Le Primeurs dell’annata 2023 si sono concluse da qualche mese e il primo bilancio per i vini moelleux del sauternais è decisamente positivo, persino migliore di quello della 2022, che pure aveva interrotto una striscia alquanto grigia iniziata dopo le il grande millesimo 2015.
Pur se molto buona, quella era stata comunque un’annata abbastanza anomala, a causa dell’apparizione molto tardiva della botrytis a maturazione ormai completata delle uve, che aveva prodotto vini molto ricchi da grappoli in parte già passiti, con livelli assai alti di zucchero residuo. In generale i vini di Bordeaux del 2023 sono certamente meno potenti e flamboyant di quelli del 2022, anche se di livello molto buono, e possono inoltre avvantaggiarsi di un sensibile calo dei prezzi, in molti casi superiore al 30% rispetto a quelli dell’annata precedente. La 2023 è stata un’annata decisamente favorevole ai bianchi, decisamente in difficoltà in quelle precedenti, a partire da quelli secchi di Pessac-Léognan, che appaiono molto intensi e assai più omogenei dei rossi della denominazione, ma è davvero da incorniciare per i moelleux di Sauternes e Barsac.
Botrytis giusta al tempo giusto
Questa volta la botrytis si è propagata in vigna molto rapidamente, quasi cogliendo di sorpresa i viticultori, che avevano dovuto fare i conti con i suoi capricci negli ultimi anni, sicché a metà ottobre la vendemmia era già bella e conclusa, mentre, in quello stesso periodo, l’anno prima era ancora in pieno svolgimento. Il calo delle temperature estive notturne ha permesso alle uve di mantenere livelli più alti di acidità, che hanno conferito maggiore freschezza a vini che mostrano eleganza e notevole complessità aromatica: le note di caramello e albicocca secca tipiche dei Sauternes dell’annata precedente hanno fatto posto a sentori di lavanda, agrumi, litchi. Tutto fa pensare in definitiva a un grande millesimo: un millesimo che, oltre a una notevole omogeneità qualitativa, mostra anche una grande trasparenza dei crus, con i vini dei diversi territori dell’AOC (da quelli più vallonati e prevalentemente esposti a nord di Sauternes, Fargues e Bommes pa quelli iù piatti ed esposti a est di Barsac e Pregnac) ben riconoscibili.
Ma chi li beve?
Basterà per compiere un’inversione di tendenza, arrestando il declino che, negli ultimi anni, sembra aver colpito questo territorio e i suoi vini, non diversamente da quello degli altri vini dolci di tutto il mondo? Questa categoria di vini soffre infatti il calo di consumi globale di vino ma non si avvantaggia neppure della crescente riorientazione del mercato verso i vini bianchi e rosé, perché questa riguarda esclusivamente quelli secchi e poco alcolici, spinta dai cambiamenti delle abitudini alimentari e dalle indicazioni provenienti dal mondo medico, che scoraggiano un consumo elevato di cibi e bevande ad alto tenore di zuccheri. Sia il riscaldamento climatico, sia scelte tecniche (la raccolta di uve pourri rôti, cioè praticamente semi-appassite, piuttosto che pourri plein, e l’impiego di lieviti efficienti anche con gradi più elevati di alcol ), infatti, hanno fatto sì che la quantità di zuccheri residui dei Sauternes sia notevolmente cresciuta nel corso del nuovo millennio: dai circa 90 gr./litro (comunque nient’affatto pochi) di taluni dei migliori crus alla fine degli anni ’40 a circa 140 settant’anni dopo per raggiungere i 200 nell’opulenta annata 2022.
Sembra oggi incredibile che il primo disciplinare dell’appellation consentisse la chaptalisation di quei vini e l’aggiunta di zucchero, che diede luogo anche a talune condotte fraudolente e il conseguente abbassamento della qualità. Le occasioni di consumo dei grandi moelleux sono corrispondentemente divenute sempre meno frequenti.
Non si vive infatti di solo foie gras e Roquefort: sono ben lontani i tempi di quando (nella metà secolo XIX) i Sauternes venivano proposti tra gli “entremets”, a metà pasto, e la cucina moderna, più stringata e meno speziata di quella ottocentesca, mal si adatta alla loro dolcezza. Nonostante l’inventiva e la creatività degli chefs che, oltre a riproporre taluni abbinamenti classici, ormai scomparsi da tempo, come con le ostriche o il pollame arrosto, hanno adottato soluzioni innovative, come le cotture a bassa temperatura o i piatti speziati, oggi i Sauternes vengono portati assai meno frequentemente a tavola.
Alla base del declino, però, non è soltanto il calo della domanda, ma anche diversi altri fattori. Innanzitutto i maggiori costi di produzione dei Sauternes rispetto agli altri vini bordolesi, dipendenti in buona parte anche dalla imprevedibile capricciosità della botrytis, che non fa la sua comparsa tutti gli anni e raramente nei momenti e nelle quantità ottimali.
Quanto rende una vigna di Sauternes?
La resa di una vigna di Sauternes è sensibilmente inferiore a quella di una del Médoc di pari estensione, con una media di circa 10-15 hl./ha. contro i 40-45 del Médoc o di St.Émilion. Praticamente un bicchiere per ogni bottiglia. Ma nelle annate disastrose come lo fu quella del 2012 la produzione è scesa ad appena 2 hl./ha., tanto che diverse grandi proprietà, tra cui la stessa Yquem, decisero di non commercializzare il loro vino. Alla scarsità di volumi si aggiungano, tra gli altri, i maggiori costi della stessa raccolta delle uve, che richiede vendemmiatori molto esperti, capaci di riconoscere quali uve raccogliere nel corso dei diversi passaggi distinguendole da quelle non ancora pronte.
Vini “fatti da masochisti e bevuto da edonisti” scrive Jane Anson in apertura del capitolo dedicato ai vini di Sauternes del suo “Inside Bordeaux”: troppo alti i costi di produzione per rese così basse e risultati così imprevedibili, e troppo vulnerabili per i capricci delle condizioni climatiche, che minacciano sempre più frequentemente l’equilibrio miracoloso di umidità e ventilazione all’origine della loro nascita.
Anche l’interesse del négoce favorisce nettamente i grandi rossi médocain, sicché, a parte Yquem, difficilmente il prezzo di una bottiglia di Sauternes classé supera i 30 euro en primeur, mentre un Pauillac o un Margaux di rango superano facilmente gli 80-100. Nel 2009 (grande annata a Bordeaux), riferisce la Anson, il prezzo medio di un rosso del Médoc risultò di poco meno di 150 euro, mentre quello di un Sauternes si fermò sotto i 30, cinque volte di meno.
Quanto costa una vigna di Sauternes?
Corrispondentemente, nonostante il grande prestigio dei suoi vini-icona, le vigne di Sauternes non hanno mai beneficiato di una crescita di valore paragonabile a quella dei grandi cru del Médoc e del Libournais avvenuta negli anni duemila, anzi, hanno perduto circa il 15% negli ultimi dieci anni, come documentano i rapporti della SAFER, attestandosi a un prezzo medio di circa 30.000 euro per ettaro: la metà di quello di un cru non classé dell’Haut-Médoc, praticamente quasi allo stesso livello dei Graves generici , lontanissimo da quello delle grandi appellations del Médoc (3 milioni di euro a Pauillac) e del Libournais (2 milioni a Pomerol). Negli ultimi venti anni, sono diminuite sensibilmente anche le superfici (-15%) e quasi di un quarto i volumi prodotti. Certo gli altri liquorosi della Rive Droite se la passano ancora peggio, sfiorando ormai i 10.000 euro per ettaro, ma lì non c’è alcun Premier Cru del 1855. A causa dei prezzi così bassi dei suoi terreni non sorprende quindi che, tra i grandi territori di Bordeaux, il Sauternais sia quello che ha avuto il maggior numero di cambiamenti di proprietà. Si consideri inoltre che ogni anno si vendono almeno 100.000 casse di Sauternes sfuso da parte della cooperativa di produttori locali, che commercializzano i loro vini attraverso i Vignerons de Tutiac, la più grande delle cooperative di Bordeaux: ma si tratta solo di una parte, perché molto sfuso è venduto direttamente da proprietari individuali al négoce.
E se si desse più spazio ai bianchi secchi?
Come risalire la china? Naturalmente gli sforzi maggiori sono stati rivolti al miglioramento qualitativo dei vini : la riforma del disciplinare, avvenuta nel 2015, con cui veniva vietata la chaptalisation, i miglioramenti colturali e della vinificazione e un maggiore dinamismo attestato dall’ingresso di nuovi attori del calibro di Bernard Magrez e Silvio Denz .
La principale novità è stata però certamente la nascita di sempre più numerosi bianchi secchi in un territorio che, con pochissime eccezioni, era stato finora interamente consacrato alla produzione di vini moelleux. A parte il più famoso di essi, l’Y dello Château d’Yquem, prodotto sporadicamente in alcune annate a cominciare già dal 1959, e ormai (dal 2004) prodotto tutti gli anni, sono poi venuti R di Rieussec , G di Guiraud, S di Suduiraut da parte di altri Châteaux Premiers crus, e più recentemente, il 100% sémillon di Sigalas-Rabaud. Barsac non è stata da meno, con le cuvée Asphodèle di Climens , Opalie di Coutet e il Grand Vin sec di Doisy-Daëne. Stimolati dall’incursione di Olivier Bernard, proprietario di uno Château classé di Pessac -Léognan,- il Domaine de Chevalier-, famoso per i suoi vini bianchi, e la sua decisione di produrre vini secchi nel sauternais nel suo Clos des Lunes, sono oggi sempre più numerosi gli Châteaux di questo territorio a lanciare le loro cuvée, mostrando come , oltre ai suoi grandi liquorosi, Sauternes possa dare anche vini secchi di grande personalità, sebbene siano tutti per ora commercializzati come semplici Bordeaux blanc sec. Cominciano così a nascere anche vini ambiziosi, come il Vieilles Vignes sec di Suduiraut e i Grand Vin sec di Sigalas-Rabaud e dello Château Lafaurie-Peyraguey di Silvio Denz che aspirano a raggiungere il prestigio dei Premier cru di Bordeaux e alcuni pensano ora che l’appellation generica di Bordeaux o Graves blanc mortifichino gli sforzi compiuti e non rispecchino il livello qualitativo raggiunto da questi vini. Si giunge allora a ipotizzare la creazione di un’AOC di Sauternes sec, così come già in altre AOC famose per i loro vini moelleux (come Vouvray) che producono anche grandi vini demi-sec o totalmente secchi. Coloro che sono preoccupati del disorientamento che potrebbe ingenerare nei consumatori l’impiego dello stesso nome per tipologie così diverse di vini ipotizzano anche un’AOC con un nome del tutto diverso, come nel caso dei vini dolci naturali di Banyuls e i vini secchi dell’AOC Collioure, che insistono nello stesso territorio. Completamente in disaccordo, ma ben lungi dall’essere maggioritario, con questa tendenza è invece lo Château de Fargues,della famiglia Lur-Saluces (Alexandre fu a capo di Yquem fino al 2004), che la ritiene quasi una profanazione della vocazione secolare della regione.
Mixology
Una seconda strada imboccata da alcuni Châteaux è stata quella di sperimentare altre vie di consumo dei loro vini dolci nella “mixology”, attraverso la creazione di cocktails in cui il Sauternes sia il componente principale. Tra gli Châteaux battistrada è senza dubbio lo Château Lafaurie-Peyraguey, recentemente acquistato da Silvio Denz, direttore generale del gruppo Lalique : il Le SweetZ du Château è a base di Sauternes , buccia d’arancio e cubetti di ghiaccio. Naturalmente non è il grand vin a far parte del blend, ma il secondo vino, La Chapelle. Di questo gruppo, oltre ad altri Châteaux di minore notorietà, fanno parte anche lo Château Bastor-Lamontagne, ora appartenente alla famiglia Helfrich, dopo essere stato dei Cathiard (Smith-Haut Lafitte), il cui So Bastor ha anche del cremant de Bordeaux tra i suoi ingredienti, ed anche diversi Premier cru 1855: Sigalas-Rabaud , che utilizza la sua cuvée Le 5 sans soufre, La Tour Blanche per il suo Ginger Sweet (con il secondo vino, Les Charmilles de La Tour Blanche) e Guiraud per il rinfrescante Petit Instant (Le Petit Guiraud, buccia di limone verde e rosmarino). Alcune proprietà minori (ad es. il Domaine de Carbonnieu e lo Château Haut-Claverie) hanno persino iniziato a proporre direttamente i loro cocktails in bottiglia, ovviamente di minor qualità rispetto a quelli freschi, preparati al momento. Si tratta di tentativi ancora abbastanza limitati, destinati principalmente ai visitatori e all’enoturismo, che è un altro dei filoni attualmente in maggior sviluppo per promuovere il consumo di questi vini, oltre che come fonte complementare di guadagno. Hanno perciò fatto la loro apparizione anche Hotel di lusso e ristoranti, come il Lalique di Denz e il Cercle Guiraud dello Château Guiraud, mentre altre proprietà propongono degustazioni, tour nel territorio, corsi di yoga e tecniche di rilassamento.
Tirando le somme
Di fronte alla crisi, il Sauternais sta cambiando faccia: da regione un po’ sonnacchiosa che viveva delle sue antiche glorie un po’ appassite, è oggi investita da forti cambiamenti che, se non appaiono ancora in grado di superare del tutto le difficoltà attuali derivanti dai cambiamenti climatici e dalla conversione green, mostrano segni indubbi di dinamismo e rinascita. Tra i grandi territori bordolesi, questo è quello col maggior numero di proprietari diretti attivi e di talentuose winemakers donne, oggi anche a capo di grandi Châteaux , come Bérénice Lurton a Climens, e, accanto a nuove realtà emergenti tra i crus bourgeois , come lo Château Closiot, capaci di attrarre personaggi del calibro di Jean-Marie Guffens (un mito dello chardonnay della Borgogna meridionale), vi sono anche diverse proprietà storiche che meriterebbero oggi un nuovo classement: primo fra tutti lo Château de Fargues, assolutamente degno per Michel Bettane, di far parte dei Premiers crus.
Una delle foto è di jacqueline macou da Pixabay