Raffaele Moccia, Premio Nobel per la viticoltura eroica6 min read

“Vedi Napoli e poi muori” recita il detto e se poi ti trovi nel suo traffico la morte la rischi davvero.

 

Eravamo in quattro auto  nel traffico di Napoli e stavamo andando in un’azienda di cui non conoscevo assolutamente nulla se non il nome, Agnanum.

 

Circonvallazione, autostrada, e poi sapevo solo che ad un’uscita ci stava aspettando qualcuno. Dietro a questo qualcuno ci ritroviamo in una serie di strade, stradine, stradette, stradacce, in buona parte allagate non solo dalle piogge di questi giorni ma dalle auto, dai motorini, dai cani, da un’umanità vociante. Ad un certo punto non mi sarei meravigliato di trovarmi davanti un carrarmato israeliano a sbarrarmi la strada (strada…si fa per dire..)  tanto questa mi faceva venire in mente filmati tumultuosi sulla Striscia di Gaza. In questa Striscia di Gaza c’è però la cantina di Raffaele Moccia (il qualcuno che ci aspettava) e sopra alla cantina c’è la striscia non di Gaza ma collinare con i suoi pochi ettari di vigneto.

 

Ma questi pochi ettari fanno di Raffaele una persona a cui, se esistesse, andrebbe dato il Nobel per la viticoltura anche se facesse vino cattivo (tranquilli, non lo fa).

Pensate infatti ad un terreno  con pendenze impossibili, composto per una ventina di centimetri da sabbia e lava polverosa e finissima, dove i piedi sprofondano. Sotto si  trovano strati sempre e comunque abbastanza sabbiosi (e infatti le viti sono su piede franco)  fino ad almeno 80-90 centimetri di profondità. Da qui in poi le radici delle viti possono cominciare a trovare normale nutrimento. Il problema è che per arrivare a “da qui in poi” una vite ci mette almeno 15-20 anni….ma questo per Raffaele non è un problema.

 

Come non è stato un problema trasformare , munito delle sue sole braccia (e pure di quelle del padre e del figlio, esageriamo!) i terrazzamenti del vigneto. Prima erano di 8-10 metri, lui li ha divisi  in tre, tanto che su 10.000 metri di vigneto in orizzontale  ha quasi 7000 metri di ciglioni in verticale……e provate voi a fare una specie di ciglio-muretto con la sabbia di quel terreno.  Infatti quello di Raffaele è un lavoro continuo di mantenimento, altrimenti il suo vigneto diventerebbe preda della naturale erosione nell’arco di 2-3 anni. E visto che una bella fetta di quel vigneto ha viti su piede franco tra i 150 e i 200 anni, il compito di Raffaele è quello di mantenerle.

 

“Posso dire che le conosco una per una e potrei anche dargli un nome” Quest’affermazione non è campata per aria ma impregnata di fatica e di orgoglio. La fatica la possiamo capire al volo, l’orgoglio ci vuole un po’ di più perché ti viene spontaneo chiedere “Ma chi te lo fa fare”.

 

A questa domanda Raffaele risponde semplicemente che erano vigneti di famiglia e che non potevano essere lasciati a se stessi.

 

Insomma siamo di fronte ad un uomo che coltiva viti pluricentenarie e produce ottimi vini in una collina ripidissima di sabbia e lava, vi sembra poco?

 

In effetti è poco, perché alla fine dei salmi Raffaele riesce a coltivare al massimo 5-6 ettari di vigneto che, con una densità per ettaro pari agli Autogrill nel deserto del Gobi, lo portano tra Falanghina e Piedirosso a produzioni totali, quando va bene , attorno alle 15-18.000 bottiglie. Uno adesso penserà che ogni bottiglia verrà a costare più del Sassicaia e invece giriamo attorno ai 10 euro.  Torna impellente la domanda “Ma chi glielo fa fare?”

 

Ma aspettate che la storia non è assolutamente finita. Raffale ha sempre pensato che la cima della sua collina potesse dare un buon vino. C’era da superare qualche piccolo ostacolo, come il terreno che sulla cima è ancora più sciolto e povero, come la mancanza quasi totale di pozzi per poter irrigare, come  le querce secolari del bosco degli Astroni con cui confina, che con le loro radici si sono appropriate da anni di quel terreno e di buona parte del “cibo” disponibile per altre piante. Queste cose Raffaele le sapeva e se non le avesse sapute suo padre continuava a ripetergliele ogni giorno. Ma lui aveva l’arma segreta per riuscire dove tutti in famiglia avevano fallito, possedeva l’asso nella manica: l’allevamento di conigli!

 

Il resto è stato semplice (dice lui): ha “semplicemente”  scavato 800 buchette e ci ha messo le sue viti (considerate bene quindi che tutto questo lavoro viene fatto solo per ottocento piante!!!), coprendole poi quasi del tutto con cacca di coniglio. Anche l’acqua non è stata un problema….è bastato fare su e giù per la collina con due secchi da 15 litri pieni per mano e il problema idrico è stato risolto, anche grazie (questo va detto) ad una vecchia vasca-cisterna  che esisteva da anni lì vicino. E così, finalmente le 800 giovani viti di Raffaele hanno incominciato a produrre…..non considerando il fatto che una vite giovane ma in produzione, deve avere per Raffaele, in quel terreno,  almeno 15-20 anni!!!!  Scommetto che vi state domandando “Ma chi glielo fa fare??”

 

Ma per fortuna ogni tanto la natura ti aiuta: per esempio quando piove non c’è bisogno di portare su l’acqua, anche se occorre scavare e ripulire una serie di canaline che portano a delle specie di grosse buche di drenaggio. Tutto questo ( e molto altro di cui non vi parlerò perché qualcosa lascio a Raffaele quando andrete a trovarlo) perché una collina del genere la pioggia se la porta con sé in poco tempo.

 

Non vi ho parlato dei vini semplicemente perché  anche Raffaele dà poco peso al prodotto finale. Lui cerca solo di “sciupare” le uve il meno possibile e devo dire che ci riesce molto bene. Del resto, affascinato dalla sua storia non mi è venuta nemmeno la voglia di assaggiare molto. Sono bastati due assaggi per avere la conferma di essere di fronte a dei vini veramente notevoli che nascono da una passione per la terra unica. Ecco perché lo fa, perché la sua immensa passione e il rispetto per quel terreno, per la sua famiglia che lo ha coltivato prima di lui e poi con lui, non gli fa nemmeno pensare di lasciare quelle viti secolari (che lui conosce una per una) al suo destino.  Il “bello” è che Raffaele, come ho detto,  riesce non solo a coltivare la sua impossibile collina, ma a trarne anche due ottimi vini. Chapeau!

 

Ripeto: se ci fosse il premio Nobel per la viticoltura eroica andrebbe dato a Raffaele Moccia.

 

 

Foto da www.l’arcante.com e  www.lucianopignataro.it 

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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