Non capita spesso di provare un Vino Nobile di Montepulciano del 1977 e se a questo ci aggiungi quello del 1985, il suo “alter ego” Supertuscan della stessa annata e, a completare, la Riserva del 1988, sicuramente l’assaggio sarà un qualcosa da ricordare. Tutto questo è garantito dal fatto che i vini sono targati Boscarelli, che per il Vino Nobile è sinonino di qualità.
Il loro primo vino è del 1968
Lo è non da adesso ma dal 1968, cioè dalla loro prima annata in commercio, che io degustai quasi trenta anni fa, nel 1996 per precisione, in una degustazione chiamata “Un Assaggio di Storia Toscana”, dove accanto ad altri otto nomi storici del vino toscano (da Antinori a Frescobaldi, a Monsanto etc) c’era anche Boscarelli e presentarono il loro 1968, accanto alla Riserva 1979 e al Boscarelli 1985 che, scherzi del destino ho ritrovato in questo assaggio, con quasi trenta primavere in più.
L’occasione di questo assaggio è l’intervista a Paola De Ferrari, madre di Luca e Niccolò e fondatrice della cantina. “Già che c’ero” hanno pensato di farmi assaggiare “qualcosa”, che in realtà si traduce in bottiglie quasi introvabili non perché ne abbiano una o due ma perché stranamente Boscarelli non organizza (chissà perché) verticali delle sue vecchie annate. Forse sarebbe il caso di pensarci.

Vino Nobile di Montepulciano 1977
Partiamo dal 1977, un Vino Nobile di 48 anni che fa parte di un mondo enologico praticamente scomparso: stiamo parlando di un periodo in cui il vino toscano non era famoso, molto veniva venduto sfuso a destra e a manca e certamente parlare di vino di qualità non era certo di moda. Anche se la DOC esisteva da più di 10 anni e ne mancavano pochi all’ottenimento della DOCG siamo di fronte ad un vino che definire “artigianale” è il minimo. Le vigna avevano poco più di 10 anni e non nacque come sangiovese in purezza perché aveva ancora una piccola parte di uve bianche: fermentazione in vasca di cemento da 70 quintali e poi affinamento in botte da 38 hl. Il colore è maturo, ambrato, ma il naso, che si apre dopo qualche minuto nel bicchiere, è balsamico e spiccano note di menta. La bocca è fresca grazie ad un’acidità viva che ancora sorregge il vino, i tannini sono vividi, fini e danno al vino una notevole lunghezza. La butto lì ma visto il cambiamento climatico, forse l’utilizzo di una piccola percentuale di uve bianche in alcuni rossi toscani dove in passato era permesso, non sarebbe il peggiore dei mali.

Vino Nobile di Montepulciano 1985
Il Vino Nobile 1985 ha anche lui piccole percentuali di uve bianche e anche lui ha fermentato in cemento per poi passare in botti grandi. L’annata è tra quelle che hanno fatto grande il vino toscano, anche se assaggiando oggi vini di quell’annata si comincia a sentire una certa stanchezza. Non è questo il caso, anche se il naso all’inizio è timido ma poi si apre e porta a profumi addirittura floreali e leggermente balsamici. In bocca il vino cambia marcia: dinamico, corposo, potente, con tannini scolpiti ma rotondi, affiancati da un’acidità ancora marcata. 40 anni e non sentirli.
Vino da tavola Boscarelli 1985
Un vino che nacque sull’allora moda dei Supertuscan e che in effetti ha caratteristiche diverse dal Nobile 1985. Differenza sostanziale è che l’affinamento, dopo la solita fermentazione in cemento, avvenne in barrique della Romanée Conti di secondo passaggio. Anche qui il naso è inizialmente chiuso ma poi vengono fuori note balsamiche e di china, mostrando un’aromaticità più cupa e profonda. La bocca è semplicemente sorprendente; pieno, rotondo, quasi grasso, dotato di tannini dolci e cicciuti. Forse è un po’ meno fresco del fratello ma la tannicità e la concentrazione lo sostengono benissimo. Anche adesso si capisce l’impostazione diversa del vino, puntato sulla potenza e sulla pienezza. Qui i famosi “tannoni” di Maurizio Castelli si presentano alla grande.
Vino Nobile di Montepulciano Riserva 1988
Dal 1985 al 1988 il vino toscano comincia a posizionarsi nel panorama mondiale, ma qui da Boscarelli siamo sempre a livelli di artigianalità spinta, al punto che la vasca in cemento dove fermentava il vino veniva ancora coperta con lenzuola bagnate d’acqua fredda, cambiandoli spesso per mantenere più bassa la temperatura di fermentazione. Cose che oggi fanno sorridere ma che comunque servivano benissimo allo scopo, sempre se si hanno lenzuola vecchie da buttare… Ma veniamo al vino: Il colore è aranciato e il naso all’inizio propone quella situazione che ho ritrovato in altri vini con molti anni sulle spalle: sembra ossidato e invece ha solo bisogno d’aria. Infatti ci vogliono una decina di minuti nel bicchiere e il vino si trasforma, riemerge dalle note pesudo-ossidative e punta sul balsamico e sulla spezia, che si risente anche al palato, dove i “tannoni”, vivi e potenti, dettano legge. C’ è però un grande equilibrio, sia dal punto di vista dell’acidità che dell’alcol e questo è un punto che riunisce i quattro vini, è un po’ il marchio di fabbrica.
Indubbiamente quattro vini molto esplicativi di un periodo e di un modo “antico ma moderno” di fare vino, che dimostrano come questa cantina abbia basi solidissime su cui ha costruito il presente e su costruirà il futuro.