Roero: un grande cambio di passo!6 min read

Alla fine delle tre giornate nel Roero mi è tornato in mente un momento della mia adolescenza. Avrò avuto 15-16 anni ed ero stato invitato a una festa a casa di una delle più belle ragazze del liceo. Ovviamente non mi aspettavo niente perché tra lei e me c’era la fila di maschietti con gli ormoni in deflagrazione, ma ero comunque abbastanza elettrizzato. Arriviamo e più che sulla padroncina di casa l’occhio mi casca su una ragazza che non avevo mai visto. Mi informo e mi dicono che è un’amica di famiglia e dopo scopriì che in realtà abitava nello stesso palazzo. Non era di una bellezza appariscente come l’altra ma era indubbiamente molto carina e ne nacque una bella amicizia.

Nel Roero è successa praticamente la stessa cosa: tutti noi siamo innamorati dei grandi vini di Langa ma bisogna sempre essere pronti a nuovi e interessanti incontri con zone forse meno glamour ma con tutte le carte in regola per imporsi.

Dall’ultima volta che avevo visitato con attenzione il Roero sono cambiate tante cose. Quelle più eclatanti sono due: hanno smesso di provare a fare nebbioli “simil Barolo” e l’Arneis è oramai considerato come un vino/vitigno di assoluto valore e con notevoli possibilità di invecchiamento. A fianco  di questi due importanti punti fermi troviamo l’aumento degli ettari di Arneis (anche grazie a produttoridi Langa che vengono qui ad acquistare terre e vigneti) e una migliore comprensione dei suoli del Roero, che si ripercuote sulla precisione dei vini. Da tenere in considerazione anche  uno “spostamento” di vigne, nel senso che diversi piccoli appezzamenti molto difficili da lavorare sono stati “accorpati” in zone più facili da coltivare, tanto che alcuni scorci roerini ricordano le colline di Langa.

Ma nel Roero c’è rimasto comunque tanto bosco e soprattutto un clima agricolo diverso, dove ancora tante piccole realtà si muovono tra colture che non si fermano alla vigna ma spaziano tra nocciole, seminativi e (purtroppo sempre meno) pere, pesche e ciliegie.

Se è cambiata la viticoltura la proposta gastronomica non è stata da meno, affiancando ai locali tradizionali tante nuove proposte, anche “prossime” alla Stella Michelin.

Nei nostri tre giorni abbiamo degustato in maniera bendata per la nostra guida quasi 130 vini, suddivisi equamente tra Roero e Roero Arneis: i risultati dei bianchi usciranno tra pochi giorni mentre quelli dei rossi ve li proporremo a settembre.

Dal punto di vista generale dei vini abbiamo avute chiare indicazioni.

In primo luogo, come accennato, un’assoluta rivalutazione del vitigno arneis, che però può portare con sé alcuni “rischi di percorso”. Mi spiego meglio: è ormai chiaro che sia per predisposizione del vitigno che per miglioramenti sostanziali di vigna e di cantina il Roero Arneis non solo non è più un vino da bere nell’annata, non solo è meglio gustarlo dopo almeno uno/due anni dalla vendemmia, ma sicuramente può invecchiare bene per diversi anni.

Mappa del Roero e dei suoi cru

I produttori, prendendo atto di queste caratteristiche, hanno giustamente inserito nel disciplinare la tipologia Riserva, con però il rischio di trasformare Arneis freschi, sapidi, vibranti e pronti ad invecchiare per anni in Arneis marcati, appesantiti e oberati da un legno che difficilmente mollerà la presa. Nei nostri girovagare per cantine abbiamo degustato Arneis “base” andando indietro fino al 2006, trovando sempre conferma delle possibilità di maturazione negli anni del vino, poi abbiamo degustato alcune Riserva e ci siamo scontrati con vini concettualmente sbagliati, gravati da dosi industriali di legno, praticamente irriconoscibili. Quindi ben venga la Riserva, ma magari intesa come una selezione delle migliori vigne, senza l’obbligo dell’utilizzo del legno, con un’espressività del vitigno più marcata e pronta a dare delle incredibili sorprese nel tempo. Sorprese che di svilupperanno sia dal punto di vista aromatico, con parabole verso l’idrocarburo, la pietra focaia e lo zafferano, sia gustativo, con una tannicità stuzzicante e un’ austera profondità affiancata sempre da una piacevole sapidità, che ricorda alcune grandi espressioni di Greco di Tufo.

Sempre parlando d’Arneis  vogliamo dire forte e chiaro che su tutte le bottiglie di Arneis dovrebbe esserci scritto grande “NON SERVIRE FREDDO!”. Capiamo che molti consumatori non capirebbero ma degustare Arneis a 10°/12° è forse l’unico modo per comprendere e godere delle sensibili e fini gamme aromatiche del vitigno, altrimenti nascoste da temperature a cui vanno serviti vini di cui è meglio non sentire i profumi.

Veniamo al nebbiolo, che nel Roero incontra terreni spesso  sabbiosi e porta a finezze aromatiche giovanili di assoluto pregio: ma questa è solo una faccia della medaglia. La divisione in MeGA (o UGA o MGA) del territorio è stato un bellissimo lavoro ma occorre andare in zona per capire che avere una vigna di nebbiolo a Priocca o a Santo Stefano Roero è come avere un vigneto di Barolo a Serralunga o a Verduno: da una parte potenza, dall’altra finezza. In altre parole: il Roero ha suoli diversi e ciò sta portando non solo a vini migliori ma soprattutto, specie per il nebbiolo (ma anche per la barbera) a vini diversi. Ci sono ancora  produttori che non riescono a smuoversi da una vecchia visione del nebbiolo e da vinificazioni che portano a tannini che solo il tempo e tante preghiere a sant’anstringenza potranno forse elaborare. Ma vi sono anche diversi giovani attenti, che trattano il nebbiolo in guanti bianchi sia in vigna che in cantina e poi non dimentichiamo delle cantine storiche che, anno dopo anno, non deludono.

Bisogna però essere chiari, fino a quando il successo commerciale del Langhe Nebbiolo e (in second’ordine) del Nebbiolo d’Alba non diminuirà (e non me lo immagino proprio) Il Roero rimarrà sempre un vaso di coccio tra vasi di ferro: prima stava tra Barolo e Barbaresco, ora si sono aggiunte anche queste due denominazioni. L’unica possibilità per questo vino è quella di innalzarsi da un punto di vista qualitativo e territoriale, in maniera da giustificare un prezzo superiore e un posizionamento diverso nelle carte dei ristoranti e in enoteca.

Un cambiamento che non è poi così lontano e lo ha dimostrato la vendemmia 2017, con vini molto più centrati, opulenti pur dotati di finezza tra le Riserva che non tra i Roero “base”. Questo fino a 7-8 anni fa sarebbe stato impensabile, specie in una vendemmia così difficile e avrebbe invece portato a Roero un po’ruvidi e profumati e a delle riserve ipertanniche, con tanto legno, alcol e poca dinamicità (entrambi con scarso futuro commerciale).

Invece è successo praticamente l’opposto e questo è un segno che i tempi stanno cambiando.

Per quanto riguarda il giovane ma attrezzatissimo Consorzio di Tutela i tempi sono già cambiati e la loro perfetta organizzazione sta a dimostrarlo.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


LEGGI ANCHE