Rosato non fa rima con “ho osato!”4 min read

Tutti uguali! Alla fine di una degustazione di rosati pugliesi questa è la parola più ricorrente. Che sia fatto con uve Bombino o Negroamaro le differenze sono spesso talmente sottili (quando ci sono) che bisogna essere proprio bravi nel trovarle. Differenze che addirittura scompaiono in annate infelici come nel 2007,  dove il caldo ha seriamente compromesso il quadro olfattivo e gustativo.
Come siamo arrivati a questo? Come si è riusciti a rendere minime le differenze tra un rosato del Salento ed uno di Castel del Monte  o addirittura con quelli a base Montepulciano della Capitanata? Stesso stile ormai: nel migliore dei casi  profumi di big-bubble, caramella al lampone e tracce di fragola, bocca spesso scomposta, raramente equilibrata e pochissima persistenza. Come è possibile ad esempio che tutti abbiano gli stessi profumi?  In nome di cosa si va perpetrando questo appiattimento e proprio quando, dicono, il mercato internazionale mostra un certo interesse per questa tipologia? Colpa delle tecniche enologiche che tutto omologano e standardizzano? Qualcuno certo potrà dire che dal rosato non ci si può aspettare più di tanto, ma questa rischia di essere una affermazione molto superficiale.. I miei  ricordi di fine anni ottanta, mi parlano di vini il più delle volte malfatti, con colori che andavano dal rosso scarico al rosa pallido, olfattivamente sporchi e con acidità molto spinte. Insomma all’epoca  non mi meravigliavo affatto che non avessero un gran mercato e piacessero poco. Se questa grande tradizione c’era, in termini qualitativi non la trovavo o meglio, la trovavo solo in pochissimi vini. Troppo poco per richiamarsi ad una tradizione, a meno che  questa parola non si voglia caricarla di significati negativi. Poi lentamente negli anni  anche  i rosati  sono diventati più puliti nei profumi. Finalmente con una acidità più bilanciata, quel tanto da renderli più gradevoli e bevibili e magari, giusto perché il “furbetto del bicchierino” non manca mai, lasciandogli quel po’ di dolce che tutto aggiusta.
Siamo comunque ancora lontani dall’affermazione di uno stile e di una standard qualitativo accettabile.  Sentite cosa dice l’enologo Severino Garofano nel suo “Contributo alla conoscenza e al miglioramento qualitativo del vino rosato del Salento”.  “E’ necessario rimarcare subito che il rosato deve nascere rosato, sia per quanto attiene la sua costituzione minerale ed estrat¬tiva, sia per quanto concerne la sua finezza e la gradazione del colore. È inutile illudersi di poter correggere eventuali deficienze con l’impiego di ausiliari chimici o con altri artifizi od acro¬bazie enologiche. Il vino rosato da Negroamaro o nasce perfetto o diversamente rimarrà sempre un rosso anemizzato o un bianco tinto”. Come non concordare e non solo per il rosato del Salento: ed ancora: “Il Salento con il suo rosato, senza volerlo e senza compiere molti sforzi, ha avuto a disposizione da sempre un vino giovane, una tipologia che altre regioni hanno dovuto faticare non poco per mettere a punto per la ricerca di una tecnica ade¬guata alla loro viticoltura, dovendo assecondare la moda dei consumi moderni. I vini rossi ormai sono meno richiesti ed hanno un costo maggiore perché abbisognevoli di affinamento ed invecchia¬mento; così, inevitabilmente, una larga fetta di tale produ¬zione è condannata ad essere distrutta con la distillazione. Chissà se un colore più invitante, stabile e costante non potrà giovare a migliorare la conoscenza del Rosato del Salento e ad assicurare un futuro più roseo alla sua viticoltura ad uve nere” Le considerazioni ed i consigli di Severino Garofano mi sembrano sacrosanti e sottolineano il dato di fatto che è ormai ora di affrontare se si vuole dare una decisiva svolta a questo vino. Bisogna che i produttori ci credano! Come sottolineato anche dagli interventi di Ziliani, Macchi,  Pignataro e Gravina  nel corso di Radici 2008 i produttori “devono osare di più”, investendo per questo vino sia in vigna che in cantina. Per molto tempo il vino rosato è stato prodotto più  per assortimento di gamma che  come segno distintivo di tipicità e qualità di un territorio. Oggi che anche l’alibi di un mercato poco ricettivo sta per cadere (come dimostrano i dati sul consumo di Francia e Gran Bretagna)  è ora di svegliarsi se non vogliamo perdere anche quest’altro treno…. e non è che al sud ne passano tanti.

 

Pasquale Porcelli

Non ho mai frequentato nessun corso che non fosse Corso Umberto all’ora del passeggio. Non me ne pento, la strada insegna tanto. Mia madre diceva che ero uno zingaro, sempre pronto a partire. Sono un girovago curioso a cui piace vivere con piacere, e tra i piaceri poteva mancare il vino? Degustatore seriale, come si dice adesso, ho prestato il mio palato a quasi tutte le guide in circolazione, per divertimento e per vanità. Come sono finito in Winesurf? Un errore, non mio ma di Macchi che mi ha voluto con sé dall’inizio di questa bellissima avventura che mi permette di partire ancora.


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