Negli anni ’80 dirigevo l’Azienda Agraria Meleta a Roccatederighi, in provincia di Grosseto. Si produceva vino, (niente male n.d.r.) e si allevava un gregge di pecore di razza Massese per commercailizzare latte, agnelli pesanti e castrati. Quasi mi scordavo, allevavamo piccioni e che piccioni!
Arrivai che c’erano solo un po’ di gabbie, ma dopo solo qualche anno l’allevamento di piccioni divenne il più grande d’Italia con oltre 8.000 coppie in produzione. Il successo si ottenne cercando di essere un allevamento all’avanguardia nella selezione di razze, nella cura maniacale della pulizia delle ampie gabbie, nella scelta meticolosa dei migliori mangimi. Sementi che arrivavano fin dall’Argentina per il mais, o dalla Turchia per le vecce.
Ebbero successo immediato in Svizzera dove venivano spediti circa 800 piccioni per settimana. In Italia lavoravamo tramite una casa specializzata in forniture di qualità ai grandi e ai più famosi ristoranti d’Italia. Tutto questo ci portò a realizzare un moderno mattatoio specifico per piccioni che ottenne, primo in Italia, il “bollino CEE” a garanzia della corretta macellazione.
Le buone notizie viaggiano veloci con il passaparola e i migliori ristoranti stellati si presentavano spontaneamente per avere i nostri piccioni. Ma con Pierangelini non andò così. Il dottor Peter Max Suter, proprietario svizzero di Meleta, visitava diverse volte all’anno l’azienda e in quelle occasioni non mancava di andare a visitare borghi della Toscana e naturalmente provare i migliori ristoranti. Era infatti amante dell’arte, delle belle cose, ma anche del buon vino e della grande cucina. Per questa andava a verificare di persona se la fama corrispondeva alla qualità.
Al ritorno da una di queste gite mi raccontò con entusiasmo una sua fantastica scoperta dicendomi: ho mangiato dal Papa! Io non capivo cosa volesse dire. E lui mi spiegò che era stato in un ristorante il cui chef era un Papa, il Papa della cucina! Seppi così del Gambero Rosso di San Vincenzo e del suo patron Fulvio Pierangelini. Di fronte a tanta magnificenza il nostro Dottor Suter non mancò di parlargli dei nostri piccioni e della qualità eccelsa di questi. Rimase d’accordo che gli avremmo mandato un primo cartone con 10 piccioni.
Fu l’inizio di una lunga collaborazione con soddisfazione reciproca. Io lo incontravo quando andavo a portargli i piccioni, sia per fargli risparmiare il viaggio, ma soprattutto perché immancabilmente mi invitava a mangiare. Nacque così un’amicizia per la continua frequentazione e per l’ammirazione che io avevo per i suoi piatti. Potevo comperare da lui dei vini fantastici, a prezzi di costo, e da lui scoprii tante etichette e mi feci una certa cultura del vino.
Fulvio era noto per la sua riservatezza eppure con me arrivò ad invitarmi a mangiare a casa sua! Credo sia stato un privilegio di pochi. Naturalmente ebbi il coraggio (incoscienza) di invitarlo anche io a mangiare a casa mia. Lui diceva sempre che amava mangiare le cose semplici e io mi feci coraggio. Una volta accettò l’invito e io pensai di fargli fare da Laura, che è maestra ni questa e altre ricette, una zuppa di pane e verdure: acquisto tutte le verdure necessarie, solo che all’ora di pranzo mi chiama dicendomi che ha avuto dei problemi e non può venire. Ok, lo faremo un altro giorno. Nel primo pomeriggio Laura decide di andare al Cimitero di Montepescali con sua cugina, tanto non c’è da cucinare. Sennonché dopo poco la sua partenza mi telefona Fulvio e mi dice: mi sono liberato, allora veniamo!
Il tempo rimanente era poco, i cellulari allora non erano ancora di moda e non potevo raggiungere Laura, per cui non sapevo come fare. Mi feci coraggio e tentai di fare la minestra di verdure non sapendo nemmeno da dove rifarmi: infatti venne una sbroscia indicibile.
Siccome però c’avevo in frigo un coniglio, e questo so come farlo, decisi di fare il coniglio in bianco.
Quando arrivò Fulvio e sua moglie Manuela ancora mia moglie non era rientrata. Così gli dissi cosa era successo. Lui mi disse, non ti preoccupare. La sbroscia era veramente penosa, ma lui ci zuppava il pane e un pò d’olio e così affermava andasse bene. Dopo la sbrosica, forte della mia preparazione, porto in tavola con enfasi il mio coniglio in tegame. Orrore! Fulvio non mangia carne di coniglio! E che cxxxo!
Mi chiese un pezzo di cacio e finì così il pranzo. Questo fu quello che cucinai per Fulvio Pierangelini. Non pensavo certo di fare un pranzo memorabile e invece, non volendo, venne fuori proprio UN PRANZO INDIMENTICABILE!