Ricordi di una vita nel vino.10 min read

Questa Volta Silvano Formigli ci delizia con alcuni aneddoti tratti da oltre quaranta anni di vita nel mondo del vino. Come vedrete, bastano poche righe per inquadrare un epoca, un momento.

 

Quando nel 1962 inizia ad andare a studiare e lavorare a Firenze; a quelli che erano di campagna di dicevano, “T’un vedi che c’hai la terra sotto i piedi!”. A noi pesava molto anche perché quando eravamo piccoli, , venivano d’estate i cittadini (fiorentini) in vacanza a Mercatale Val di Pesa e non era permesso a noi campagnoli di giocare con questi bambini. Stiamo parlando solo degli anni ’50……

 

Nella vendemmia 1975 la cantina cooperativa Castelli del Grevepesa, è stata la prima a fare dei “cru” in Chianti Classico, cioè vini da zone specifiche: Lamole, Panzano, Badia a Passignano. Aree che per tradizione avevano prezzi diversi e più qualificati nel mercato all’ingrosso del venerdì a Firenze.

 

Nel 1975 vendevamo all’ingrosso una bottiglia di Chianti Classico intorno alle 500 Lire. Le aziende organizzate commercialmente erano solo le grandi case vinicole. Le singole aziende agricole non avevano organizzazione ed una di queste, acquistata da una importante famiglia del settore liquori, uscì il Chianti Classico a  280 Lire, mettendoci tutti in forte crisi, sia per il prezzaccio sia per la forte organizzazione commerciale che aveva. Questo ci portò tutti a fare promozioni.

 

1975. Eravamo in un negozio di Napoli che vendeva di tutto, oltre al vino. Un classico bazar, come i negozi di campagna che avevano tante cose. Prima di noi c’era un venditore di cera da scarpe, che faceva questo tipo di vendita: “Signora, le mando 10 cartoncini per ogni colore”. Il “cartoncino”scoprimmo che era una scatola da 48 confezioni da 24 scatolette di cera da scarpe….. la Signora in buona fede aveva ordinato 10 “cartoncini” per ben 18 colori……….Totale…..

Negli anni ’70 ogni azienda cercava di fare cartoni più grossi, perché l’argomentazione della vendita era: “Le invio dieci cartoncini”, senza specificare il numero di bottiglie. C’era un’azienda piemontese che faceva cartoni da 18 bottiglie, noi li facevamo da 16 e non si aveva il coraggio di portarli a 12 per non perdere le 40 bottiglie di vendita ogni ordine di dieci cartoni. Se pensiamo che ora vengono vendute anche solo 12 bottiglie….in porto franco……
Tanto per la cronaca: i cartoni dei fiaschetti da litro erano di 24 pezzi e pesavano 33,5 Kg a cartone…..poveri corrieri….

Nel 1976, che fu una pessima vendemmia al nord, venivano mediatori e produttori piemontesi a cercare le uve ma noi non eravamo in grado di venderle in quanto non avevamo mai fatto il prezzo a chilo di uva ma solo di vino sfuso. Eravamo tutti tentati da prendere questo tipo di mercato, vista la crisi che dal 1974 aveva invaso il nostro settore, in particolare il Chianti, ma non sapevamo come stabilire il prezzo.

 

Una visita di clienti nel 1976: tre persone, come aperitivo bevvero 4 bottiglie di bianco, poi visita alla cantina e assaggio di vari vini dalle botti, pranzo alla Trattoria Gabbiano, antipasto, due primi, due secondi, dolce, vini: 3 bottiglie di Chianti Classico, 4 fiaschi da 1,880 lt, un Imperiale da 5 litri, tre bottiglie di riserva, 3 bottiglie di Vinsanto…..eravamo quattro, ma io bevvi il giusto. Mi dissero che la sera avevano una cena con degli amici e in dieci avevano programmato di bere una damigiana di vino. Inoltre prima di partire aggiunsero, non sazi: “abbiamo la gola secca, dacci un Imperiale (5 litri) di Chianti Classico per affrontare il viaggio”.
Telefonai il giorno dopo per sapere com’era andata viaggio e cena. Risposta: “tutto bene, non solo si è fatto fuori la damigiana ma anche otto fiaschi di Chianti Classico comperati da te.
Un forte contributo all’innalzamento della media dei consumi.

1978, in un Ristorante di Modena, chiedo una bottiglia di Chianti, il cameriere risponde: “Bianco o rosso”. Sorpreso rispondo: “Ma il Chianti è solo rosso e DOC dal 1967. Eventualmente Lei può avere dei bianchi prodotti nella zona del Chianti ma non hanno la dizione Chianti”. Il cameriere risponde “: Mi dispiace contraddirlo: io faccio questo mestiere da venti anni e c’è anche il Chianti bianco”. Non sapevo come reagire, chi era con me rideva sotto i baffi sapendo quanto ero legato alla mia zona e quanto la conoscessi bene. Sto al gioco: “Mi porti una bottiglia di Chianti Bianco!”. Arriva con una bottiglia di Villa Antinori bianco. Dico: “Ma questo è vino da tavola bianco, magari della zona del Chianti, ma non Chianti Bianco1”. Il cameriere si infuria: “Ma cosa mi ha detto quel venditore……..”

 

Nel febbraio del 1978 entro in una enoteca di Milano insieme al mio rappresentante. la Titolare ci accoglie con: “Che bel terrone!” Io mi giro per vedere chi c’era e non c’era nessuno oltre noi: capisco che era indirizzato a me, ma noi toscani non ci sentivamo terroni. Replicai: “Se stare in Toscana significa chiamarsi terroni, ne sono bel lieto anzi, io mi sento Chiantigiano e non Toscano”.

Negli anni ’70 ero in visita con un giornalista tedesco ad una cantina di un Collega, il quale fece assaggiare vini riserva direttamente dalla botte. Il produttore, non vedendo reazioni dal giornalista chiese: “Che ne dice?”. Il giornalista allora: “Mi permetto consigliarle di noleggiare una nave cisterna e fare viaggiare questi vini per l’isola di Madeira!”.

Nel 1982 i Signori Cavanna della Fattoria di Ama avevano coinvolto come consulente Leon Patrick, enologo di Bordeaux. Mi colpì il fatto che quando arrivò ad Ama, un enologo e non un agronomo, chiese gli stivali per andare a vedere le vigne: mai visto prima!

Agli inizi degli anni ’80 con una bravissima addetta alle PR del Consorzio Gallo Nero riuscimmo a fare impostare una degustazione per comune del Chianti Classico, guidata dal famoso Burton Anderson nella quale, anche lui di grande cultura enoica, sottolineava la necessità di distinguere le microaree di questa meravigliosa zona per valorizzarle e distinguerle alla produzione e sul mercato.
Ero anche nel consiglio di amministrazione del Gallo Nero e in quello successivo a questa manifestazione fu detto: “Non parliamo più di zone specifiche altrimenti gli industriali bloccano gli acquisti”……..

 

Nel 1983 un quintale di vino sfuso quotava da 15.000 lire a 40.000 lire nelle zone più pregiate, quindi una damigiana di vino veniva circa la metà cioè dalle 7.500 alle 20.000 lire. Avevo una gita di clienti di Grosseto: pranzammo in azienda, bevvero il Chianti Classico e fecero i complimenti. Poi servii il Bellavista 1982 in anteprima, senza dire cos’era. Un cliente disse: “Com’è buono questo vino, o quanto costa?”. Noi avevamo già previsto un prezzo di 19.800 Lire a bottiglia e così risposi che il prezzo era di 19.800 Lire, non specificando a bottiglia perché per me era sottointeso.  Il cliente rispose seriamente: “Un n’è caro!” Poi capì che intendeva il prezzo di una damigiana…….

La legge DOCG del 1984 del Chianti prevedeva che quando un 20% della produzione di un territorio chiedeva l’indicazione dell’area specifica (chiamata tristemente per legge sottozona), questa veniva concessa. Lavoravo in un’azienda di Gaiole e scrissi a tutti i produttori per riunirsi per portare avanti questa richiesta che ci avrebbe distinti sul mercato: rispose solo uno che produceva 150 quintali di vino…….

 

Nel 1984 realizzai con una vetreria una bella caraffa, che regalavamo ai clienti per migliorare il servizio del vino rosso importante che vendevamo. Nella maggior parte dei casi me la sono ritrovata (in quegli anni) come portafiori…….molto stimolante a livello professionale.

 

Nel 1985 presentai ad un importante Ristoratore di Firenze il Chianti Classico Bellavista 1982 della Fattoria di Ama, lo degustò e disse “Molto buono, ma non lo metto in carta dei vini perché è un Chianti Classico. Dagli la dizione Vino da Tavola (pochi anni prima per scansare la crisi del Chianti alcune aziende sulla spinta di un vino di una importante casa vinicola avevano creato un Vino da Tavola importante) e te lo metto con piacere nella mia carta dei vini”. Rendiamoci conto com’era scesa in basso l’immagine di questo vino, e ripeto eravamo a Firenze e non Tokio.

 

Nel 1985 presentammo un campione del 1984 di Chianti Classico per avere dalle commissioni l’approvazione della DOCG. Era fatto solo con Sangiovese e Canaiolo: fu rifiutato dalla commissione con la motivazione “non tipico”. Ripeto, fatto solo con uve di una Fattoria del Chianti Classico. Parlando con Colleghi emerse che le commissioni in quegli anni erano composte da persone abituate a correggere i vini. Facemmo così un “lacchezzo” che non ci piaceva: fu aggiunto un po’ di Aglianico del Vulture ai campioni ed il vino passò regolarmente, ma chiaramente imbottigliammo solo quello da Sangiovese e Canaiolo perché il mercato lo accettava, anzi iniziava a premiarlo per la caratterizzazione.

 

Nel 1986 feci una serata di Chianti a Certaldo e lì notai come stava cambiando il mercato, il gusto. Presentavo diversi Chianti Classico a identificare le diverse origini del territorio. La sala si divise in due gruppi: gli anziani preferivano i vini acidi e tannici, i giovani i vini più morbidi e più equilibrati….. e di strada da fare ce n’era ancora tanta sul Sangiovese. Tra l’altro questo vitigno deve molto alla ricerca del progetto Chianti 2000, ideato agli inizi degli anni ’80 dal Consorzio Gallo Nero.

 

Quando nel 1990 iniziammo a vendere la Vernaccia di Panizzi mi ricordo che il più grande scontro di mercato era con i clienti che ti dicevano: “Non è tipica, è scarica di colore!”Questo perché il riferimento erano Vernaccia acide o addirittura ossidate al colore.

 

Quando nel 1991 iniziammo a vendere il Morellino di Scansano delle Pupille a Firenze i clienti ci dicevano: “Non lo voglio il Morellino, è buono solo con i cantuccini!”. Infatti c’era un vino liquoroso prodotto da una Dditta di Firenze che si chiamava Morellino.

 

Un mio vecchio detto per la battaglia dell’olio: “Purtroppo si mette nello stomaco l’olio da 3 Euro e nell’automobile l’olio da 15 Euro”.

 

Quando gli olivi secolari del sud vengono espiantati  (perché l’olivicoltura purtroppo non da reddito) e vanno ad arredare i giardini del nord, questo denota come sta finendo la grande tradizione secolare dell’olivicoltura Italiana, che si regge oramai solo sulla passione.

 

Un produttore  non riusciva a capire perchè i suoi vini non erano accettati dal mercato. In realtà  non  erano di qualità ed a nulla servivano le insistenze e gli stimoli a migliorare. A quel punto adottai la tattica del sistema “bendato” e tra dieci vini coperti da assaggiare inserii anche il suo. Com’è finita? Bevendolo bendato disse “Questo vino fa schifo!” Da allora fece una grande trasformazione del proprio modo di lavorare ed oggi è un produttore di successo.

 

2008. Sono al supermercato con mia nipote a comperare dei quaderni. Alla cassa vedo una signora con un carrello pieno di zucchero e, ricordandomi di una vecchia legge che gli acquisti oltre 10 Kg di zucchero andavano registrati con nome e cognome, dico alla Signora: "Signora se fuori c’è la Repressione Frodi, la porta in galera." Sorridendo a dimostrazione di aver capito lo scherzo mi domanda: "Perchè?" “Rerchè se lo usa per il vino, in Italia è proibito!”
Risposta "Sa, noi siamo una piccola azienda agricola e facciamo un Vinsanto veramente artigianale e così abbiamo bisogno di zucchero".

 

 

 

Silvano Formigli

Quello che hai appena letto è un post scritto da un ospite speciale per Winesurf, che non troverai costantemente nel giornale.


ARGOMENTI PRINCIPALI



LEGGI ANCHE