Ho visitato recentemente la zona che ha visto nascere il grande successo dei riesling tedeschi, a partire dall’inizio del ‘700. Si tratta del triangolo tra Francoforte, Hochheim e Wiesbaden, dove il Meno e il Reno avevano favorito il trasporto già in epoca romana, ma dove per secoli avevano dominato altri vitigni (ebling, rauschling, sylvaner, più recentemente muller-thurgau).
Da trecento anni a questa parte la fama di tutto il Rheingau è andata crescendo, basata anche sull’ esposizione a meridione dei vigneti lungo la riva destra dei fiumi, protetti a nord dalle alture del Taunus. Questa fascia di una quarantina di chilometri viene associata ai Riesling più corposi, o meno esili, fate voi.
Va detto che recentemente la maturazione tardiva di quest’uva non desta più tante ansie, ma storicamente ha pesato: l’uscita dalla “piccola glaciazione” è stata lenta. Oggi che le vie d’acqua non sono più le uniche e che le temperature continuano a salire diverse altre zone limitrofe emergono indubbiamente con la loro qualità, certo anche per il talento e l’intraprendenza di singoli vignaioli: Rheinhessen, Nahe, Pfalz, anche Franken.
Nella culla del riesling ho trovato in abbondanza tracce storiche dei commerci, dai modellini dei barconi a vela carichi di botti in mostra al monastero di Eberbach fino ai simbolici barili di cemento in cui mi sono imbattuto sull’antico imbarco fluviale di Oestrich-Winkel, piazzati lì come moderna installazione rievocativa.
Quasi in riva al Meno nella zona di Hochheim, passeggiando in mezzo ai vigneti, ho anche rintracciato un curioso monumento in stile neo-gotico che celebra la visita sul posto della regina Vittoria, nell’agosto del 1845. Accompagnata dal principe consorte, si era fermata ad assaporare il Riesling locale, già molto noto in Inghilterra proprio col nome di Hock (abbreviativo per la città di Hochheim). Da allora in poi la proprietà del vigneto circostante imbottiglia con l’etichetta Konegin Victoriaberg, prevedibilente servita in cerimonie e visite di stato.
Vicino al monumento un moderno pannello riporta con orgoglio il catalogo del famoso importatore Berry Bros and C., in data 1896. Ci si può divertire a confrontare i prezzi spuntati a Londra a quel tempo dai vini “Hock” rispetto ad altri nomi ragguardevoli di Bordeaux (i “Claret“) e di Borgogna o di Champagne.
Va detto che in seguito questa denominazione commerciale Hock, precedente qualsiasi Indicazione Geografica attuale, è diventa sempre più popolare nel Regno Unito tanto da essere estesa disinvoltamente a qualsiasi vino bianco proveniente dalla Germania. Vi ricorda qualcosa? Oggi sopravvive solo su qualche etichetta generica nei supermercati d’oltremanica: bottiglie che consiglierei tranquillamente di lasciare sullo scaffale.
E poi sì, ho assaggiato qualcosa. Visitando quattro diverse realtà e cercando di farmi un quadro mi sono concentrato sui Riesling trocken (secchi) e solo sulla categoria degli Erste Lage seguendo la classificazione V.D.P., cioè di fascia medio-alta.
Le brevi descrizioni che seguono si riferiscono quasi tutte a questa categoria, ultime annate in commercio. Ebbene tirare conclusioni non è facile, ma qui sta il bello. L’assaggio non stanca, c’è molta varietà.
Subito ho notato la prassi, lodevole quanto diffusa, di imbottigliamenti limitati divisi per vigneti, facilmente riscontrabile anche nei negozi o sulle carte dei ristoranti. Su ognuna delle etichette nominate in seguito è riportato un toponimo. I produttori non hanno risparmiato le parole nel descrivere suoli ed esposizioni, mostrando spesso campioni di terra. Se nella parte occidentale del Rheingau, non raggiunta nell’occasione, le pendenze sono notevoli, qui la fascia produttiva degrada più lentamente dal Taunus verso i fiumi, con differenze tra le zone più alte (suoli caratterizzati dall’erosione) e quelle più basse (di origine alluvionale). Il vitigno, come noto molto reattivo, trascrive queste variazioni moltiplicandole per le annate, e il risultato è stato sempre come entrare in una palestra di degustazione, ogni vino con la sua personalità. Last but not least, come avrebbe detto la regina Vittoria, sto scrivendo di bottiglie che escono più vicino ai dieci che ai venti euro in media alla vendita diretta, con poche eccezioni: il che non guasta data l’indubbia qualità generale.
Kunstler a Hochheim sul Meno: azienda familiare di lunga data e di media dimensione (circa 350.000 bottiglie/anno). Ha acquisito più recentemente terreni anche nell’ovest del Rheingau, a Rudesheim e Assamannhausen, ma i Rielsing assaggiati portano la dizione Hochheimer in etichetta per sottolinearne la provenienza giusto a sud della cittadina. Per le crisi di astinenza lascia anche a disposizione un distributore automatico davanti alla sede.
Lo Stielwig Alte Rebe (“vecchie viti”) 2021 è molto floreale, sottile e quasi morbido. Il Domdechaney, sempre ’21, è bello secco quasi austero con persistenza chilometrica, probabilmente da attendere. Lo Stein 2018 ha un naso fra il miele e gli idrocarburi, poi in bocca emerge a sorpresa anche un fruttato fresco: grande personalità. Kirchenstuck ’21: è molto lineare ed elegante, con un sostegno acido continuo quanto armonico e aromatico. L’Herrnberg ’21 tira fuori una grande sapidità mentre il Holle, da un cru piuttosto argilloso lungo il fiume, sempre dell’ultima vendemmia, è il più corposo e slanciato, appena chiuso al naso; anche qui viene da pensare al futuro. Alla fine sono uscito dopo un sorso del loro Alvarinho, accompagnato dalla frase “meglio sperimentare anche qualcos’altro non si sa mai”.
Kloster Eberbach a Eltville sul Reno: gande abbazia cistercense di quasi nove secoli, scenario per le riprese di “In nome della rosa”. Secolarizzata in epoca napoleonica, è oggi il quartier generale dell’Hessische Staatsweinguter, azienda di proprietà pubblica con una scenografica cantina moderna piazzata appena più a valle dove arrivano le uve da più di duecento ettari.
Imperdibile la collezione di enormi torchi secolari in legno sopravvissuti nel vecchio refettorio dei conversi laici, che erano in sostanza i veri vignaioli. Il più antico è datato 1668. E poi lo Steinberg, spettacolare clos di 32 ettari completamente circondato da mura, fondato dai monaci nella prima parte del tredicesimo secolo e in perfetta conservazione, oggi tutto riesling.
Il corrispondente, iconico Steinberger ’20 è molto minerale al naso, in bocca esce anche l’agrumato; lo Steinberger Zehntstück ’21 (da una parcella di forte pendenza selezionata dentro il clos) è per il momento fruttato e floreale, con persistenza eccezionale. Il Baiken ’20, da un vigneto poco più a est, si è rivelato il più complesso della serie, con dominante speziata; molto lineare e suadente in bocca. Il Neroberg ’20 è da un’altra vigna in direzione di Wiesbaden, ripete la complessità aromatica e intanto offre stoffa quasi vellutata, sempre con lunghezza ragguardevole. Infine il Gerhn, ancora del 2020, ha profumo di frutto maturo e spezie dolci, ma in bocca sorprende con un’ inaspettata grinta mordente, quasi da rosso.
Peter Jacob Kühn a Oestrich-Winkel: anche quigestione familiare da 230 anni, biodinamici dal 2004. Degustazione di fianco alle viti, in bicchieri Zalto. Prezzi più in alto. Ho assaggiato tutti 2020 usciti a maggio, da lieviti spontanei e con maturazione in legno grande sulle fecce. Sottolineano che i loro ’21 sono ancora da imbottigliare, secondo una lodevole tendenza di cui si registra l’aumento anche in altre aziende della regione.
Il vigneto Hallgarten dà origine all’Erste Lage Hendelberg, dal nome della parcella più alta su suolo devoniano colorato. Molto minerale, con acidità sostenuta e piacevolmente dura a morire. Sempre dall’Halgartner si ottiene un Reserve che unisce le uve di varie parcelle, con più frutto agrumato. A Klosterberg, appena più a ovest, domina il quarzo: il vino omonimo ha un timbro tropicale e speziato, e stoffa di buona consistenza dovuta probabilmente anche a un’alta densità d’impianto.
J.B. Becker a Walluf: dal 1893 la famiglia gestiscevigne (oggi a conduzione biologica) e cantine (sempre legni grandi). Ho assaggiato i vini nel loro bel Weingarten in riva al Reno, aperto al pubblico. L’uso di lieviti spontanei non fa che esasperare le differenze fra le annate e i cru, con le etichette che seguono anche qui i vigneti. Il Walkemberg Kabinett ’20 è davvero trocken, forte e vibrante. L’Eltville Sonnenberg Spätlese ’18 è ben complesso aromaticamente, minerale ma anche floreale con un tocco di morbidezza caramellata sul finale. Ricco e armonico. Nell’Oderberg ’19, presentato come halbtrocken (letteralmente “semisecco”, quindi un’eccezione rispetto a tutti i precedenti) l’acidità è tale che il dichiarato residuo di zucchero non si avverte quasi: un risultato d’insieme, quest’ultimo, assai tradizionale ma che sembra diventare sempre più raro.
In generale, infatti, per questa fascia di prodotti sembra chiara la tendenza a offrire dolcezza ridotta e a riservare piuttosto la densità zuccherina alle prestigiose vendemmie tardive più o meno attaccate da botrytis, con una separazione delle tipologie marcata sempre meglio. L’acidità sembra rimanere alta, ma a questo proposito la comunicazione sorprendente è che l’acidificazione è occasionalmente praticata nella zona e ormai ufficialmente tollerata, in particolare a partire al 2018 che è stata un’annata decisamente calda. Segno dei tempi.
E i tanto discussi abbinamenti gastronomici con quest’ uva-vino? Nella culla del Riesling in tarda primavera si mangiano asparagi bianchi con la “salsa verde di Francoforte”: erbe aromatiche di stagione, yogurt o panna acida, senape…. Sarebbe un tormentone per il sommelier, ma qui se ne fregano bevendoci il sidro chiamato localmente apfelwein, versato dalle caratteristiche caraffe decorate di blu onnipresenti nelle vetrine, nei ristoranti e nelle cucine di casa.