini accessibili: 7 tra i primi 10.

Dopo Sanderson, un altro Sanderson: suo anche l’articolo che segue, dedicato ad una grande verticale  di 39 annate  di Tignanello . A quanto sembra, un trionfo, visto che, a parte l’infortunio della bottiglia dell’annata 1981, ossidata, e pochi vini delle annate tra i ‘70 e gli ’80 he non hanno raggiunto i 90 punti, il resto li supera abbondantemente, con la 2004 (98/100), e  1990,2007, 2016 a 97/100.

Ancora Italia nell’articolo della Napjus “alla scoperta del Veneto”, o meglio di due sue regioni vinicole meno famose: Breganze e I Colli Berici e le terre del Lugana. Alcuni brevi ritratti di viniviticultori completano il servizio.

Chiude la serie di articoli dedicati all’Italia il report della stessa Napjus sui Nebbiolo della Valtellina, come sempre, con annessa lista degli assaggi  migliori (al vertice il Valtellina superiore riserva Vigna Regina 2007 di Arpepe dall’alto dei suoi 96/100).

Prima della Buying Guide che chiude la rivista, nella quale  i  vini del nostro paese, soprattutto toscani, occupano numerose posizioni delle vetrine di quelli  di maggior prestigio, Highly Recommended e Collectibles , c’é spazio per due articoli dedicati al ”resto del mondo”: il primo é sull’innamoramento di Alain Dominique Perrin (Cartier) per il terroir di Cahors, patria del malbec, e lo Château Legrezette , nel cui restauro ha immesso una impressionante somma di denaro; l’altro  riguarda il “Modern craftsman” Dan Petroski, impegnato a rivitalizzare Larkmead e a lanciare l’etichetta Massican nella Napa. Curiosa l’origine della collezione Massican: deriva dal Massico casertano, dove erano nati i bisnonni di Petroski: là produce bianchi innovative  con uve “italiane” come la ribolla gialla e il tocai friulano “macchiato” da un po’ di chardonnay.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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