Montevetrano 2010 Colli di Salerno IGT2 min read

Giusto vent’anni fa iniziò l’avventura di Silvia Imparato. Su una collina vicino Salerno e ai piedi dei Picentini, i monti del Massiccio del Terminio a cavallo con la provincia di Avellino, iniziò a fare vino con i suoi amici romani nella vecchia casa di campagna di famiglia.
 
Sembra, e lo è, una tipica storiella degli anni ’90, con una differenza di fondo: non l’ha costruita nessun ufficio marketing.
Già, perché questa avventura parte in una regione sino a quel momento assolutamente sconosciuta dal punto di vista enologico: la prima Vini d’Italia del 1988 porta appena sette aziende. Oggi una guida nazonale con meno di 90 non ha senso.
C’erano i vini della Mastroberardino, soprattutto i bianchi immessi in commercio già a Natale per le cene della Vigilia e del Capodanno. Poi i bianchi di Ischia, il rosso di Moio a Mondragone e l’enorme quantità di sfuso prodotto dalle cantine sociali e dai vinificatori alle porte di Napoli.

Il Montevetrano ebbe un significato preciso, oggi scontato ma nel 1994 rivoluzionario: che al Sud e in Campania era possibile fare vini degni di attenzione e competitivi sul piano nazionale e internazionale.
Da allora il letargo del vino campano, iniziato prima della guerra, termina per conoscere un risveglio di entusiasmi, successi, sviluppo. Un po’ come in tutta Italia, certo, ma con l’aggiunta di condire con spirito positivo una regione in perenne difficoltà e, soprattutto negli ultimi tempi, con il grande valore di vini territoriali.

Come sempre accade, i grandi campioni subiscono contestazioni. Soprattutto con la nascita della critica 2.0 l’attenzione si è spostata su altre aziende, un po’ come risposta alla critica ufficiale cartacea, un po’ per la voglia che sempre ciascuno ha di voler scoprire qualcosa di inedito e di nuovo.
Silvia Imparato, anno dopo anno, ha inanellato grandi bottiglie che resistono nel tempo e sono grandi attraversando le mode e i modi con sicurezza e signorilità. In questi vent’anni è il mondo ad essere completamente cambiato e il Montevetrano si avvia a diventare un classico.
Un classico costruito su agricoltura vera, autentica, in regime biologico, dove sono in gioco le vite di cui è ricco questo vino. Una storia che va oltre le noiose dispute barrique/no barrique autoctoni/internazionali perché quando è nato non c’era altra tradizione nel Salernitano se non quella di boccioni di sfuso in cui entravano tutte le uve possibili e immaginabili, compresa la barbera piemontese. Oggi il marker di cabernet sauvignon, merlot e aglianico è immediatamente riconoscibile.

Su questa grassa collina è stato scritto il racconto di una viticoltura capace di rovesciare i luoghi comuni e imporre lo stile di vita campagnolo in un contesto di fuga nelle città come pulsione migliorativa.
Il 2010 è buono, vivrà per celebrare i 40 anni di Montevetrano con il fresco 1992 festeggerà i suoi vent’anni.

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Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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