Oenococcus a chi??4 min read

Ognuno ha una spiccata simpatia per qualcosa o qualcuno senza saperne bene il motivo, esiste e basta. Nella mia vita mi è capito due volte, per due esseri completamente diversi : mio marito e l’Oenococcus oeni. Immagino che a nessuno importi del primo, quindi mi soffermerò sul secondo.

Il colpo di fulmine avvenne in un laboratorio di microbiologia dove tutti erano concentrati a studiare lieviti enologici senza degnare di uno sguardo i poveri batteri, comunque responsabili ed artefici di immani delizie e solenni disastri.

I batteri in questioni sono gli artefici della fermentazione malolattica – termine non propriamente esatto non trattandosi di una vera e propria fermentazione – processo per il quale una molecola di acido malico presente nel vino viene trasformata in una molecola di acido lattico ed una di anidride carbonica.

La fermentazione malolattica (FML) è indotta, nella maggior parte dei casi, aggiungendo ceppi selezionati di batteri malolattici al termine della fermentazione alcolica, a travaso avvenuto, quando il vino contiene solo pochi grammi di zuccheri residui.  Infatti i simpatici animaletti non disdegnano nemmeno gli zuccheri e se ne hanno l’occasione li degradano provocando un aumento dell’acidità volatile. Nel nostro caso un incremento contenuto è più che accettabile e giustificato dalla presenza nel vino di pochissimi grammi di glucosio e fruttosio e tracce di pentosi.

L’effetto immediato è un abbassamento dell’acidità totale del vino, poiché 1 g/L di acido malico degradato apporta 0,7 g/L ca. di acido lattico – i rimanenti 0,3 g sono l’anidride carbonica, che spesso funge da “rivelatore di FML” grazie alle bollicine che, con molta parsimonia, giungono allo scolmatore.

Passiamo da un acido chimicamente più forte e gustativamente più duro ed aspro – le mele verdi ne sono piene- ad uno più debole e, come lascia intendere il nome, morbido.

Nei vini rossi fortemente acidi è necessario che avvenga questo processo perché la durezza dei tannini verrebbe amplificata dall’acidità malica, rendendo il vino poco piacevole e squilibrato.  Inoltre il conseguente innalzamento del pH porta ad una variazione del colore, che perde di intensità per effetto dell’aumento del carbinolo.

Discorso a parte per i vini bianchi. I bianchi “aromatici” sarebbero completamente stravolti dalla FML, perdendo in finezza e spinta olfattiva.  Per i restanti vini bianchi si tratta di gusti: c’è chi ama la sensazione lattea (conferita dal lattato di etile) e chi preferisce la freschezza pungente dell’acidità malica; altri invece ritengono la FML causa della standardizzazione dei vini bianchi del precedente decennio, insieme al legno. 

A  proposito di barrique ed affini, la degradazione dell’acido malico in contenitori di legno migliora notevolmente lo spettro aromatico del vino e sfuma la nota tostata tipica del recipiente.

La bellezza della FML è che abbassa l’acidità, alza il pH, comporta una diminuzione del colore, ma stabilizza il vino, perché trasforma in modo “sano” l’acido malico, composto facilmente degradabile.

Negli ultimi anni sono stati isolati dei ceppi batterici molto efficaci e rispettosi degli aromi dei vini, tanto da essere largamente impiegati nonostante il costo non esattamente trascurabile. Nelle realtà produttive più piccole non sempre si ricorre alle “bustine” poiché accade anche che in determinati ambienti le fermentazioni malolattiche siano sempre partite spontaneamente senza bisogno di inoculo.

Lo stesso non può dirsi per aziende dimensionalmente importanti che devono avere la certezza del risultato e rispettare delle tabelle di marcia ben precise, senza poter aspettare una FML spontanea e dall’esito incerto. Inoltre ricordiamo che il vino in questo momento è privo di solfiti – l’aggiunta al termine della fermentazione alcolica pregiudicherebbe la vita dei batteri, sensibili alla solforosa, come alle basse temperature.

Analiticamente è ormai possibile seguire il lavoro di degradazione dei batteri con analisi FTIR che in pochi secondi e a basso costo “fotografano” tutti i principali parametri del vino, malico e lattico compresi. Gli amanti del fai da te possono sempre ricorrere ad una banalissima analisi dell’acidità totale.

Tutto facile? No, purtroppo. Leggere sul referto analitico  n.r. (non rilevabile) vicino alla voce acido malico fa tirare ogni anno un sospiro di sollievo, specie dopo settimane passate a compiere pellegrinaggi sui serbatoi nella speranza di cogliere il minimo segno di movimenti batterici, tanto da far passare gli aruspici per dei perfetti principianti.

E’ dura la vita dell’enologo.

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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