Montefalco Sagrantino 2004: buono ma (forse) tanto!3 min read

Dopo l’esperienza del 2003 ci siamo avvicinati all’assaggio dei Sagrantino 2004 con un certo timore. Ricordavamo infatti le rigogliosamente immature strutture tanniche, che unite ad alcolicità spinte  e magari anche a dosi non leggere di legno, avevano fatto di quella degustazione una delle più difficili dell’anno.

Per fortuna il 2004 si è presentato come un’annata molto più “umana”: abbastanza fine nei profumi e con un buon equilibrio al palato. Lo stesso equilibrio non lo ritroviamo però nei dati sull’aumento degli ettari vitati e della produzione che il consorzio ci ha fornito. I 122 ettari piantati a  Sagrantino del 2000 sono diventati 660 nel 2007: parallelamente sono aumentate in maniera esponenziale anche le bottiglie che solo in tre annate (dal 2002 al 2004) sono passate da 666.000  A 1.730.000, con previsione di arrivare a 2.600.000 nel 2006.

In tempi non certo di vacche grasse questi aumenti produttivi ci sembrano piuttosto rischiosi, anche perché di fronte ad un miglioramento generalizzato della qualità (media punti 2.40 rispetto al 2.19 del 2003) si assiste ad un discreto appiattimento delle caratteristiche di riconoscibilità del Sagrantino. Forse la stesso problema se lo staranno ponendo anche il consorzio ed i produttori, che non per niente hanno promosso e sviluppato studi piuttosto interessanti sia di vigna che di cantina. Uno di questi prevedeva il confronto tra sistemi diversi di affinamento: barrique, barrique sulle feccie fini con batonage, tonneau, botti grandi e acciaio (magari mi scordo qualche metodo e mi scuso in anticipo). Ho avuto la fortuna di poter assaggiare le varie prove e per me  quella di gran lunga migliore era il Sagrantino in acciaio. Pare che il risultato sia stato lo stesso quando ad assaggiare sono stati i responsabili del progetto.

Questo mi porta a due riflessioni, una scherzosa ed una seria. La prima riguarda il nome di questo vino tenuto in acciaio che non può che essere Sagrantinox. La seconda è più articolata e tiene conto dei corsi fatti ai produttori locali su potatura (secca e verde) e sul momento migliore di vendemmia (maturità fenolica) per riuscire a portare in cantina uve dove la carica tannica classica del vitigno sia naturalmente addolcita. Questo importante passo è servito, serve e servirà sempre di più specie per una maturazione “soft” in acciaio. Mi chiedo infatti: se porto in cantina uve con tannini più maturi e potenzialmente più rotondi che bisogno ho di dosi industriali di legno per ammorbidirli? Magari basteranno un serbatoio neutro (il cemento potrebbe andare anche meglio) e piccole dosi di ossigeno per operare “il miracolo”, mantenendo pure intatta la non certo esagerata componente aromatica del vitigno. La frusta si usa sui cavalli selvaggi, non sui docili puledrini o sulle pacifiche giumente.

Ma torniamo alla nostra annata 2004, che ha visto emergere il “solito noto” (almeno per noi) ma ha avuto buone performance sia da altri nomi storici sia da giovani produttori della denominazione. In definitiva un risultato positivo per un vino che spero non incorra nelle crisi di crescita che hanno afflitto altre importanti denominazioni.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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