Negroamaro: un re spesso nudo5 min read

Il Salento visto dall’aereo è come una gigantesca, meravigliosa scacchiera in bianco e verde, dove i pezzi bianchi sono le case e quelli verdi le vigne, gli olivi, i campi. Tra i pezzi verdi il ruolo del re lo incarna sicuramente il negroamaro, vitigno-re che oramai conosco bene  e che il Tour organizzato dal Movimento Turismo del vino Pugliese mi ha ripresentato in maniera approfondita ma con sfaccettature molto simili alle precedenti visite.

 

Prima di scrivere queste righe sono andato a rivedermi i molti articoli che come Winesurf abbiamo dedicato al negroamaro e così ho constatato ben pochi cambiamenti rispetto al passato più o meno recente.

 

Molti vini degustati in questi giorni ricordavano quanto scritto da me solo pochi mesi fa “..alcolicità predominante, senza grandi aromi al naso e con un corpo magari importante ma non certo equilibrato. Se a questo ci mettiamo un uso spesso esagerato (per non dire caricaturale)  del legno, la situazione non migliora certamente.”

 

Del resto nello stesso periodo Pasquale Porcelli scriveva “..ancora alla ricerca di uno stile  convincente, schiacciati al momento su vini che  debbano piacere a tutti costi, perdendo in originalità e territorialità”,  mentre circa tre anni fa Paolo Costantini suonava quasi le stesse corde “le interpretazioni dei vini con base Negramaro…non seguono alcun filo conduttore. La mano del produttore conta certamente più del territorio e del vitigno. Le migliori espressioni sono per assurdo i vini più tecnici, inappuntabili e perfettini, ma distanti e un po’ freddi; belli ma con poco cuore, poco Salento.  Che dire poi dei tanti vini smaltati dai legni, così detti moderni..”

 

Per questo, pur avendo degustato alcuni ottimi prodotti, in particolare quelli di Cupertinum, Di Feudi di Guagnano, di Palamà e di Apollonio l’ago della bilancia non si ferma in positivo…ma procediamo con calma.

 

 

Il Negroamaro tour è stato una vera full immersion nel vitigno salentino: tre-quattro cantine al giorno per tre giorni, preceduti da una degustazione con una ventina di produttori il giorno dell’arrivo  e “rinforzate” da cene con produttori tutte le sere. In questo giro salentino il negroamaro ci è stato presentato in tutte le sue declinazioni: non solo in rosso o in rosato, ma anche in bianco e spumante, sia metodo classico che charmat.

 

Fermiamoci alle due interpretazioni classiche, quelle in rosso e in rosato.

 

La seconda  fa ben sperare per il futuro di questo vino, pur riferendosi ad un’annata molto buona  come il 2013. Molti rosati sono riusciti a declinare freschezza e corpo accanto a nasi più ampi e ben dotati di frutto. Di solito non faccio nomi ma tra quelli assaggiati il Metiusco 2013 mi è sembrata forse la migliore versione da quando il vino è nato.

 

Ma veniamo al Negroamaro  con la N maiuscola (quindi rosso)  a cui si riferiscono i commenti virgolettati e che purtroppo anche in questa occasione non ci è sembrato molto diverso. Pur essendoci valide eccezioni  siamo di fronte a vini poco marcati aromaticamente, che l’uso del legno piccolo o grande non riesce a far fluttuare verso profumi chiaramente riconoscibili e non sovrapponibili ai legni. Inoltre nelle interpretazioni moderne (molte spacciate a parole per tradizionali) in bocca non si riscontra molta freschezza, ma solo compattezza poco complessa, con vini che si dipanano lenti e pesanti (per non dire appesantiti) senza portare a sensazioni piacevoli.

Ci siamo trovati a negroamaro monolitici che hanno bisogno di di 7-8 grammi di zucchero per essere bevibili, altri spalmati di legno, altri molto alcolici ma poveri di corpo.

Quello che però più colpisce in molti di questi vini è il difficilissimo abbinamento cibo-vino, specie sui molti piatti di verdura o sui formaggi che danno lustro alla cucina pugliese. Se non riusciamo ad abbinarli sui piatti per cui sono nati come potremo farlo in altre zone d’Italia o del mondo?

 

In alcuni casi abbiamo capito che un bel numero di anni in bottiglia (almeno 7-8) riesce a migliorare la situazione, ma il dubbio che ormai ci portiamo dietro da tanto tempo è che estrazioni importanti abbinate ad uso men che perfetto del legno vengano digerite proprio male, ma proprio male, dal negroamaro. L’innovazione tecnica degli ultimi 15 anni è stata addirittura esponenziale e ha come grande merito una totale pulizia dei vini, ma una volta che il vino è pulito occorre anche riportarlo al suo vero essere, a quella complessa freschezza al palato che lo rende riconoscibile.

 

Per questo, anche se farò rizzare molti capelli, sono arrivato alla conclusione che il principale nemico della viticoltura pugliese è la spasmodica ricerca di un premio: tre di quello, cinque di quell’altro e via cantante. Questa corsa non solo penalizza il produttore che poi arriva a vincerla, facendogli produrre spesso in un modo “estremo” (che per il negroamaro porta quasi sempre ai perfetti ma molto perfettibili vini da concorso) ma conduce gli altri produttori sulla china di scimmiottare la tipologia, con risultati spesso sconfortanti.

 

Cari produttori, sono passati gli anni in cui Cosimo Taurino sbancò il mercato americano con il Patriglione, oggi ci vogliono vini da bere, profumati, piacevoli, eleganti ma “carichi” di sud e non carichi di legno.

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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0 responses to “Negroamaro: un re spesso nudo5 min read

  1. Ne abbiamo assaggiato uno la settimana passata….Euro 12 in Cantina…..
    Tanta polpa, nessun profumo allorche Zolfo, poca o quasi nulla reazione in bocca…..un peccato perche in passato aveva preso dei ottimi punteggi.
    Qualche d’uno riesce a stupire con il Negromaro….ma sono sempre I soliti nomi…..il resto e solo ok
    Meglio indirizzarsi sul Primitivo….piu soddisfazione sia Manduria che Gioia

  2. Li avete assaggiati il Graticciaia di Vallone, il Masseria Maime di Tormaresca e il Jo di Gianfranco Fino?

  3. Gentilissimo Carlo,

    nel tuo articolo trovo diversi spunti di riflessione che vorrei condividere con te e con i lettori.

    Il Negroamaro è senza dubbio il vitigno più scorbutico e difficile che abbiamo in Salento. E’ avaro, non ti regala mai niente e tutto quello che ti da, in vigna prima e in cantina poi, è frutto di grande lavoro e fatica. Con questo non voglio dire che con gli altri vitigni la vita sia più facile, ma è inevitabile che, a parte annate come la presente, vendemmiare a fine agosto di solito ti consente di mettere al sicuro il risultato 30 giorni prima rispetto a quanto succede con il Negroamaro. Ti garantisco che qualche bestemmia in meno la si tira.

    Trovo piuttosto centrata la critica recuperata dal pezzo di Costantini circa la scarsa linearità  di interpretazione enologica dello stesso vitigno, che non può essere spiegata solo con la parola terroir. E’ una cosa che succedeva anche per il Salice Salentino DOC (fatto in prevalenza da uve Negroamaro) prima dell’avvento del sistema di controlli erga omnes, che se da un lato è odiato per complessità  e burocrazia, qualche merito ce l’ha per aver “guidato” tutti verso una più etica applicazione dei disciplinari. Le IGT consentono di esercitare un “pensiero libero” e se chi fa opinione con i rating premia solo i vini con le solite omologate caratteristiche, ecco che la suddetta linearità  di espressione varietale va a farsi fottere.
    Su questo sarebbe auspicabile una maggiore assunzione di responsabilità  da parte di tutti noi produttori, che a parole siamo sempre pronti a confrontarci e a parlare su come diventare “grandi”, poi nei fatti siamo solo dei grandi individualisti.
    Trovo ancor più centrata la critica circa lo “sciroppo style” che da qualche anno viene propinato per raggiungere il gradimento di un consumatore che si sta cosଠdisabituando a cercare in un vino eleganza e piacevolezza. Non mi sembra però che sia un problema del solo Negroamaro, ma anche di molti dei vini maggiormente premiati in Puglia negli ultimi anni. E con ben più di 7-8 g/l di zuccheri residui. Ok, il disciplinare in quei casi dice che”¦”¦..ma che palle!

    Per il resto, trovo il tuo articolo, che salva veramente poco in un panorama estremamente variegato e ricco, quanto meno poco generoso per quanto alcuni produttori fanno per migliorare i vini del nostro territorio. E io penso di essere fra questi.
    Per me, il Negroamaro rappresenta, ad ogni nuova vendemmia, la sfida che si rinnova, la palestra delle mie capacità  di winemaker (ebbene si, sono tecnologo alimentare e per questo il termine inglese mi è più congegnale) e lo faccio con passione e profondo, irrinunciabile spirito critico. Anzi, credo di essere il più feroce critico del lavoro che faccio.
    Leggere di vini “inappuntabili e perfettini”, di tecnologia che rende i vini troppo puliti mi fa ricordare di alcune mie discussioni di almeno 10 anni fa con wine writers europei e americani che non ritrovavano nei miei vini quella “rusticità  tipica” del Negroamaro. E io, che già  allora monitoravo la presenza dei fenoli volatili di ciascuna botte che avevo in cantina, dopo essermi incazzato, facevo assaggiare quelle con i valori più alti. E vedevo tornare il sorriso sui loro visi.

    Non credo che mi si possa accusare di essere un produttore che cerca il consenso di riviste e guide, anche perché se cosଠfosse mi dovrei sentire un po’ coglione visto che ultimamente non ricevo tutti questi gradi elogi. Mando con riluttanza e un po’ di fastidio i miei vini alle degustazioni perché mi piacerebbe potessero essere condotte alla cieca e con bottiglie acquistate dal mercato e non inviate ad hoc. E chi ha dignità  per intendere…

    Insomma Carlo, quando avrai voglia di farti una chiacchierata su cosa è il Negroamaro in Salento e cosa pensa un quasi-non-più-giovane produttore di origini non autoctone, ma con radici ben piantate in questa magnifica terra, io sarò ben felice di accoglierti. Di botti con fenoli oltre soglia oggi in cantina ne ho ben poche per fortuna. Acqua calda, vapore e attenzioni maniacali nella fase di affinamento del vino mi consentono di produrre dei vini che sanno un un po’ meno di “lana bagnata” o “wet duck” -come dicevano i tuoi colleghi americani- e un po’ di più di Negroamaro.

    Ma temo che per te e qualche altro commentatore italiano i nostri vini rimarranno sempre “figli di un Brett minore”

    Molto cordialmente

    Gianni Cantele

  4. Carlo conosci bene la stima e l’amicizia che mi lega a te, ma consentimi di non essere d’accordo con queste note che mi sembrano un tantino ingenerose nei confronti di un territorio e di un vitigno che oltre ad essere stato il primo ad uscire dai confini regionali, continua ad esprimere eccellenze assolute (che non sono solo quelle citate in un commento precedente), accanto ad una media di prodotti territoriali, godibili per piacevolezza e bevibilità  oltre ad avere un rapporto qualità /prezzo invidiabile.

  5. Cari Gianni e Adriano, quando ho scritto queste righe ho riflettuto molto se concludere con una buonista via di fuga, con una salvataggio finale. Non ho voluto farlo, non perchè non ci sia nulla da salvare, per carità , ma perchè volevo toccare una mentalità  generale ( e non dei singoli) che spesso si adagia su allori veri (e sono diversi) e presunti (e anche questi ci sono, eccome) . Il negroamaro è senza dubbio una bestiaccia, specie se lo vuoi pulito e debrettizzato, e sono convintissimo che lavorarlo sia una continua serie di bestemmie, però in diversi casi il risultato è un vinone “marketing oriented” ben poco caratterizzato. Caro Gianni non sai quanto mi piacerebbe stare in cantina con te e farmi spiegare i segreti del vitigno, specie perchè persone che parlano di cose che gli fanno girare le scatole con questa gentilezza sono da ringraziare e seguire. Certo Adriano, ho voluto anche far finta di non apprezzare persone e vini che apprezzo, ma volevo e voglio che il “problema” negroamaro venga visto non sotto la veste di facili incensamenti, ma per quello che io credo possa diventare sempre più: un gran vinone da concorso e non un bel vino da bere con piacere.

  6. Autorevolezza. Nella penna, Sig Carlo Macchi. Nelle braccia e nel cuore, Sigg.ri Cantele. Quanto Mr . Carlo sostiene è di grande interesse. Il vino buono è quello che si vende, citava cosଠun venditore di Roma figlio di quattro generazioni di venditori della capitale. Ma nelle parole di Mr Macchi c è la sana critica di chi fa un mestiere difficile, quasi delirante. Candido, Cantele, Tormaresca, Cantine Due Palme,Masseria Monaci….milioni e milioni di bottiglie vendute con tanta applicazione e forza. Tutto è migliorabile. Ma dover produrre per approciare il mondo a certi livelli,condiziona. Se si parlasse di Pinot Nero ci sarebbero tanti apprezzamenti. Ma questa ns Puglia deve dare sempre di più. Piຠdel massimo. La gente ci ama per quello che siamo. Il Negramaro ha un potenziale fantastico ma è indubbio che, patrimonio indiscutibile, è soggetto a critiche per le caratteristiche territoriali le stesse che lo fanno amare da milioni di persone. Comunque il confronto serve. Le economie sono a rischio, Sig Macchi.. Il ns momento è STORICO. Con un Gianfranco Fino sul tetto del mondo e con milioni di bottiglie vendute, talune considerazioni sono particolarmente turbanti ed il risultato lo sta leggendo. Con la Sia autorevolezza, continui a raccontare. E ai Produttori…comtinuate ad Amare. Buonagiornata.

  7. (senza fare di tutta l’erba un fascio), amaramente – da salentino che lavora nel settore – dico che in salento c’è troppo marketing e poca sostanza! ecco il problema del salento e della viticoltura salentina. ci sarebbe molto da imparare soprattutto in vigna (e invece si espiantano gli alberelli). la pubblicità  di questi anni ha montato la testa a molti. ci si esalta per le bellezze del territorio e le campagne sono piene di rifiuti, eternit, coppertoni. lo stesso in viticoltura: si esalta il territorio mentre non si conosce minimamente i terreni, le vigne…i salentini pensano ormai di essere i migliori produttori di vino del mondo e si ammirano l’ombelico. sono ignoranti e saccenti. questo è ciò che produce la politica del marketing vuoto, che non porta avanti parallelamente anche ciò che fa veramente qualità !

  8. totalmente d’accordo con quanto hai scritto Carlo. Degenerazioni del genere le ho riscontrate, da assiduo frequentatore della Puglia, e fan del Negromaro, negli ultimi anni. La sindrome da premio, la spasmodica ricerca dell’effetto che colpisca (le guide, non i consumatori) hanno fatto danni terribili.
    P.S.
    Attenzione che non facciano passare anche te, come é già  successo con me, come “nemico della Puglia” per aver scritto quello che pensi. Liberamente

  9. Grazie Franco e speriamo che a forza di dirglielo lo capiscano.

  10. speriamo, ma, mi spiace dirlo, visto che amo la Puglia, come tu ben sai, ma sono delle cape toste molto suscettibili che non accettano non dico critiche, ma nemmeno perplessità  o dubbi.
    Vedi cosa é successo a me con il “caso Fino”

  11. Bè cari amici, qualche perplessità , leggendo questo articolo, è venuta pure a me però, oggi, non sono più “aggiornato” sul negroamaro come un tempo e per questo lascio il beneficio di inventario alle opinioni, invero troppo tranchant, di Carlo. C’è una ragione per questo. Chi mi conosce (come Franco Ziliani) sa che sono stato letteralmente “allattato” a negroamaro, pur non essendone un produttore. Devo ringraziare Sir Severino Garofano che mi ha cresciuto a Patriglione, Graticciaia, Duca d’Aragona e Cappello di Prete, Salice Salentino di Taurino e Candido, in Inghilterra ho conosciuto i vini Cantele di Cantele Augusto, (allora già  votati ad uno stile più “internazionale”) e poi quelli dei due Calò. Il mio “aggiornamento professionale” è purtroppo finito là . Bene, i vini di questi produttori non hanno mai avuto nè hanno tutt’oggi, le caratteristiche lamentate da Pasquale Porcelli e da Carlo anzi, devo dire, che i vini dei miei amici Cantele hanno fatto registrare decisi passi verso una meno internazionale e più autentica interpretazione del negroamaro (autentica per noi nostalgici con più di venticinque primavere nel mondo del vino pugliese). Quindi, per non essere troppo prolisso, caro Carlo, oggi conosco del negroamaro certamente meno prodotti e produttori di te ma avrei scritto diversamente. Avrei fatto l’elenco dei “cercatori di premi” e salvato chi è rimasto aderente alle potenzialità  di questo grande vitigno, senza giri di parole, esattamente come hai fatto in questa stroncatura a mezzo web ma facendo nomi e cognomi. Infine, da produttore, ma anche da venditore di vini, mi permetto di evidenziarti che non è il “premio” che porta alla realizzazione di questi tipi di vino, bensଠil vil danaro, ti sfugge certamente che, ainoi, i prodotti di maggior successo in termini di vendite sui mercati internazionali sono vini siffatti, con legno, e residuo zuccherino. Non puoi avere idea delle richieste di vini in stile “Primtivo sessantanni” mi giungono quotidianamente da Germania, Svizzera e tutti i paesi del nord europa e non ti nascondo che, se avessi uve adatte alla bisogna, non mi vergognerei a fare un vino cosà¬, bisogna pur campare. Chiudo con una piccola chiosa al mio amico fraterno Franco Ziliani, siamo tutti capatosta, ma non tutti siamo refrattari alle critiche se sono costruttive ma bisogna anche rendersi conto che la nostra sindrome da accerchiamento è spesso giustificata atteso che in patria non ci considerano come si dovrebbe fare con una delle prime regioni vitivinicole d’Italia, all’estero abbiamo spazio solo se svendiamo il nostro prodotto. Certo è anche colpa nostra, della nostra cronica incapacità  di fare marketing e fare squadra però ricordo bene gli anni 90 quando a fare e disfare tutto in Italia era il mitico e ormai decotto Gambero ed io, da neofita, andavo alle degustazioni dell’almanacco del Berebene ed i nostri vini erano di gran lunga i migliori mentre gli oscar toscani e piemontesi (a quel prezzo) erano delle immonde sciacquature di serbatoio eppure a nord bicchieri e cristallerie, a sud oscar del berebene magari qualche eccellenza di serie A, oltre all’immortale Patriglione, c’era in giro già  da allora, ma non se la cagavano di striscio! Ultima puntualizzazione, caro Carlo, per la precisione e non per altro, Mimino Taurino, mio padrino vinicolo a cui devo la presenza dei miei vini sul mercato Statunitense, sbancò gli USA con il più modesto Salice Salentino vendendo per decenni poco meno di un milione di bottiglie di vino all’anno quando in America non sapevano neppure dove fosse la puglia sulla cartina geografica (non scherzo a me nel 1996 quando gli ho spiegato dove fosse la Puglia, mi hanno guardato stupiti e chiedendomi ma non c’è il mare sotto Napoli?) Vuoi vedere che il negroamaro lo hanno capito prima la che qui da noi?

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