Palmer: cosa accade quando un grande Chateau passa alla biodinamica?6 min read

Siamo nella bella sala di degustazione dello Château Palmer, insieme con Thomas Duroux, CEO carismatico del domaine, e abbiamo appena assaggiato un Palmer del 2008, un millesimo  solitamente non compreso tra quelli considerati eccelsi del nuovo secolo nel Médoc, ma che col tempo sta rivelando tutta la  personalità del cru.

Tutt’intorno  ci sono le foto della mostra “Artique” di Jean Gaumy, una selezione molto suggestiva di immagini  di paesaggi del Polo Nord, in esposizione presso lo Château Palmer fino  all’ultima settimana di aprile.

Thomas Duroux è arrivato a Palmer nel 2004. Allora trentaquattrenne, veniva da un’esperienza di tre anni a Ornellaia, e prima ancora da Opus One, nella Napa Valley. Bordolese di nascita, ma di madre italiana, è diplomato in ingegneria agraria all’ENITA[1], e poi laureato in enologia nella facoltà di Scienze agrarie di Bordeaux. Prima del suo arrivo allo Château, erano stati chef de cave  un genero di Frédérick Mahler, Jean Bouteiller, e poi suo figlio Bertrand, quest’ultimo per oltre 40 anni fino al pensionamento.

Con Duroux nel 2007  è poi arrivata anche Sabrina Pernet, che ha assunto il ruolo di direttore tecnico. Con lei Duroux ha condotto uno studio approfondito dei suoli di Palmer (dopo quello già effettuato da Bouteiller) ed è stato con lei che ha avviato il passaggio alla conduzione biologica e biodinamica. Una prima sperimentazione era stata effettuata su un solo ettaro già nel 2008, poi è stata estesa a tutta la proprietà. Quello del 2014 è il primo millesimo al 100% biodinamico (assaggeremo infatti l’Alter Ego di quell’annata).

“Indietro non si torna” dice Duroux, parlando appunto  del recente passaggio alla conduzione biodinamica ma riferendosi anche alla disastrosa annata 2018, nella quale una successione interminabile di piogge iniziata durante l’inverno e proseguita in una primavera tiepida e molto umida aveva scatenato il mildiou in tutta la sua virulenza, compromettendo il 60-70% della raccolta.

Difficile in tutto il bordolese (chi se l’è cavata ricorrendo ai trattamenti parla di “millésime miraculé”), il 2018 non ha avuto certo  la mano leggera sulla raccolta  degli châteaux  in regime non convenzionale, che non possono fare ricorso a funghicidi chimici. A Pontet-Canet   non è andata diversamente. Il vino prodotto è stato pochissimo, tanto che i grandi négociants non indicano nei listini  il prezzo di vendita dello Château Palmer, ma invitano la clientela a contattarli direttamente. La qualità di ciò che si è salvato, assicura chi ha avuto la possibilità di assaggiarlo, è stata però eccezionale, con una concentrazione tannica ed aromatica fuori della norma. Non va dimenticato che, nella mitica annata 1961, da molti considerata la migliore di sempre a Palmer, la raccolta fu di soli 12 hl. per ettaro. A quel tempo apparve una  catastrofe, ma la memoria del vino di quell’annata è viva ancora oggi.

Duroux e Sabrina  Pernet, sono determinati a produrre un Palmer che esprima tutta l’immensa potenzialità del suo terroir, e, dopo l’inizio un po’ incerto,  i risultati del lavoro intrapreso si vedono con sempre maggiore evidenza di anno in anno. Duroux ha affermato che la percezione di quella potenzialità l’ha vista per la prima volta nel vino del 2010, ma tutte le vendemmie dell’ultimo quinquennio mostrano un trend  impressionante.

“Siamo biodinamici ma non talebani”, ci ha detto Duroux. La biodinamica non è stata infatti una scelta effettuata a priori, per motivi ideologici o per seguire un movimento che diventa ormai sempre più chiaro anche nel bordolese (ancora scioccato dall’inchiesta televisiva “Cash Impact” che ha tanto irritato i vignerons della Gironda).

A Palmer  la decisione è stata presa per gradi e solo dopo aver vagliato attentamente i risultati di ciascuno dei passi effettuati. Dal primo ettaro sperimentale del 2008, si è passati a 11 nel 2011. Gli ettari in conduzione diventavano 33 nel 2013, per poi coprire l’intera superficie vitata l’anno seguente. Fino a non molti anni fa la coltivazione biologica  a Bordeaux era stata una questione limitata a poche piccole proprietà familiari (come il Clos Puy-Arnaud) situate in appellations minori, fino a che non hanno  cominciato a muoversi anche  i primi crus classés del Médoc: Pontet-Canet, Durfort-Vivens e naturalmente Palmer.

Ma ormai adeguarsi è divenuta una necessità e tutti dovranno cambiare. Anche se non sarà facile: la vicinanza dell’oceano e l’umidità che ne proviene  costituisce una minaccia assai maggiore di quanto avvenga in altre regioni, come la Languedoc e il sud del Rodano. Inoltre la separazione, che ormai caratterizza tutti gli Châteaux più prestigiosi, tra chi coltiva la terra e i gruppi finanziari  che ne detengono la proprietà e il potere, non aiuta a trovare  facili soluzioni di fronte al rischio di perdita delle rese legata alla maggiore vulnerabilità della conduzione biologica.

La formazione che aveva ricevuto, ci ha detto Duroux, che parla un ottimo italiano grazie alla madre emiliana,  lo rendeva in realtà tutt’altro che incline a scelte che non fossero solidamente basate sui fatti. Inizialmente era anche un po’ diffidente, ma motivato dal genuino  desiderio di conoscere e valutare senza pregiudizi.

Oggi, a più di dieci anni di distanza da quegli incerti inizi, i risultati sono ben visibili. La biodiversità  nelle vigne è eccezionale. Insetti, animali, anche alberi da frutta ripiantati di recente. Le mucche e le pecore, che, da novembre a marzo brucano l’erba tra i filari, ormai fanno parte dell’ambiente. Il loro letame, mescolato ai materiali di scarto delle potature e a quelli verdi del giardino è un ingrediente fondamentale del compost impiegato a Palmer, le ortiche e l’equiseto che crescono spontaneamente sono utilizzate come fertilizzanti prima della fioritura.

Il primo e più grande risultato della conversione, secondo Duroux,  è stata una migliore leggibilità della diversità delle parcelle, ciascuna delle quali viene ormai lavorata in un  modo che rispecchia la loro specificità (di ritenzione idrica, di vigore delle vigne) da una trentina di lavoranti  che vi sono impegnati. Sì, perché, il vero cuore della biodinamica è che ha riportato i vignaioli nella vigna, dove tutto ha origine.

La conversione alla biodinamica non ha però significato la rinuncia ai vantaggi che la tecnologia consente. Anzi,  Palmer ha investito molto, oltre che nelle vigne, anche in cantina. Dovremmo dire “nelle cantine”, perché ce ne sono due. Nella prima  sono ospitate le barriques dell’annata corrente. In una seconda, suggestivamente costruita in modo da dare l’impressione di trovarsi a propria volta in una gigantesca barrique, sono invece quelle che devono completare il loro affinamento prima dell’imbottigliamento.

Anche la cuverie è stata completamente rinnovata. Con l’aggiunta di nuove cuves troncoconiche in acciaio inox termoregolate: ora i vasi vinari sono 54, in modo da consentire la vinificazione separata per ciascuna varietà e per ciascuna  parcella. Le loro dimensioni e capacità variano: le più grandi raggiungono 194 ettolitri, mentre altre sono più piccole (89 hl.).

E’ stata completamente rinnovata la sala del tri, nella quale vengono selezionate le uve: queste sono sottoposte a un triplo controllo, il primo dei quali avviene direttamente in vigna, poi sono ulteriormente controllate e selezionate grappolo per grappolo, manualmente, su un tapis roulant, e infine da un apparecchio ottico che assicura la massima purezza e sanità di ogni acino.

Ancora  prima della vendemmia delle videocamere a raggi infrarossi scansionano e registrano le immagini di ciascuna parcella, allo scopo di controllare il momento esatto in cui cominciare la raccolta, che coincide con la piena maturazione fenolica delle uve. La vinificazione avviene per gravità, senza ricorso a pompe di alcun genere.

Un’apposita sala di degustazione è dedicata all’assaggio dei diversi lotti  che saranno scelti per l’assemblage dei vini, una cantina sperimentale , unica nel suo genere, è riservata agli esperimenti , con delle apposite microcuves. Uno spazio apposito, infine, è riservato ai nuovi progetti. Insomma tutto è molto razionale e nulla è lasciato al caso.

 

[Fine prima parte. Nel prossimo articolo vi parleremo della degustazione dei vini e della particolare storia di Chateau Palmer]

 

[1] ENITA, École Nationale d’Ingenieurs de travaux agricoles

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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