Orvieto 2019: un “senso unico” per guardare avanti con fiducia2 min read

Quest’anno non siamo potuti andare a degustare a Orvieto causa Covid, ma i vini ci sono comunque arrivati in ufficio, raccolti e spediti dal Consorzio dei Vini di Orvieto, che ringraziamo.

Non moltissimi campioni in verità, ma c’è anche da dire che i produttori di Orvieto che veramente contano (nonché producono e imbottigliano in zona) non sono moltissimi.

Dagli assaggi che abbiamo fatto, che comprendevano anche dei vini IGT da vitigni diversi, abbiamo avuto una conferma importante e cioè che in questa zona grechetto, procanico (alias trebbiano) e compagnia autoctona hanno un senso che definire “senso unico” può sembrare una battuta ma non lo è. La parola unico è usata nel senso che l’Orvieto (quando non è fatto per entrare nei bottiglioni) ha una pienezza e una struttura che le stesse uva, in mix diversi, non riescono a dare altrove. Mi viene in mente un recente articolo di Jancis Robinson che commenta uno studio su come sia cambiata la geografia enoica mondiale dal 1990 al 2016. In questi anni uno dei vitigni che ha perso più posizioni è il trebbiano ma aggiunge subito dopo che l’Italia è l’unico paese dove  i vitigni autoctoni hanno mantenuto (pur perdendo qualcosa) le loro posizioni.

Venendo all’Orvieto che, per trascorsi storici non certo esemplari dal punto di vista qualitativo avrebbe potuto rinnegare  il classico uvaggio per passare a qualcosa di più “internazionale e moderno”, mi sento di fare i complimenti ai produttori che hanno tenuto duro e oggi possono proporre un vino  che si stacca dagli aromi facili e dalle rotondità farlocche e si presenta come giusta immagine di un territorio.

Sia nei 2019 che nei 2018 degustati abbiamo trovato un equilibrio e una sapidità “quasi tannica” che caratterizza questo vino e, dopo 2-3 anni, lo rende ancora più godibile.

Purtroppo stiamo parlando di pochi vini nel mare dell’Orvieto imbottigliato, anche e soprattutto fuori zona, ma queste poche cantine “resistenti” da qualche anno credo siano passate all’attacco e la dimostrazione sono praticamente tutti gli Orvieto DOC degustati quest’anno. Oramai da 2-3 cantine di buono/ottimo livello siamo passati ad una decina e questo è il vero segnale positivo della nostra degustazione.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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