Riflessioni naturali per un convegno sul (contro) il vino “naturale”5 min read

Non ci voleva molto per capire che nel convegno “Bio e dintorni”, organizzato il 19 aprile a Roma da Fabrizio Russo di Athenaeum e dove intervenivano, oltre al sottoscritto, Luigi Moio, Paolo Zaccaria, Andrea Gabbrielli, Vittorio Fiore e Fabio Turchetti, la macrocategoria dei vini cosiddetti  naturali (lasciando da parte i biologici)ne sarebbe uscita con le ossa rotte. Per vari motivi infatti non uno dei partecipanti si poteva dire fosse estimatore di vini biodinamici, naturali, veri, vivi etc .

Facendo anch’io parte di questa categoria il Mister Hyde che è sempre in me aveva cominciato da giorni a stuzzicarmi “Certo  sembrerete più un plotone d’esecuzione del vino naturale che un gruppo di esperti che dovrebbe presentarne pregi e difetti” continuando con “Ma non ti senti un po’ pecorone al seguito? Cosa avrai da dire tu che gli altri relatori non abbiano già detto e magari detto anche meglio?

Ho cercato di ribattere ma alla fine ho pensato che sotto sotto qualche ragione questa volta ce l’aveva e quindi, anche per cercare di dare pepe al dibatitto ma soprattutto per la voglia di provare a cercare una quadra tra due mondi (generalizzo in “industriali e naturali”) che quasi sempre non si ascoltano e ben poco si considerano, mi sono messo nei panni del consumatore medio (diciamo medio-alto, forse è più aderente al reale)  e ho cercato di capire quali fossero le molle che possono spingerlo a prediligere i vini cosiddetti naturali, anche a prescindere dal valore organolettico di questi vini.

Una prima molla grossa come una casa l’ho trovata nell’elenco dei prodotti e dei procedimenti autorizzati dall’OIV per produrre vino (lo trovate qui ): una marea di sostanze e procedure che fanno sicuramente paura, non solo a chi è poco esperto.

Quando nel mio intervento durante il convegno  ho accennato a questo elenco Luigi Moio ha voluto precisare immediatamente (facendo lui parte del comitato scientifico IOIV) che quei prodotti e quelle pratiche sono frutto di un lavoro di anni e alla fine, nonostante siano ammesse, ne viene usato nemmeno il 10%.

Allora, in risposta, mi sono chiesto perché questo non viene fatto sapere al consumatore e a quel punto mi sono reso conto che esiste un grande livello di incomunicabilità non solo tra i produttori “industriali” ed i consumatori, ma tra i due schieramenti in campo. La principale causa di questo fenomeno credo sia  una specie di ignoranza; i due contendenti   ignorano e vogliono giocoforza ignorare quello che praticamente fanno gli altri, bollandolo da una parte come modi empirici e senza basi scientifiche e dall’altra come il demonio da tenere lontano.

Una strana  ripetizione del processo a Galileo dove però le due parti, la chiesa ottusamente arroccata su credenze medievali e la scienza altera, sicura di se stessa e poco incline alla comprensione del sovrannaturale, continuano a confrontarsi senza arrivare ad un punto di contatto.

Ma  che punto di contatto può esserci tra un elenco come quello dell’OIV e il manifesto di Vinnatur che testualmente recita “Produrre vino naturale significa agire nel pieno rispetto del territorio, della vite e dei cicli naturali, limitando attraverso la sperimentazione, l’utilizzo di agenti invasivi e tossici di natura chimica e tecnologica in genere, dapprima in vigna e successivamente in cantina”. Oppure tra le regole OIV e il regolamento di Vini Veri che esclude concimi chimici, diserbanti, e sistemici in vigna mentre in cantina non autorizza lieviti selezionati, enzimi, batteri, ogni azione chiarificante o filtrante.

Come possono provare a trovare un punto in comune le “chiese naturali” con il mondo Galileiano della scienza e, last but not least, cosa potrebbero dirsi e imparare l’uno dall’altro?

Forse potrebbero incontrarsi su un tema che a tutti sta a cuore, quello  della sostenibilità ambientale, di come riuscire a dare da mangiare (o da bere) a noi e ai nostri figli senza per questo danneggiare o distruggere l’ambiente. Ma occorrerà farlo senza preclusioni di sorta perché se un vino bianco di color aranciato, torbido e con forti note ossidative o magari con forti puzze non può essere spacciato  per naturale dall’altra parte bisogna per forza capire che una diminuzione costante dell’uso di sostanze in vigna o in cantina è l’unica strada perseguibile per il futuro. Così le “chiese” potrebbero insegnare ai “galileiani” come si può fare anche senza molte sostante, mentre i secondi potrebbero far comprendere ai primi come la scienza e tecnica non sono sempre da demonizzare ma possono aiutare a fare le cose meglio e addirittura con inquinamenti minori.

La strada è lunga e in salita ma se vogliamo che da una parte “le chiese naturali” escano dal ghetto della assoluta particolarità e singolarità enoica e i “Galileiani” trovino esempi concreti e positivi sulla strada del fare senza inquinare, non esiste altro modo che parlarsi, partendo magari dalla sostenibilità ambientale.

Chiudo con un consiglio e una precisazione.

Forse non sarà un tema puramente enoico ma uno dei punti di partenza per incontrarsi potrebbe essere quello della diminuzione del peso delle bottiglie. Un tema “trasversale” perché colpisce  in maniera quasi paritaria i due gruppi e, se si volesse,  sarebbe di  facile risoluzione (vedi) e porterebbe sia a diminuire l’inquinamento sia a risparmiare non pochi soldi.

Quando parlo di vini naturali non considero il biologico certificato, mondo vasto e variegato dotato però di regole precise che portano indubitabilmente verso una diminuzione dell’uso della chimica. Se la legge europea sul biologico fosse meno permissiva (vedi ) potrebbe essere proprio questo il punto d’incontro.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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0 responses to “Riflessioni naturali per un convegno sul (contro) il vino “naturale”5 min read

  1. Ciao Carlo,
    se mi consenti c’è una domanda di base che è errata la differenza principale tra i vini che definisci per chiarezza e comodità  ” industriali e naturali ” non la trovi nei regolamenti dell’OIV, ma in quelli della produzione dell’uva.
    Sono un po di mesi che cerco di ripetterlo, lo “scandalo” che è stato montato sulle regole della vinificazione Bio, gli si può opporre gli stessi argomenti che sono stati presentati la Sig. Moio ma divisi per 10 ( i prodotti ammessi sono credo una 40ina contro i 350 dell’OIV) !
    La differenza dunque è nell’uva e vale la pena leggere in riassunto qui: http://www.mdrgf.org/news/news260308_pesticides_vin.html o completo qui: http://www.mdrgf.org/pdf/Rapport_vin_pesticide_fr.pdf

    Se non si prende in conto questo dato a monte di tutte le riflessioni, non ci si capirà  mai. In vinificazione c’è chi facendo agricoltura tradizionale, usa (poco) quanto i biologici ossia SO2 e forse un chiarificante come l’albumina, basta.

    Poi non si può semplicemente mettere da parte nella discussione la produzione Bio, Galileiana anche questa, in quanto tutti i principi e metodi di produzione Bio fanno parte di conoscenze agronomiche insegnate e studiate, non sempre applicate.

    La differenza tra quelli che rifiutano il quadro legislativo del bio per comunicare, rimane politica, filosofica, marketting difficile trovare un terrreno di dialogo su questi temi, basta guardarsi intorno questi giorni.

    Cordiali saluti
    Antoine

  2. Caro Carlo, sto conoscendo un numero sempre maggiore di “produttori naturali” che dialogano piuttosto bene di microbiologia e di enologia, e ciò li porta spesso a produrre vini per nulla difettosi. La crescita tecnica di molti produttori naturali è anche testimoniata dal fatto che non ho mai assaggiato tanti vini piacevoli e privi di difetti come quast’anno a VinNatur, organizzazione alla quale va dato merito di possedere rigore e metodo nella scelta delle aziende aderenti e di promuovere costantemente momenti di aggiornamento viticolo-enologico di elevato livello scientifico per gli associati.
    Contemporaneamente non ho mai visto come quest’anno da parte delle aziende “convenzionali” la volontà  di esprimere valori di ecosostenibilità  e di sperimentare processi produttivi più puliti. Ritengo quindi che gli spunti di riflessione tra due mondi che si ringhiavano addosso solo fini a ieri siano oggi maggiori di quanto immaginiamo. In medio stat virtus

  3. Complimenti per la sintesi! Concordo pienamente.
    Il mondo del vino si trova in mezzo alla forte e fanatica contrapposizione tra vini convenzionali e vini naturali. I termini della disputa sono sfuggevoli, incomprensibili anche per un tecnico che cerca di approciare il problema con un’etica particolare con la volontà  di dare al consumetore prodotti sempre più buoni, ma anche più sani, con un occhio attento alla nostra terra pensando alla nostra salute ed a quella dei nostri figli. Spesso ci si accorge che le due facce di una stessa medaglia ottusamente non intendono comunicare, quasi a voler mantere intonsa la propria posizione, forse per la paura di compromettere il proprio business. Quando senza alcun pregiudizio né verso l’uno, né verso l’altro indirizzo ho cercato di trovare la giusta quadratura del cerchio ho trovato una chiusura a riccio da perte di entrambi. La scienza snobba i vini naturali, i natruralisti snobbano la scienza ……… boh

  4. Concordo in pieno con antoine luginbà¼hl perche’ il problema centrale e’ proprio in coltivazione. Io facevo un vino naturalissimo, non facevo trattamenti di nessun genere, gli insetti dei vicini venivano tutti fra i miei filari, praticamente lasciavo che l’uva si coltivasse da sola e il risultato era un vino che non riuscivo a bere nemmeno io, tanto che per non far fatica a coltivare la vigna l’ho espiantata e ci ho messo l’orto. E’ in vigna che si fa il vino, in cantina basta accompagnarlo igienicamente all’imbottigliamento ed e’ proprio in vigna che i vini naturali sono migliorati moltissimo, cosa evidente anche nell’intervento di Fabrizio Penna. E’ in coltivazione che sara’ possibile migliorare i vini tutti, ecco perche’ attualmente parliamo di divisione, ma in realta’ sono due aspetti della stessa medagflia, come dice Paolo Marchi. Tre commenti davvero azzeccati ( come il tuo articolo, del resto).

  5. Noi del gruppo di Servabo abbiamo provato a dimensionare il fenomeno del “naturale”, facendo un vero e proprio censimento. Dai risultati emergono non poche contraddizioni sulle quali le associazioni di settore, ma prima ancora gli stessi produttori, dovrebbero provare a confrontarsi. Esiste, infatti, un problema di comunicazione che, lasciando spazio a non pochi equivoci, in molti casi tende a confondere più che a chiarire.

    Maggiori informazioni le potete trovare su:
    http://servabo.it/il_vino_naturale/il_vino_naturale.html

    gianpaolo di gangi
    servabo, laico di parte

  6. L’argomento è talmente vasto che la mia è giocoforza una quasi forzata semplificazione. Cerco di essere più preciso: non parlo dei biologici (veri!) e quindi di agricoltura biologica perchè li reputo una categoria diversa e per niente, scusate il termine, naturale. Seguono infatti precise regole in vigna, usano metodi uilizzati dagli industriali solo ne usano meno e li usano (spero) meglio. In cantina, se arrivano con uve buone fanno vini buoni e puliti, se le uve non sono al massimo devono…decidere cosa fare. Ma l’agricoltura biologica è sicuramente una strada da seguire e migliorare a livello europeo. Anche io assaggio sempre più vini “naturali” puliti e buoni ma quello che mi fa paura in questo campo è la leggerezza con cui vini chiaramente difettati, magari di grandi nomi, passano come gli esempi della categoria. Questo è il vero problema! Come tra i galileiani qualche grammo in più di solforosa o un trattamento in più non è visto male (sbagliando) cosଠnon si può spacciare quello che un tempo, dalle mie parti, davano alle vacche malate per un vino di livello eccelso. Se ci si mettesse ad un tavolo certi estremismi verrebbero subito smussati.

  7. Scusami Carlo ma non posso lasciarti dire questo: “…usano metodi uitizzati dagli industriali solo ne usano meno e li usano (spero) meglio”.
    Forse sarebbe il caso che ti informi meglio sui prodotti usati in vigna dai non biologici e quelli autorizzati nell’agricoltura biologica, sarebbe davvero il caso che leggi i link che ti ho messo prima, che confronta i biologici con gli “industriali”!!!! Questo se l’informazione è una cosa seria, ovviamente, e non solo un tira-molla i lettori.
    Mi sa che la trappola innescata dai “naturali” ha funzionato alla grande.
    Faccio solo un esempio io mi reputo biologico e non naturale, ma non uso più rame in vigna, solo un prodotto fatto con argilla, lievito, acido citrico ed equiseto, dal 1996. Chiedi un po ai naturali cosa fanno contro la peronospora…

  8. Antoine, probabilmente mi sono spiegato male e comunque da una parte mi riferivo all’uso di rame e zolfo e dall’altra all’elenco di prodotti autorizzati dalla legge europea sul biologico. Non discuto sui pesticidi e tanto meno sui metodi da te adottati ma andando a leggere la normativa europea non si può certo dire che il biologico sia, sulla carta, completamente diverso dal convenzionale.

  9. antoine, io contro la peronospora non usavo un bel niente, ma neanche contro l’oidio, contro la fillossera, contro tutto un bel niente. L’uva veniva su, se ne era capace, in modo naturale al 100%, selvaggiamente, pero’ il vino al secondo anno non mi piaceva piu’, sembrava benzina. Quindi un po’ di genio, se si vuol fare del buon vino, lo si deve pur usare. Sono certo che in gran maggioranza il genio lo si dimostra in campo, in vigna, ci vuol fatica, dedizione, passione. Ma lo usano gli agrotecnici che hanno studiato bene, le universita’ che hanno gli strumenti per le verifiche, il fai da te non mi ha mai convinto in nessun campo, figurarsi a fare il vino! Una certa dose di equilibrio ci vuole e mi sembra che Carlo e’ proprio a questa che si rivolge, perche’ a tirare di qua e a tirtare di la’ non si combina niente di buono, mentre a convergere su regole sempre piu’ in favore della natura, dell’ambiente e della salute si puo’, con giudizio.

  10. So Carlo che non ti riferivi a me, volevo solo dare un esempio, ma c’è una differenza fondamentale tra il biologico e il convenzionale, ed è l’uso di prodotti sintetici, non credo nemmeno serio oggi dover, far vedere le differenze. Ma seriamente, tecnicamente quello che dici è FALSO.
    A Mario rispondo che da 33 anni vivo solo ed esclusivamente della produzione di vino che faccio, coltivo in modo biologico, cercando di migliorare le tecniche, e il rame essendo uno dei punti problematici ho cercato prima di diminuirne l’uso e poi eliminarlo. I miei figli che hanno anche loro formazioni enolgiche e agricole, stanno riprendendo il podere, per far capire che ora sono 3 famiglie che vivono di questo lavoro. Come formazione sono ingegnere tecnico in protezione delle piante, (una formazione Svizzera) figlio di agricoltori, per cui penso di sapere di cosa parlo.
    Sul piano qualitativo è ovvio che sei il benevenuto ad assagiare i vini quando vuoi!

  11. Antoine, dal puro punto di vista formale ci sono moltissimi prodotti che si possono usare nelle due forme di agricoltura, ovviamente con dosaggi diversi. Sempre formalmente e anche praticamente ci sono tanti produttori “industriali” che non usano sistemici. Il fatto che i biologici non li possano e non li vogliano usare non vuol dire che se confronti i due elenchi molti nomi si trovano sia di qui che di là . Lo dico non per voler avere ragione per forza ma perchè effettivamente è cosà¬. Sui sistemici hai ragione, magari anche su altre sostanze e procedimenti ma confrontando i due elenchi non si può certo dire che tutte le cose che si usano in agricoltura tradizionale non si usano in quella biologica e viceversa. Lo stesso per i processi di cantina.

  12. Certo TUTTO quello che si usa in agricoltura biologica, naturale, biodinamica, si può usare in agricoltura tradizionale. Ma non funziona nell’altro senso e il superlativo non funziona se cerchi di fare un elenco.
    Non esistono solo i sistemici chimici ci sono molti altri tipi di azione dei prodotti chimici, sia negli antifungini che insetticidi, non parliamo degli erbicidi, vi sconsiglio di fare un giro di questi tempi nelle vigne chiantigiane…. Tutti prodotti vietati in Biologico.
    In biologico è autorizzato per farla semplice quello che in natura esiste non quello sintetico.
    Si usa i nitrati in agricoltura biologica NO, ci sono nitrati nel letame nel compost SI, si può avere un insalata BIO con nitrati SI se si da troppo letame o liquame. ecc
    Ma se vuoi si può fare un discorso tecnico serio prodotto per prodotto e vedere cosa è naturale e cosa non lo è .
    E ovvio che ci sono agricoltori non bio che usano con conoscenza i vari sistemi bio, ma usando anche altri prodotti chimici, l’agricoltura bio non è venuta con gli extraterrestri, nemeno quella naturale o biodinamcia, cerca solo di utlizzare meglio certi equilibri naturali, per forza non sono completamente delle antitesi, ma quello che li diferenzia è sostanziale comunque.

    In cantina se si vuole essere serio oggi si parla di marketting….

  13. Questo antoine mi piace un casino. Se continuate a duellare con cognizione di causa in questo modo… viva Winesurf!!!

  14. Sono un piccolo produttore biologico certificato. Molti argomenti sono stati affrontati bene da Antoine.
    E’ difficile che una azienda di grandi dimensioni e quindi indistriale, possa utilizzare prodotti come zolfo e rame a meno che non abbia un numero consistente di trattori ed attrezzi che gli permetta di rientrare in vigna dopo le pioggie. Per questo la dimensione del biologico (nel vitivinicolo) è necessariamente legata ad aziende medio piccole. E’ nato il vino Bio, ma speriamo che in questi primi due anni (nei quali si possono fare delle modifiche alla normativa), la normativa venga modificata in senso restrittivo, perchè ci sono troppi prodotti ammessi.
    Non ho particolari problemi con i produttori di vini naturali, ma non capisco perchè non si facciamo controllare e certificare (non è vero che costa tanto). Seconda nota (molto) polemica: ma che sono questi vini “liberi”!? Rispondo: sono una grandissima presa in giro dei consumatori!

  15. Il prof. Moio e’ molto conosciuto,ha un vasto seguito e’ stimato. Quello che mi dispiace e che per quello che ho letto ed ascoltato,e’ che ho “l’impressione” consideri i naturali dei cialtroni o quasi perche’ “nulla nella vinificazione e’ naturale…” ed altre argomentazioni del genere che spesso i tecnici usano.Non so se consideri tali anche i biocertificati. Gli puo’ rispondere qualcuno in proposito ,visto che le mie cognizioni tecno- scientifiche sono scarsine rispetto alle sue,ma di buoni assaggi naturali,bio,biodinamici ne ho fatti a bizzeffe? Come si giustificano questi cialtroni?Grazie

  16. @Alberto G.
    Capisco un po il “prurito” che creano questo tipo di argomentazioni, ma alla fine sono quasi delle disquisizioni linguistiche, più che techniche.
    Il vino è certamente un prodotto nato dall’ingenio dell’uomo e non un prodotto naturale. L’evoluzione naturale del succo di frutta sarebbe l’aceto. Ma abbiamo inventato di tutto nei secoli per farsi che il prodotto intermedio rimanesse buono il più a lungo possibile, per arrivare a questo risultato si può usare da pochi accorgimenti a tante manipolaziuoni o aggiunte di “conservanti” (le virgolette sono per evitare di cascare in infinite polemiche).
    Il biologico è già  passato in tutte queste lotte di vocabolario, definizioni, ormai il BIO ha una legge che definisce quello che “politicamente” “culturalmente” è un prodotto biologico, nel quale potrebbero rientrare senza problemi tutto quello che oggi si vuol definire naturale. Tanti produttori biologici non usano quasi niente di tutto quello che è consentito.
    Per cui, a mio avviso, la definizione “naturale” oggi ha una valenza principalmente di marketing. Vale la pena fare una lotta linguistica?

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