Si può imparare qualcosa anche andando a scuola5 min read

La mi’ nonna, che la sapeva lunga, mi diceva sempre: “Roberto vai volentieri a scuola, perché andando a scuola vedrai che poi impari tante di quelle cose che te nemmeno te le immagini e che poi ti saranno molto utili nella vita”.

Conoscendola capivo che non era la solita frase banale; sicuramente il messaggio sottintendeva anche qualcos’altro, ma mi c’è voluto del tempo per scoprire a cosa alludeva.

Dopo le elementari fatte in paese andai a scuola a Grosseto. La mattina prendevo il treno e li ci trovavo tutti i ragazzi che venivano da Follonica, dagli altri paesi della provincia lungo la costa e dai comuni che dal Monte Amiata scendevano, lungo la linea ferroviaria per Siena,  fino a Grosseto.

Nei gruppi si fa sempre nuove amicizie, specie con quelli più caciaroni e simpatici. Io avevo fatto amicizia con un ragazzo piccolino che veniva dalla montagna. I suoi in famiglia facevano i pastori e io lo ammiravo perché sapeva fischiare in tantissime maniere. Il fischio normale (quello che serve a fischiettare le canzoni), poi quello alla “pecoraia con i diti”, cioè quello di Trapattoni, quello alla “pecoraia senza i diti”, poi il fischio con i solo denti di sotto. Quello più spettacolare lo faceva con la sola lingua. Per questo metteva la lingua ad U e poi la faceva uscire un po’ fuori e soffiando solo aria dalla bocca imitava in maniera stupenda il verso del cuculo. Roba da sballo!

Per arrivare dalla stazione di Grosseto alla nostra scuola in piazza del mercato si doveva in pratica attraversare tutta Grosseto. E fu in questo tragitto che lo misi in croce perché volevo imparare a tutti i costi a fischiare come lui. Tutte la mattine era così. E lui a spiegarmi come mettere la lingua, come mettere le labbra, e via di seguito.

Ci misi un bel po’ ma infine imparai a fischiare alla pecoraia senza le dita e fischiare con la lingua a U facendo il verso del cuculo. Quest’ultimo, difficilissimo, l’ho insegnato prima alle mie due figliole, poi ai miei nipotini. Già mettere la lingua in quella posizione è un bell’exploit, pare che non tutti siano capaci.

Attraversando la città vedevo tutti i giorni tanta gente indaffarata in mille cose, ma perlopiù intenta a camminare; ma il giorno veramente speciale era il giovedì quando a Grosseto c’era (e c’è) il mercato. Allora a metà corso, all’altezza della Camera di Commercio, si riuniva una folla di contadini, fattori, sensali e quant’altro intenti a discutere, parlare e a concludere affari di agricoltura.

Proprio li di fronte c’èra una stradina – via Agostino Bersani – che dal Corso Carducci va verso Via Mazzini. All’inizio di questa il giovedì c’era una banchetto montato su ruote che vendeva frutti di mare. Ma li vendeva soprattutto per mangiarli li per lì in piedi.

Attratto dal quel profumo inconfondibile mi fermavo estasiato a vedere i gesti di quell’omo che con un coltellino apriva le cozze, raccoglieva tutto in una sola parte, poi se richiesto ci metteva una strizzatina di limone e quindi le serviva in un piatto all’avventore. E quello con un risucchio che sembrava un’idrovora buttava tutto giù che pareva un assetato all’uscita da un deserto.

Io ci restavo incantato a vedere queste cose, ma nello stesso tempo studiavo le mosse, quanto costavano, e come facevano. Oltre alle cozze c’erano anche i tartufi di mare che costavano un po’ di più. Una mattina, pensai che avevo capito quello che serviva per farmi fare la mia fornitura. Di solito erano 6 cozze oppure 12, i tartufi ne davano anche meno.

Io non l’avevo mai mangiate ma dalla prima che misi in bocca mi sembrò di bere tutto il mare di Follonica (che berlo oggi non è poi quella gran cosa n.d.r.), una cosa stupenda! Poi volli provare un morso di pane bianco tra una cozza e l’altra e m’accorsi che la cosa era anche più gustosa. Il tartufo di mare era anche più buono. In pratica da quella volta non saltai più nemmeno un giovedì.

Proseguendo dopo il corso e Piazza delle Catene si arrivava a Piazza del Sale dove c’era il mercato del pesce, della carne e della verdura. Io girellavo sempre attorno a questi banchetti per vedere la merce esposta ma anche per vedere come facevano la spesa e come veniva sistemata la merce prima di essere consegnata.   

           
Il banco che mi prendeva di più era quello del pesce. Il profumo dei vari pesci era per me un richiamo irresistibile.

Naturalmente mi fermavo a vedere cosa acquistava la gente e come veniva preparato e sistemato il pesce. Ovviamente in modo assai diverso a seconda se erano pesci con la lisca oppure calamari, seppie e polpi, oppure pesce a taglio. Anche qui ci rimanevo come ipnotizzato e in qualche misura invidiavo il pescivendolo che faceva tutte quelle cose. Ci restavo fino a pochi minuti prima del suono della campanella perché tanto ero ad un centinaio di metri dalla scuola. Quando venivo via da quei profumatissimi banchi mi sentivo felice e soddisfatto come se avessi già mangiato quel pesce.

Ecco, non fosse altro, avevo capito che andando a scuola io avevo imparato a fischiare, scoperto il gusto del mangiare di strada e sapevo già distinguere un calamaro da un totano o da una seppia, una sardina da un’acciuga,un gambero da una mazzancolla, un astice da un’aragosta.

Aveva proprio ragione la mi’ nonna: s’impara qualcosa anche “andando” a scuola!

Roberto Tonini

Nato nella Maremma più profonda, diciamo pure in mezzo al padule ancora da bonificare, in una comunità ricca di personaggi, animali, erbe, fiori e frutti, vivendo come un piccolo animale, ho avuto però la fortuna di sviluppare più di altri olfatto e gusto. La curiosità che fortunatamente non mi ha mai abbandonato ha fatto il resto. Scoperti olio e vino in tenera età sono diventati i miei migliori compagni della vita. Anche il lavoro mi ha fatto incrociare quello che si può mangiare e bere. Scopro che mi piace raccontare le mie cose, così come a mio nonno. Carlo mi ha invitato a scrivere qualche ricordo che avesse a che fare con il mangiare ed il bere. Così sono entrato in questa fantastica brigata di persone che lo fanno con mestiere, infinita passione e ottimi risultati. 


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