Se l’uva piange, il vino non ride4 min read

L’andamento climatico dell’ultimo decennio ha contribuito alla nascita di teorie apocalittiche riguardo al futuro della viticoltura mondiale – sempre se sopravviveremo alla fine del Mondo prevista per il 2012. Nell’emisfero nord la vite e’ coltivata tra il 30^ ed il 50^ parallelo, ma si ritiene che dal 2050 i vigneti si sposteranno sempre più a nord. Se mi e’ permessa l’iperbole, questo significa che tra qualche decennio in Franciacorta si pianteranno banani ed in Inghilterra Chardonnay base spumante (come del resto già avviene….in Inghilterra).

Catastrofi a parte, il clima sta cambiando e l’enologia non rimane a guardare.

Il mercato richiede qualità costante ed ad oggi la tecnologia e la sapienza dell’enologo riescono in buona parte a compensare le lacune della materia prima.

In generale l’annata 2011 e’ stata caratterizzata da alte temperature e precipitazioni concentrate in pochi giorni, le quali avevano più le caratteristiche di eventi tropicali che miti temporali estivi. Grandinate improvvise possono vanificare il lavoro di un’intera stagione o nei casi migliore compromettere pesantemente la qualità del raccolto.

La produzione di quest’anno vede un calo stimato attorno al 10%, causato dalla siccità e dal caldo. Le elevate temperature aumentano la traspirazione dell’acino e la pianta prende acqua da dove può,  quindi ci troviamo di fronte ad un notevole perdita di acqua nell’uva e una conseguente perdita di peso. Inoltre la pianta, che a differenza degli esseri umani ricerca l’equilibrio, fa seguire annate di produzione più contenute ad annate abbondanti.

I grappoli risultano sovramaturi e non di rado presentano scottature.

In cantina l’enologo otterrà minor prodotto di quanto previsto proprio per la minor resa che darà l’uva. In tali situazioni il mosto e’ più feccioso – sporco- perché la maturazione spinta delle uve comporta la degradazione della buccia la quale rilascerà notevoli quantità di pectine a contatto con il mosto o peggio in pressa. La decantazione e’ più spinta e coadiuvata da enzimi e bentonite, in modo da separare al meglio il mosto pulito dalla feccia.

Rispetto ad annate normali, il mosto ottenuto e’ generalmente caratterizzato da maggiore concentrazione di zuccheri e minor contenuto di acidità. Se anche il pH presenta valori alti e’ necessario aggiungere più anidride solforosa del normale, visto che la percentuale  della parte attiva contro i microrganismi e’ inferiore in ambienti a pH elevato e facilmente in gran parte si combinerà con i colloidi presenti nel mosto.

Il tecnico deve scegliere con oculatezza i lieviti, i quali dovranno agevolmente terminare la fermentazione anche in presenza di un elevato contenuto di alcool, dato dalla trasformazione degli zuccheri, e sostenere la presenza di altri lieviti e batteri, facilitati nella sopravvivenza dalla bassa acidità e dal pH elevato.

Con l’entrata in vigore dell’OCM vino (CE 606/2009) e’ possibile correggere l’acidità dei mosti aggiungendo oltre al ben noto acido tartarico, l’acido malico ed il lattico.

Generalmente i vini figli di annate calde non hanno una particolare longevità , ma l’intervento della tecnologia e’ senz’altro di grande utilità per allungarne la vita ed elevarne la qualità.

L’aspetto organolettico e’ il punto più delicato: i vini bianchi difficilmente risultano eleganti e i vini rossi possono risultare erbacei – paradossalmente l’uva non matura bene se la vite e’ sottoposta a shock termici che possono inibire i processi biochimici. Anche in questo frangente e’ importante scegliere dei lieviti che sappiano esaltare le caratteristiche varietali dei vitigni per eliminare il sentore di "cotto" tipico dei vini provenienti da uve scottate. Nello stesso modo e’ necessario valutare attentamente la durata della macerazione nella vinificazione in rosso, per evitare che i vinaccioli non maturi cedano al vino sentori erbacei.

Nonostante tutto le cantine non sono ancora attrezzate per i miracoli e solo un’ottima uva può dar luogo ad un capolavoro enologico. Volendo spezzare una lancia a favore degli enologi, troppo spesso visti come semplici "piccoli chimici" armati di provette, vorrei ricordare che il vino e’ una matrice vegetale che contieni migliaia di elementi. A tutt’oggi siamo in grado di quantificare solo qualche centinaio di questi composti, quindi rimane fondamentale l’esperienza e la sensibilità umana. Non esiste un protocollo valido per ogni anno: ogni vendemmia e’ una nuova scoperta.

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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