Radici 2010: luci e (qualche) ombra5 min read

Dopo i filmati (vedi) anche scherzosi cerchiamo di mettere qualche punto fermo sull’edizione 2010 di Radici. La manifestazione oramai è rodata ed il format è sicuramente giusto: due giurie (giornalisti da tutto il mondo e esperti locali), metodo di valutazione chiaro, tempi giusti per gli assaggi ed anche per rilassarsi. Il tutto condito da visite in cantina e da un convegno finale che non è mai la solita carrellata di frasi fatte ma anche quest’anno ha avuto un andamento positivamente nervoso e per niente scontato.
Vediamo di dare un giudizio alle varie parti della manifestazione.

 
Organizzazione

 

Come detto oramai rodata e pronta a rispondere alle più svariate emergenze. Quasi perfetto il servizio vini. Speriamo che il gruppo attorno a cui si è creata l’idea di Radici, rimanga unito e coeso.

 
Giurie

 

l’idea delle due giurie è assolutamente positiva, specie se i due gruppi non vengono definiti di “giornalisti” e di “appassionati” ma “esperti di vino, anche pugliese” e esperti di vino pugliese. Sotto questa dizione crediamo possa crescere Radici nei prossimi anni. Questo porterà ad avere due giurie di eguale valore ed a non considerare il premi conferito dagli “appassionati” di serie B, perché non lo è. In realtà si tratta forse di quello che alle aziende maggiormente concentrate sul mercato locale interessa di più, perché il ristoratore che apprezza un vino, come torna a casa lo compra. Se questo vi sembra poco…. Comunque il meccanismo collegiale funziona in entrambe le giurie e giudizi diversi stanno nella logica delle cose e del mercato.
Location

Raramente ho passato tre giorni di lavoro in un posto tanto bello ed accogliente. Il  Relais Melograno è un posto meraviglioso e trovare di meglio è difficile.
Vini

Bianchi

Detto fino allo sfinimento: la Puglia non è terra da bianchi ma i Minutolo ci fanno pensare che potrebbe anche esserlo, specie con le moderne tecniche di vinificazione. Il problema è che di Minutolo (o Fiano Minutolo) se ne sente quasi di più negli altri vini che nel Minutolo vinificato in purezza. Credo stia succedendo quello cheè successo anche da altre parti in altri periodi. Un uva che si scopre adatta al territorio ed anche di moda, prima di arrivare a soglie significative di ettari, viene utiilzzata come “pepe e sale” per tutti i vini, dandogli così una marca “generale” che serve più a coprire eventuali difetti o carenze che a dare carattere. Così è accaduto, per esemipo, in Abruzzo per il Trebbiano, prima con lo Chardonnay ed ora con il Pecorino. Ovviamente il consiglio è di non cadere in questa trappola, anche se capisco come la voglia di bruciare tappe e presentare prodotti migliori sia tanta.
Rosati

Il bombino nero è un buon vitigno per fare rosati ma il Negroamaro è meglio! Questo è in sintesi il discorso. I rosati del Salento sono apparsi più omogenei, più riconoscibili, più apprezzabili dei cugini poco a nord. Questo però non deve essere un viatico liberatorio. Se la puglia vuole rimanere la terra dei Rosati italiani deve fare molto di più, perché la media uscita dagli assaggi non era certo da leccarsi i baffi. Bisognerà rischiare di fare più VINI rosati che rosati da salasso. Più profumi e strutture che riassunti enologici, anche piacevoli.

 

Nero di Troia

Rispetto allo scorso anno è uscito molto migliorato dagli assaggi, ma anche molto trasformato rispetto a quello che , almeno io, avevo in testa. Se il Nero di Troia è un vino con tannini importanti e ruvidi, strutture imponenti e profumi non certo da vitigno bordolese, molti di quelli assaggiati provenivano (almeno in parte) da altre varietà. Visto che comunque sono risultati molto piacevoli ed in conseguenza premiati, si dovrebbe dedurre che la strada intrapresa sia quella giusta. Continuando su questa via forse Radici dovrebbe chiamarsi “Festival dei vini autoctoni con dentro altre uve” e forse tutti i discorsi fatti sull’unicità di quest’uva dovrebbero essere buttati al macero. Forse…. Sta di fatto che quei 4-5 produttori che ancora insistono nel vinificarlo in purezza dovrebbero essere premiati, se non altro per la coerenza.
Negroamaro

Senza infamia e senza lode il Negroamaro continua a dare buoni risultati, senza picchi. Bisogna anche dire che alcuni dei vini presentati non erano proprio il “Top” di gamma e quindi questo vitigno merita una fiducia superiore rispetto all’esito degli assaggi, che peraltro hanno rilevato, almeno leggendo le mie note un numero piuttosto ampio di vini ( e siamo nel 2010, in piena recessione “parkettistica”) afflitti dalla sindrome di San Giuseppe, alias morbo del falegname, alias uso sbagliato (e/o eccessivo) del legno. Vorrei quindi affermare con forza che per fare dei Negroamaro moderni non occorre semplicemente schiaffarli in legno piccolo, ma iniziare un lavoro diverso dalla vigna per portare in cantina uve che, una volta vino ( se proprio si vuole), potranno maturare in legno piccolo.
Primitivo

Qui sta, almeno per me, il contendere. Mi aspettavo, specie dai Primitivo di Gioia del Colle conferme ai risultati eclatanti degli scorsi anni ma questi non sono venuti. Spero dipenda da fattori esterni, dall’estrema giovinezza dei vini e non da una stasi produttiva. La mia fiducia in questo vitigno, anche per la zona di Manduria, rimane invariato. Del resto siamo di fronte ad un vitigno che riesce ancora ad esprimersi con un carattere preciso, che sembra resistere bene all’uso del legno e risulta talmente versatile da dare ottimi risultati sia in vini giovani che in prodotti più importanti e con qualche anno di maturazione alle spalle.

 

Aglianico

Bel risultato generale: tannini austeri e veraci, profondità, grinta, anche eleganza. Si conferma (se ce ne fosse stato bisogno) un grande vitigno. Peccato solo che i campioni non fossero stati di più e che il nostro /mio giudizio non sia stato maggiormente avvalorato. Peccato anche che i vini provenissero tutti dal Vulture: un buon numero di Taurasi avrebbe reso la cosa molto più interessante.
In definitiva un panorama con luci e qualche ombra enologica che torneremo a testare (fuori da Radici) quanto prima.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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