Mi sto accorgendo sempre più, anche dalle discussioni sui social, che tra quelli della mia generazioni che hanno provato a fare qualcosa nel mondo del vino entrandoci (l’anagrafe non ha pietà) 30-40 anni fa e le giovani generazioni che da 10-15 anni vi si sono approcciate c’è quasi un muro non solo dovuto all’età ma anche alla mancanza di condivisione (spesso sfociante in gelosia) di quanto noi abbiamo vissuto in quei tempi quasi preistorici del vino e, forse, imparato. Per questo quale occasione migliore di parlarne dalle colonne del Garantito IGP, dove IGP sta per I Giovani Promettenti, tutti colleghi con un’età media che sfiora quella di Matusalemme. Inoltre anche se è lungi da me la voglia di fare un pippone basato sul “ai miei tempi” non sono sicuro di riuscire nell’intento e quindi mi scuso preventivamente.

La morte di Ampelio Bucci è solo, in ordine di tempo, un altro mattone mancante al mondo del vino italiano, iniziato a costruire in maniera ampia e articolata (indegnamente pure da me) nei primi anni ottanta. Prima c’era solo Gino Veronelli che predicava praticamente nel deserto ed è stato in quegli anni, (“Tra Reagan e Gorbaciov”, tanto per restare nel tema del titolo dell’articolo) che sono nate tante cose, tra cui quella che oggi viene chiamata critica enogastronomica italiana.
I miei primi (diciamo anche secondi) anni nel mondo del vino e del cibo sono stati all’interno di un’associazione che allora si chiamava Arcigola e oggi Slow Food. Far parte di un’associazione allora così goduriosamente rivoluzionaria mi è servito tantissimo ed è difficile spiegare come se non ricorrendo a concetti come divertimento, sorpresa, gioia, impegno, conoscenza, soddisfazione, rispetto, amicizia, stupore.

Sembrano concetti slegati ma nel momento in cui si uniscono, e questo in Arcigola accadeva spesso, fanno scaturire insegnamenti per il presente e per il futuro. Vi racconto questa: durante i bellissimi anni in Arcigola sono riuscito ad incontrare personaggi incredibili ed uno è stato il grande scrittore spagnolo Manuel Vasquez Montalban, con cui noi arcigolosi di Toscana avevamo creato un legame particolare. Una volta ci disse “Ma voi come avete fatto a ritrovarvi, sembra vi siate cercati ad uno ad uno” e questo, detto da persone che si erano incrociate solo perché vedevano nel cibo e nel vino qualcosa per poter dare una mano agli altri, per me fu il più grande complimento che potessero farci, perché voleva dire che avevamo creato un gruppo dove ognuno era un elemento insostituibile.
Ecco, quando vi sentirete così vorrà dire che siete nel posto giusto. Non so dirvi quanto durerà ma quel momento, breve o lungo che sarà, godetevelo e contribuite a farlo godere agli altri perché sarà sicuramente uno dei più belli della vostra e delle altre vite che vi sono vicine. Scusate questa divagazione, enogastronomica solo in parte, ma se si parla di dare consigli, questo viene proprio dal cuore.

Ma andiamo avanti con concetti e consigli che spero abbiano i piedi ben piantati in terra. Non è certo un incoraggiamento ma la vecchia battuta su come farsi un piccolo capitale nel mondo del vino (partendo da un grande capitale…) si adatta perfettamente anche a chi questo mondo l’ha vissuto e/o lo vive dalla parte dell’informazione. In altre parole di critica enoica non si campa o si campa male, a meno che non si faccia finta di non capire la differenza tra dare una notizia e fare una marchetta. Per questo trovatevi un lavoro che vi permetta di avere libertà di espressione parlando di vino, oppure abituatevi a guadagni che vanno dal platonico al quasi risibile.
Negli anni ’80 e ’90, anche se c’erano giornali ben fatti sull’enogastronomia, si parlava di vino praticamente tramite le guide, anzi nei primi tempi “la guida”. Eravamo nel periodo che prendere Tre Bicchieri sulla guida del Gambero Rosso e di Slow Food/Arcigola voleva dire vendere tutto il vino nell’arco di un mese e per questo qualsiasi voce taceva di fronte al risultato (o non risultato) numerico. Poi le guide sono diventate 2, poi 3, poi sempre più e mentre aumentava il numero diminuiva la loro incisività sul mercato.

Di quegli anni porto con me un insegnamento valido forse più oggi che in passato e cioè quello di non seguire le mode enoiche (o almeno provarci). Ci sono stati anni che se non usavi la barrique non eri nessuno e se il vino non sapeva di legno non era un grande prodotto: era un errore naturalmente e oggi siamo quasi all’opposto e anche questo non è detto sia un bene. Poi c’è stato il periodo in cui se non avevi chardonnay, merlot e cabernet sauvignon non venivi considerato e oggi siamo all’opposto nuovamente. Poi nei primi anni duemila è partita la rivalutazione a tutti i costi dei vitigni autoctoni, oggi ridimensionata e equilibrata. Insomma il mondo del vino non va avanti in maniera lineare ma, dovendo creare notizia e interesse, “salta” da una moda all’altra e non è per niente facile mantenere un giusto equilibrio e ragionare con la propria testa.
A proposito, due parole sui punteggi dei vini anche se, sono convinto, sarà uno dei consigli meno seguiti. Negli anni ‘80 e nei primi anni ’90 i punteggi erano molto più bassi non perché i vini fossero peggiori ma sia perché non si vedeva la scala numerica come unica traduttrice del termine qualità sia perché non dovevi “far notizia” dando un punteggio più alto del tuo concorrente. Lo so che oggi, in un mondo dove siamo arrivati anche ai 110/10 parlare di punteggi “normali” è anacronistico e che la qualità media dei vini è salita ma non si possono schiacciare tutti i vini tra 93 e 100 e considerare 90/100 come un voto basso.

Fino ad ora siamo rimasti su ricordi e consigli ma adesso provo a spingermi oltre: come si fa a parlare di vino? Secondo me per scrivere e parlare di vino servono fondamentalmente due cose:
- saper scrivere (e averlo fatto) di cose diverse dal vino
- conoscere il vino e il suo mondo.
Il perché del punto 1 lo spiego subito: sbagliando s’impara e quindi magari è meglio fare errori e perfezionarsi in altri campi per poi dare il meglio nel nostro.
Ovviamente non serve essere Verga o Tolstoj (altrimenti non sarei qui) ma avere una discreta conoscenza della grammatica italiana e della sintassi. La stragrande maggioranza di chi ha iniziato a fare il giornalista enoico negli anni ottanta aveva (e ha tuttora, per fortuna) una laurea e questo, specie se vuoi comunicare qualcosa a qualcuno in forma scritta, aiuta.
Questo sia che tu sia italiano o inglese, francese, tedesco o di dove ti pare. Giustamente un grande produttore di vino mi ha fatto notare che negli anni ’80 e ’90 i pochi giornalisti del mondo del vino avevano a che fare con un mondo “vergine” e potevano (anche perché erano di solito molto bravi a scrivere) trovare parole adatte e magari indimenticabili per presentare un vino, un personaggio, un’azienda, una famiglia. Oggi giocoforza si ripetono concetti già usati e strausati da altri e quando si cercano strade nuove il rischio è quello di usare frasi astruse, che più che avvicinare allontanano il consumatore dal vino.

Inoltre vorrei mettervi in guardia da un errore in cui si può cadere: scrivere di vino non è incidere in marmo lettere sempiterne per il genere umano e che serviranno a salvare il pianeta, per questo cercate di prendervi il meno possibile sul serio e, se ci riuscite, siate ironici e ancor meglio, autoironici.
Conoscere il vino e il mondo del vino è l’altra faccia della medaglia: per fare questo, oltre ad aver frequentato qualche corso di degustazione per avere i rudimenti di base occorrono due cose: enorme curiosità e un’auto. La prima cosa serve per darvi la voglia di partire, la seconda per farlo realmente, perché non si diventa esperti di vino facendosi portare i vini a casa o partecipando a degustazioni, ma facendosi il culo piatto sulla macchina girando per cantine, conoscendo produttori, territori, vigneti e riuscendo a mettere assieme tutto questo. Dato che gli esami non finiscono mai non esiste il momento in cui uno può smettere di girare, perché ricordatevi sempre che mentre assaggi un vino ne nascono altri mille, specie all’estero. Il bello del mondo del vino è che è infinitamente grande tanto da sembrare infinitamente piccolo, ed essere grandi esperti del territorio X vuol dire solo che non sei esperto del 99.9% del resto del mondo enoico. Anche se può sembrare inutile dirlo visitando territori e cantine occorre guardare, annusare, testare non solo il vino: si deve annusare il vino nel bicchiere e l’aria che tira in vigna, in cantina in casa del produttore, gustare la disponibilità, la sincerità, la conoscenza di chi vi sta di fronte perché fare informazione e giornalismo non è altro che cercare di capire le cose e raccontarle al meglio delle proprie possibilità.
Per adesso mi fermo perché comincio ad essere noioso anche a me stesso, figuriamoci a voi.