Montalcino: troppo pathos e poca chiarezza6 min read

Da molti giorni e da più parti politiche si chiede il ricorso elettorale al “popolo sovrano” per risolvere i problemi in cui si dibatte l’ Italia. Allo stesso modo a Montalcino, ieri 15 febbraio 2011, era stato chiesto tramite assemblea dei soci del Consorzio il ricorso al “produttore sovrano” per dirimere la richiesta di cambio del disciplinare del Rosso di Montalcino. Sembrava una cosa semplice, una riunione liscia liscia, civili votazioni ed il dente veniva  tolto. Il dente sarebbe l’ampliamento o  meno del disciplinare, permettendo l’utilizzo di un 15% di uve diverse dal Sangiovese, Merlot e Cabernet in primis.

Ma cosa semplice e liscia non era anzi, l’ingresso di queste uve nel fortino del sangiovese in purezza toscano era ed è divenuto un vero e proprio casus belli, che ha visto e vedrà due fazioni confrontarsi. Da una parte i puristi del sangiovese, dall’altra i fautori di una contaminazio con altre uve.

Quanto detto non riesce a rendere minimamente l’idea del clima di attesa che si viveva anche ieri da molte parti, per esempio a Firenze  durante l’Anteprima del Chianti Classico. Quando è arrivata la notizia che l’assemblea aveva rimandato di tre mesi la decisione non dico vi siano state ovazioni da stadio (da parte sia di produttori sia di giornalisti) ma poco ci è mancato. Mentre si assisteva a queste scene (che sicuramente si ripeteranno nei prossimi mesi ed alle prossime assemblee di produttori ilcinesi) mi chiedevo quanto avrebbe giovato  all’immagine di Montalcino questa divisione in blocchi, questo “l’un contro l’altro armati” questo clima da ultima spiaggia? Credo molto poco.

Mi sono anche chiesto se era proprio necessario arrivare al muro contro muro su un vino che, vorrei ricordare, nasce come DOC di ricaduta, come secondo vino, come paggio del Brunello, come scopa del territorio e solo da pochi è stato visto e considerato vino di lignaggio. 

Parliamone.

Ora non vorrei sottolineare l’ovvio ma tutto è nato per cercare uno sbocco commerciale ad un vino che, sic stantibus rebus, non solo non si vende bene ma non ha neppure una grande identità. Tutti quelli che, anno dopo anno,  hanno assaggiato in blocco i Rosso di Montalcino prodotti hanno quasi sempre fatto notare che i principali problemi di questo vino erano (sono) due: la qualità media non certo altissima e la grande diversità stilistica.

Il primo problema nasce con il vino stesso:  essendo una DOC di ricaduta viene storicamente usata (non da tutti ma da molti…..ssimi ) come rifugio per le uve meno buone,  per le partite di Brunello non all’altezza o addirittura rimaste invendute. Inoltre, mi si permetta di far notare che in qualche caso si percepiscono anche profumi e caratteristiche non direttamente riconducibili al sangiovese in purezza..ma questo è un altro problema. Siamo quindi di  fronte ad una DOC di ricaduta, gustativamente parlando  molto differenziata , di qualità media non eccelsa e, non ultimo, che ha un albo vigneti praticamente inesistente.

Visto che ora il Rosso è divenuto l’oggetto del contendere vorrei chiedere ai produttori “contendenti”, quelli che in un campo e nell’altro hanno issato il vessillo “O Rosso (a modo mio) o morte” ,quanti di loro fanno Rosso esclusivamente dai vigneti iscritti all’albo e invece quanti sono quelli che lo usano come “paracadute”. Se si pensa che il Rosso  debba essere il vino emblema della rinascita del territorio forse i produttori dovrebbero per prima cosa iscrivere ettari in questa denominazione e non usare la ricaduta dal Brunello. Se si crede in un vino, penso che così si dovrebbe fare. Se così non si vuole fare, allora mi pare  si chieda solo che il rosso svolga “il lavoro sporco”, inteso in termini puramente commerciali.

Per fare questo un 15% di altre uve potrebbe però aiutare in annate difficili.

Insomma, vediamo di chiarirci: se si vuole un Rosso di Montalcino “Cavallo di razza”, con un posto di prima grandezza al tavolo delle denominazioni locali si dovrebbe dimostrare di crederci al 100% e quindi: iscrivere ettari in terreni  vocati, usarli in maniera acconcia e trattarli (quasi) come quelli del Brunello. Se invece si punta su un Rosso di Montalcino “asinello” da soma, aprire il disciplinare ANCHE ad altre uve non la vedo come la fine del mondo.  Qui, secondo me sta il contendere Il resto mi sembra, molto fiato sprecato.

Un’annotazione a margine: non vorrei che le guerre intestine, le dure prese di posizione verbali o scritte, le accuse reciproche, si scrivano Rosso ma si pronuncino Brunello. In altre parole, non vorrei che le battaglie che non si sono volute e potute fare per cambiare il disciplinare del Brunello siano arrivate a sfogarsi in “ricaduta” sul rosso, dove si pensa che l’impatto mediatico possa essere inferiore. Se così fosse allora il tarlo della discordia è talmente entrato in profondità che vedo tempi molto bui per Montalcino.

Altra cosa: ieri sera un produttore mi diceva “ Ma non penseranno mica  che un 15% di merlot e cabernet servano per risolvere i problemi commerciali?” In effetti  da che mondo è mondo non si è mai vista una denominazione che, col cambio del disciplinare, riesce immediatamente a vendere di più. Forse nel tempo e attraverso un  miglioramento “marketing oriented” del prodotto (grazie anche ad altre uve più facili), si può arrivare a migliori risultati commerciali, ma credere che di punto in bianco la cosa cambi è pura follia. Per questo non riesco a capire tutto l’accanimento attorno ad una modifica che avrà bisogno di anni e di verifiche serie per capire se potrà funzionare o meno.

Per chiudere, anche se credo averlo fatto altre volte ( e probabilmente senza che nessuno ne sentisse la mancanza), vi spiattello la mia proposta sul cambio di disciplinare anzi, sui cambi di disciplinare. Visto che a Montalcino, dai vigneti attuali, è difficilissimo ogni anno ottenere ovunque un grande rosso da Sangiovese propongo di creare due tipologie di Brunello. Il Brunello di Montalcino (con un 10/15% di altre uve) ed il Brunello di Montalcino SANGIOVESE, prodotto (anche tutti gli anni) solo dalle migliori vigne (per non dire migliori uve) e ovviamente con il 100% di sangiovese. Allo stesso modo farei per il vino di ricaduta, creando un Rosso di Montalcino (con almeno il 50% del vino prodotto da vigneti iscritti all’albo del rosso) con il solito 10/15% di altre uve ed un Rosso di Montalcino SANGIOVESE. Così  credo ci sarebbe maggiore chiarezza e soprattutto si stabilirebbero “probe” scalature di mercato che vedrebbero VERAMENTE premiato chi lavora solo sangiovese.

Non siete d’accordo? Lo sapevo…

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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