Quei vini che m’hanno cambiato la vita….allargandola4 min read

Non sono mai stato un degustatore di vino e dispero di diventarlo mai.

Bere si, anche prestino, ma mai da solo, cioè fuori pasto. È sempre stato un qualcosa di imprescindibile con il mangiare. Ho sempre scoperto in proprio se un vino a mio giudizio si sposava bene con un cibo oppure no.

Anche quando cominciai a leggere direttive su cosa si doveva abbinare con un certo vino, ho provato quei consigli, ma poi ho continuato a sperimentare per conto mio.

D’altra parte i primi messaggi erano del tipo: col pesce vino bianco, fresco, e i rossi, quelli belli tosti, immancabilmente con arrosti, brasati, cacciagione e così via, a temperatura ambiente. Come se uno mangiasse tutti i giorni quella roba li e se di luglio si dovesse servire il vino a temperatura di canicola.

Ho sperimentato parecchio e certe volte mi sono perfino meravigliato di certi accostamenti apparentemente improbabili. Come quando scoprii quanto ci stava bene un bel rosso giovane e tinto con un piatto di riso al burro e formaggio.  D’altra parte per buona parte della mia adolescenza il vino è stato quello rosso del  contadino e qui altro non dico perché mi sembrerebbe di sparare sulla Croce Rossa.

Il primo vino che trovai incomparabile e veramente al di sopra di quelli che avevo bevuto fino allora lo bevvi in un osteria di Levane. Su richiesta di un mio cugino, ero andato con il mio furgone Wolkswagen a Levane per prendere una carica di damigiane d’acqua effervescente naturale, presso la sorgente Leona (acqua borra) che era da quelle parti. Appena caricata l’acqua e presa la strada per il ritorno attraversammo il paesino e Ulderigo ( il cugino, n.d.r.) mi disse di fermarmi, perché bisognava sdigiunarsi.

Le colazioni allora si facevano nelle osterie e li andarono a prenderci apposta il pane fresco del panificio che era davanti e ci portarono degli affettati. Ma soprattutto ci portarono un fiasco di vino “a calo”, un vino che ci dissero era “del Chianti”. Io non avevo mai bevuto un vino così buono. Sapeva di uva, di primavera toscana, di prati fioriti, di mammolo. Ogni due morsi al pane bisognava prenderne un sorso, non si riusciva a smettere di bere.

 

 

Da noi in Maremma qualcosa migliorò quando le prime Cantine Sociali ci fecero conoscere il vino imbottigliato in bordolesi. Noi che oltre alla damigiana si conosceva solo il fiasco o al limite il quartino e il mezzo litro all’osteria.

 

Poi per occasioni di lavoro ho frequentato per qualche anno la Francia. E qualcuno mi ha portato per mano a scoprire una parte dei loro vini. A metà degli anni 70, per coincidenza fortunata, lavoravo con una ditta di Soissons, proprio dalle parti dello Champagne. E li si aprì veramente un altro mondo. Io che ero abituato all’amato Moscato d’Asti del panettone e credevo che le bollicine fossero solo quelle! Scoprire che da quelle parti si beve un bicchiere di vino Champagne durante la giornata come si fa da noi con il caffè! Li ho capito che lo Champagne è un vino, e che vino! Infatti è difficile trovare una pietanza dove non si riesca ad abbinare questa meraviglia. I fantastici profumi, i mille sentori stereofonici, il sapore scoppiettante, tutto ti inebria e ti porta in dimensioni speciali.

 

Per ritornare con i piedi per terra, di Maremma.

I nuovi vini della Cantine Sociali non avevano i problemi dei precedenti, quelli dei contadini. Erano vini da pasto o “da tavola” con una gradazione sugli 11°, 11,50° per i bianchi, qualcosina di più per i rossi. Ma i DOC viaggiavano fino ai 12° e anche 12,50°. In Maremma – allora – mai viste gradazioni superiori. Anche perché la vera gara era a chi faceva più vino per ettaro, o forse perchè allora il grado alcolico era quasi un dettaglio o poco più.

Poi venne l’86, lo scandalo del metanolo e dopo diventarono tutti bravi. Fu proprio nella seconda metà degli anni ’80 che cominciai a scoprire e bere vini diversi, vini buoni, molto buoni. Vini che non avevo nemmeno mai immaginato esistessero.

 

Continua………

 

Roberto Tonini

Nato nella Maremma più profonda, diciamo pure in mezzo al padule ancora da bonificare, in una comunità ricca di personaggi, animali, erbe, fiori e frutti, vivendo come un piccolo animale, ho avuto però la fortuna di sviluppare più di altri olfatto e gusto. La curiosità che fortunatamente non mi ha mai abbandonato ha fatto il resto. Scoperti olio e vino in tenera età sono diventati i miei migliori compagni della vita. Anche il lavoro mi ha fatto incrociare quello che si può mangiare e bere. Scopro che mi piace raccontare le mie cose, così come a mio nonno. Carlo mi ha invitato a scrivere qualche ricordo che avesse a che fare con il mangiare ed il bere. Così sono entrato in questa fantastica brigata di persone che lo fanno con mestiere, infinita passione e ottimi risultati. 


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