Preparare una cenetta a due..(non con la moglie)5 min read

Se dovessi preparare una cenetta a due credo proprio che la preparerei per me e per una donna. Per gli uomini io non le preparo. Magari una merenda, una bottiglia petto a petto, ma una cenetta proprio non mi tira per niente.

Se dovessi preparare una cenetta per due dovrei prima di tutto sintonizzarmi con la stagione ed il luogo, determinanti entrambi sul menu e sulla scenografia. E poi raccordare tutto su di lei. E su di me.

Se non ho conoscenze approfondite sulle abitudini alimentari della gentile ospite cerco un menu non particolarmente impegnativo, che piaccia a me e mi rispecchi, perché non è che sono li per nascondermi.

Estate o inverno, in casa o all’aperto, il tavolo deve piccolo ma comodo. I bicchieri con tutto il loro splendore, non esagerati, ma belli e normalmente ampi, a prescindere. Ambiente luminoso e arioso. Mai la musica, anche se ruffiana. A meno che…

 

Come partire.

Io partirei con 6 ostriche – tre alla volta per vedere se sono gradite – pane di segale,  burro salato. Se è ghiotta come me ne possiamo far fuori anche 9.

Per le ostriche se possibile delle ‘spéciales de claire’. Meglio ancora un misto di due o tre tipi diversi. Qui lo Champagne, anche se io normalmente bevo altre cose, come per esempio del Muscadet Sèvres et Maine sur Lie. Ma in questi casi non c’è da fare gli specialisti, ma andare sul sicuro e quindi sulle più collaudate e ben predisponenti bollicine.

 

Come seconda “entrèe” una serie di crostacei crudi o al vapore, con un filo d’olio e via. Niente salse o salsine, forse qualche granello di sale. Senza strafare: sopra un letto di sottili fette di arancio uno scampo o due, due o tre gamberi rosa, un paio di cicale di mare (dette anche Canocchie o Spernocchie). Tutti ovviamente sgusciati e freschissimi (vivi). Se l’ospite mi da coraggio ci metto anche una seppiolina cruda tagliata a fili finissimi. Alla guarnitura posso aggiungere qualche piccolo frutto esotico, ma già va bene anche qualche pezzetto di ananas.
Qui un delicato Pinot Bianco dell’Alto Adige. 
 
Vista la passione che ho vorrei precisare che queste cose me le preparo e cucino da me stesso medesimo e quindi i ritmi sono piuttosto calmi per ovvie e varie ragioni.

 

Arriviamo al primo, saporito ma non sfacciato.

Paccheri con scorfano e pomodorini. Molta attenzione alla cottura della pasta e cura dei pomodorini saltati in padella. Potrei continuare con il Pinot Bianco o virare su di un discreto Sauvignon, sempre Altoatesino.

A questo punto la cosa diventa molto aleatoria. Molto dipende dall’appetito residuale, ma anche dalle previsioni del continuo.

 

Provo a immaginare di prendere la via corta.

Qui posso finalmente provare a ripetere la cottura dei petti di piccione fatta direttamente con il padellino sul tavolo, senza tanta prosopopea, ma con effetti pratici non indifferenti.

Si, un po’ di scena viene fuori, ma il vero scopo è saggiare i gusti dell’ospite. E poi come per il vino così di questi petti si gustano già colori e profumi. Hanno riposato per una notte intera in un letto di pepe di  Szechuan, salvia e ramerino. Il primo petto lo faccio con una cottura più “normale” pur se sempre sul rosa. Scaloppo il petto, condisco con un po’ di fondo di cottura, qualche chicco di sale e faccio provare se il piatto è gradito e se la cottura è di gradimento. Con la risposta ottenuta cucino il secondo petto, normalmente più rosa del primo se vedo che il primo è stato ben accetto. In questa seconda tornata cucino anche i fegatini.

È talmente buono questo piatto che qualsiasi contorno mi sembra una ingerenza fuori luogo. Al massimo posso preparare da parte un piccola insalata verde e croccante, ma solo se l’ospite mi dice di gradirla la vado a servire, se no resta là.
Il vino. E qui ti ci voglio. Certo che se riuscissi ad accaparrarmi un ChambolleMusigny Les Amoreuses, come la Musa suggerisce, mi presterei volentieri alla sperimentazione (quando uno comincia a leggere i vini da sogno, poi li deve pur sognare!).

Confesso che mi sono votato al Pinot Nero sui piccioni provandoci diversi anni fa Le Marangole del Castello d’Albola. Al di la del fatto che a me piacque moltissimo quel vino, da allora penso che sembrava essere stato creato per essere abbinato a questa carne. Come nessun altro vino al mondo. Almeno quelli da me provati.
 
È talmente buono ed appagante questo piatto e il suo vino che andare oltre comincia ad essere dura. Qualsiasi cosa mi fa temere di “sciuparci la bocca”.

Fortunatamente non fumo più da quindici anni, se no qui ci stava proprio. E allora?

Siccome cucino tutto, ma non i dolci, mi devo attrezzare con qualcosa di semplice e non impegnativo. Praticamente non bevo quasi più superalcolici e di conseguenza indirizzo le scelte con qualche scorza di agrume ricoperta di cioccolato, così da non stravolgere il dolce ricordo del piccione, abbinandolo ad uno dei diversi vini per queste occasioni. Magari un Banyuls, ma anche altri vini italiani possono andare bene, come un Ala di Salaparuta o un Barolo Chinato.

Infine caffè di moka e i soliti bastoncini di cioccolato.

Difficilmente faccio due volte lo stesso menu in maniera identica, per cui nell’ennesima versione di questa cenetta a due chiamo mia moglie Laura e ci mettiamo a tavola.

Roberto Tonini

Nato nella Maremma più profonda, diciamo pure in mezzo al padule ancora da bonificare, in una comunità ricca di personaggi, animali, erbe, fiori e frutti, vivendo come un piccolo animale, ho avuto però la fortuna di sviluppare più di altri olfatto e gusto. La curiosità che fortunatamente non mi ha mai abbandonato ha fatto il resto. Scoperti olio e vino in tenera età sono diventati i miei migliori compagni della vita. Anche il lavoro mi ha fatto incrociare quello che si può mangiare e bere. Scopro che mi piace raccontare le mie cose, così come a mio nonno. Carlo mi ha invitato a scrivere qualche ricordo che avesse a che fare con il mangiare ed il bere. Così sono entrato in questa fantastica brigata di persone che lo fanno con mestiere, infinita passione e ottimi risultati. 


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