Ormai è consolidato: piaccio ancora alle donne! Prova ne sia che i migliori e più assidui commenti ai miei articoli vengono proprio da loro.
Mi riferisco a Nelle Nuvole, a Viviana a La Capinera. Sono loro che dimostrano di apprezzare quello che scrivo, ma non solo. A me pare che loro capiscano anche quello che non ho espressamente detto, e questo è ciò che più mi fa piacere.
Per questo ho deciso di fare uno scherzo al Macchi che dopo quattro lunghe puntate su Meleta deve aver tirato un sospiro di sollievo. “Non se ne poteva più”, forse ha pensato. Di sicuro non mi avrebbe richiesto di scrivere ancora sullo stesso argomento.
Allora rimedio io: scrivo queste considerazioni finali a tutta la vicenda, che vogliono essere anche l’espressione dei miei sentimenti per una cosa che mi ha impegnato profondamente per una quindicina di anni e che giudico una delle più belle esperienze della mia vita.
Ammetto di non aver scritto tutto fin nei minimi particolari, ma evidentemente abbastanza per capire tutto il bello e tutto il brutto di questa storia. In effetti la verità avrebbe tinte anche più forti, sia nel bene che nel male (soprattutto nel male), ma non ho voluto dare tinte più fosche alla fase a cui qualcuno oggi non può più rispondere e controbattere.
Il rammarico vero ed enorme non è solo per me, che alla fine mi sono ritrovato a 54 anni in mezzo ad una strada, ma anche e soprattutto per le professionalità perse di quella ventina di persone e più che erano arrivate ad avere un preparazione ai più alti livelli immaginabili.
Elvio, il capo operaio che sovraintendeva a tutto e a tutti, sia nell’allevamento sia nella macellazione, sia nella spedizione. Leonardo suo vice e specializzato nei lavori più tecnici e delicati come la cura con la fitoterapia prima e con l’omeopatia dopo.
Tutti i ragazzi che lavoravano nelle varie fasi, anche loro addetti sia all’allevamento che alla macellazione: da Venio (il Banana) a Ledo, da Claudio ad Emanuele, ad Alessandro.
Ma anche e soprattutto le meravigliose donne che lavoravano a Meleta: Gioia, Eugenia, Marcella, Beatrice, Luciana, e Irma. Alcune di loro, solo le più brave, all’inizio della linea di macellazione con in mano un micro bisturi, intervenivano per recidere la giugulare ad ogni piccione: un lavoro estremamente delicato, preciso e difficile, – sicuramente il più difficile di tutti – che nessun uomo è mai riuscito ad eseguire come loro.
Tutte le altre rifinivano poi a mano ogni piccione togliendo fino alla più piccola penna o cacchione che poteva essere rimasto sul piccione, dopo che aveva percorso l’intero tragitto di macellazione, fino alla spiumatura e all’eviscerazione.
I piccioni dovevano partire perfetti, e perfetti partivano. Un controllo qualità all’uscita del tunnel di raffreddamento era pronto ad intervenire ad ogni accenno di imperfezione.
Quante professionalità partite da zero e arrivate a livelli inimmaginabili!
Ed il riscontro era poi nella clientela che sapeva riconoscere ed apprezzare non solo la qualità delle carni, ma anche la cura e la finitura perfetta dei piccioni.
Una volta chiuso questo mezzo miracolo, venuto via da Meleta, i più assidui e affezionati clienti da tutta Italia hanno continuato a cercare i nostri piccioni telefonandomi a casa per sapere dove avrebbero potuto trovare qualcosa di simile.
Tutti facevano inevitabilmente la domanda: “Ma qual’era il segreto dei piccioni di Meleta?” Ora lo sanno.