Resistere, resistere, resistere (al quotidiano senza qualità)4 min read

Ancora pochi minuti e questo bollente mese di giugno sarà finito una volta per sempre. Non l’ho vissuto con allegria, ma la colpa è tutta sua che non ha fatto nulla per farsi voler bene.

Reduce da una cena di gruppo sui colli bolognesi, guido con lentezza con i finestrini ed il tettuccio spalancati mentre l’aria si fuma la sigaretta al posto mio. Non ho mangiato praticamente nulla, ma in compenso il conto è stato leggero: venti euro per un coperto ventilato, annaffiato da un vino rosso sfuso combinatorio e brinato che molte cose poteva essere fuorché il Sangiovese che ci era stato proposto. Le tigelle industriali, le crescentine immoralmente bicarbonate, l’affettato plasticoso e i sottaceti insapori: il malcostume tipico di una ristorazione raffazzonata e furba che in un paio di mesi deve sbarcare il suo utile di esercizio sulla pelle sudaticcia di chi è condannato all’afa e ha smarrito la capacità di esprimere un giudizio critico su quello che si mette in bocca. Ma non importa: è stato il colpo di coda di questo mese sconclusionato e niente più. Niente che possa alterare più di tanto l’equilibrio di un uomo maturo e sufficientemente ottimista.

Due ragazzetti e un bandierone italiano in motorino mi sorpassano urlando come ossessi nella notte. In centro i tifosi della palla, esilarati e vittoriosi, fanno a botte con la polizia e distruggono con grande patriottismo tutto quello che trovano dopo aver bevuto vino cattivo e birra da quattro soldi. Però questo viene considerato normale e la grande paura è per lo street rave party di domani. Soltanto domani la città dovrà difendersi dallo sballo perché quelli, “quelli”, cercano di sfuggire alla realtà fumando canapa indiana e mettendosi così al di fuori sia della legge che della buona creanza.

Mi viene in mente Rossano, che soltanto palpando la cenere di una cartina e sfregandosene i residui nel palmo della mano, sapeva immancabilmente indicarne la marca. Ripenso a Luciano che distingueva a prima vista un troccolo pakistano da uno afgano e alla Betta che annusando su e giù per le carrozze dei treni riconosceva nei vari scompartimenti quello che la gente ci stava fumando dentro senza sbagliare un colpo. Anche loro hanno contribuito a sviluppare la mia curiosità per la cultura materiale. Tanti anni dopo, in un intenso tramonto marsalese, mi ritrovai con Gino Veronelli nel giardino del Baglio Florio. “Che ci fai seduto lì?” mi chiese quasi inciampando sui miei piedi (già allora ci vedeva poco). “Annuso questa sera” gli risposi. Gino mi si sedette accanto ed eccitato come un bimbo mi fece: “Dai, giochiamo agli odori!” Rimanemmo lì fino al momento di andare a cena, distinguendo anche il fumo di una bettolina di passaggio sopravento.

Ricerca della perfezione, della qualità, esercitazioni estetiche? Penso piuttosto che siano tappe diverse di un percorso verso la consapevolezza dell’esserci: una esigenza di capacità di scelta, un’assunzione di responsabilità e di rispetto verso noi stessi.

E anche in questi ultimi sprazzi di un giugno senza qualità, mentre Via Murri mi scorre intorno con le sue finestre oscene tanto sono spalancate alla ricerca dell’aria che non c’è, avrei bisogno di un gesto epico, di un atto eroico, di una opzione morale. Potrei fermarmi al Bar della Giovanna e costringere Giancarlo a riempire con cubetti di ghiaccio un grande bicchiere fino all’orlo e a fargliene poi occupare ogni interstizio con la Strega di Benevento, aspettando una perfetta ed omogenea brinatura del vetro prima di bermene un lungo sorso e riscomparire nella notte lasciandolo perplesso. Oppure passare dall’Agnese in Piazza Trento e Trieste lamentandomi perché assieme al cocomero non mi portano mai un fine Madeira gelato che ci starebbe così bene assieme.

Ma questa notte è già abbastanza opprimente anche senza il mio contributo e allora parcheggio, entro in casa e spogliandomi apro l’acqua nella vasca. Sbuccio una pesca, la faccio a fettine, tiro fuori dal frigo il mio frizzantino preferito e lo stappo col botto. Sul comodino trovo il libro giallo che avevo lasciato proprio sul più bello, tra i bicchieri mi scelgo la flute più slanciata e assieme al resto porto tutto in bagno. Mi immergo completamente nell’acqua fresca e trattengo il fiato beato, consapevole del piacevole futuro che mi attende.  

Per gentile concessione di CapitaALvino.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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